È da pochissimo tempo che si sta tentando di tracciare una sintesi del Monachesimo medioevale in Italia, includendo anche la corrente basiliana, che viene raramente considerata nel complesso dell'evoluzione monastica. Molte Congregazioni e molti monasteri, e, in particolar modo, questa corrente, che va sotto il nome di monachesimo orientale o basiliano, attendono ancora, purtroppo, un illustratore paziente ed intelligente, che ne ravvivi la memoria.
Di parecchie istituzioni basiliane, si è perduta nel corso dei secoli la relativa documentazione, sicché attualmente è difficilissimo fornirne un cenno sufficiente.
Da tutte queste voci del passato, giunge però un richiamo che la fuga dei secoli non riesce a far disperder del tutto.
In Italia, come in tutto l'Occidente, il Monachesimo si afferma nel secolo IV, dopo aver già raggiunto in Oriente una notevole diffusione, indirizzata verso forme di vita e fornita di proprie regole e tradizioni.
Si diffonde il desiderio di una vita più aderente ai precetti ed allo spirito del Vangelo, e, perché esso sia adempiuto completamente, si palesa una tendenza spiccata alla solitudine, all'ascetismo e ad una rinuncia sempre più grande alle mollezze che può, evidentemente offrire una vita nel mondo.
L'ambiente del deserto sembra il più conforme alle necessità del Monachesimo e le prime esperienze sono tentate da S. Antonio.
In un secondo momento, il Monachesimo perviene ad altro tentativo di vita in comune, per opera di S. Pacomio, che propose la dimora in aggregati di celle (1).
Questo tipo di cenobismo, ancor rozzo ed imperfetto, viene superato dal più maturo ideale cenobitico di S. Basilio, il quale preferì agli agglomerati di celle, una comunità separata, non necessariamente numerosa, e soggetta ad un Superiore prepostovi per instaurare un regime autoritario (2).
S. Basilio preferì, dicevamo, al suddetto regime, uno più blando e condiscente.
Ignoriamo quali siano stati i propagatori e quale la loro opera, certo infaticabile, per la diffusione in Italia, durante tale epoca, dell'istituzione del Monachesimo nelle sue varie forme storiche (3).
Questi Basiliani vivevano alcuni nei monasteri, altri nelle capanne come eremiti ed anacoreti. Essi stessi costruivano rozze grotte isolate formanti le così dette "Laure". In ciascuna di queste cellette, viveva ritirato un eremita od un anacoreta, senza avere comunicazioni con altri. Solamente nella domenica o in feste religiose questi solitari eremiti, appartenenti ad una medesima laura, si riunivano nella cappella o cripta per partecipare alla Messa e cibarsi dell'Eucarestia. Non sono da trascurare altri particolari messi in luce da altri studiosi del fenomeno basiliano in Puglia. È stata osservata infatti un'altra caratteristica delle cosiddette cripte basiliane: essere anziché presentare le vere e proprie forme tipiche di caverne o antri occasionali, ripetevano nell'impianto architettonico la stessa struttura o forma di edifici sub Divo; furono osservati così due schemi diversi: l'uno di ispirazione bizantina, l'altro che ripeteva la struttura di monumenti che non avevano rapporti con Bisanzio. È stato rilevato che i monaci greci ebbero una loro stabilità, per la fusione avvenuta con le popolazioni indigene salentine che si erano installate nel Salento poco prima delle migrazioni monastiche (4).
Ancora una parola nuova è stata detta da un altro studioso del fenomeno. Gli insediamenti civili non sono altro se non insediamenti più vasti di popolazione rurale ben organizzata in un numero piuttosto rilevante di grotte a più vani collocati su piani vari e collegati tra loro da un sistema di sentieri e scalette e con un folto numero di vasche e cisterne che fornivano loro l'acqua.
Questo sistema viene da lui definito Civiltà Rupestre (5).
Questi monasteri, nelle provincie meridionali, furono distrutti dai Saraceni del secolo IX. Fu allora che i cenobiti e gli anacoreti, che scamparono la vita dalle mani di quei nemici, si dispersero in spelonche ed in grotte tufacee. Coi favore dei principi normanni, questi anacoreti rifiorirono nel secolo XI e ricostruirono e fondarono nuovi monasteri. Sorsero così comunità basiliane che restarono in vita per alcuni secoli, finché i pontefici non abolirono nell'Italia meridionale il clero bizantino e per conseguenza anche i Basiliani, sostituendovi altri ordini come Benedettini ed Agostiniani (6).
Dai reperti archeologia rinvenuti nella zona di Andria potremmo verificare almeno l'esistenza di un eremismo cenobiale nella zona di S. Croce e della Madonna dei Miracoli. Si suppone che i monaci venuti dall'oriente e migranti dalla Sicilia abbiano trovato in Puglia (7) e perciò nella zona di Andria un ambiente fisico ed umano congeniale.
Ancor oggi le cripte affrescate, le grotte d'abitazione raggruppate intorno ad esse, segnano in Calabria e in Puglia le vie di questo inquieto pellegrinaggio. Si delineano così due correnti principali che risalgono la penisola muovendo l'una dal promontorio estremo della Calabria, l'altra da quello di Terra d'Otranto (8). La prima giunge fino a Lagonegro e oltre Potenza fino al Vulture, punto estremo. L'altra che parte dal Salento segue più vie: da Otranto una ridiscende fino a Leuca, mentre un'altra risale ad ovest allontanandosi dal mare (9); da Taranto le cripte si aprono nelle gravine fino a Matera e dall'altra parte raggiungono Gravina; infine da Brindisi la costa fino a Monopoli si popola di abitazioni monastiche, mentre oltre Bari, alcuni monaci si spingono in terra latina fino ad Andria (10). In questa vasta zona in contatto con la natura in luoghi selvaggi, un numero immenso di monaci si dedica ad una vita di perfezione, lasciando che ognuno segua la vita cui è stato chiamato in modo particolare: alcuni vivono da eremiti in contatto con Dio, altri attendono ai sacri esercizi riuniti nelle loro celle, altri infine conducono vita quasi cenobitica; i romitori, le laure, le celle si moltiplicano. In fondo la presenza di un centro monastico costituisce sempre un elemento di insediamento per la popolazione, sia come luogo di sfruttamento rurale, sia come centro di scambi. Se consideriamo che i monaci basiliani, coi loro insediamento in queste zone, mettono anche in pratica il loro ideale di vita cioè quello dell'ascesi e del lavoro manuale, non ci meraviglieremo del dissodamento delle terre incolte da essi operato.
S. Nilo, monaco calabrese, che riformò la vita monastica meridionale secondo lo spirito di S. Basilio, ci dice, infatti che i monaci per bastare a se stessi devono fare il lavoro dei campi (11).
Intorno alle comunità monastiche troviamo raggruppate masse di contadini, che divengono servi affrancati, dipendenti da un monastero, ove l'Igumeno è il capo religioso e civile di queste comunità. I monaci dirigono allora i contadini creando maggior benessere e di conseguenza un nuovo sviluppo economico. t così che si può stabilire una nuova vita agricola in queste zone. del resto il dissodamento comportò un aumento della domanda dei beni di consumo. Acquistò così una certa importanza l'economia della terra andriese. Si ebbe così un rinnovamento nei metodi dell'agricoltura ed uno sviluppo dell'economia rurale andriese.
Dall'insediamento della popolazione contadina intorno ai primi monaci, derivò la necessità di un luogo di culto, che non poteva essere se non la grotta.
Essi curarono la decorazione delle suddette chiese-grotte, in cui il Cristo aveva le stesse sembianze di quei servi affrancati e ugualmente si verificava per le immagini dei Santi (12).
Orbene uno dei centri basiliani fu appunto Andria e le grotte-chiese di Santa Croce, Santa Maria dei Miracoli, San Salvatore (S. Angelo in Gurgo), Madonna dell'Altomare (S. Sofia) ne costituirono comunità (13).
Quanto la denominazione "cripte bizantine" sia rozzamente approssimativa, non sfugge a chi solo presti un minimo di attenzione al fenomeno. Eppure resta la più maneggevole e meno impropria delle nomenclature proposte, dal momento che sia "cripte eremitiche" sia "cripte basiliane" contengono petizioni di principio chiaramente inaccettabili (14). Sarebbe dunque interessante una storia della fortuna del termine "cripta" in questa accezione (15).
È noto che cripta è in origine galleria ipogea e in senso lato, luogo ipogeo. Restrittivamente passò poi ad indicare un vano, una camera sotterranea (16).
I primi che a livello scientifico dedicarono la loro attenzione alle così dette "cripte bizantine" o basiliane furono studiosi stranieri, fra cui qualcuno che riesce ad inserire il fenomeno particolare delle cripte nel quadro più ampio della civiltà bizantina (17).
Tra uno dei più seri lavori sulle cripte è da segnalare quello in cui si legge che le datazioni più vecchie non risalgono oltre il X secolo.
In questo lavoro è fatta una classifica delle cripte basata sulla loro struttura interna (18).
Vediamo ora in particolare quelle di Andria.
Le cripte basiliane che si possono elencare nel territorio di Andria sono: Madonna dell'Altomare, Madonna dei Miracoli, Gesù di Misericordia, S.Vito, S. Angelo in Gurgo, S.Croce,:
Esse si trovano sul versante sud-ovest della città e sono tutte collegate fra loro da grotte sparse lungo i pochi chilometri che le separano l'una dall'altra.
A due chilometri dal centro storico di Andria si incontrava ad occidente una fertile valle detta di S. Margherita. Era, in tempi remoti, irrigata da un torrentello denominato "Lama", che significa letto di fiumi.
Nella balza che guarda l'occidente vi era una grotta scavata nel tufo, con due sedili intorno ad un piccolo altare, su cui si vedeva dipinta l'immagine della martire S. Margherita. Altre pitture ornavano pure la grotta, ma sono state cancellate dal tempo; si riconosce ora un po' meglio una che rappresenta S. Nicola di Mira nella Licia.
A destra dell'altare un arco immetteva in un'altra grotta, che aveva a sua volta un altare scavato nel tufo e, dietro, una tribuna su cui era effigiata la vergine Maria alla maniera greca (19).
La Beata Vergine è rappresentata con un fare maestoso sopra un trono, con un velo che le discende dal capo sulle spalle, con veste a piccole pieghe e manto rosso, con vistosa ricchezza così come si addice ad una sovrana orientale. Culla in grembo il Bambino che tiene seduto sulle ginocchia. A destra è dipinto il sole, a sinistra la luna e le stelle che fanno corona attorno al suo capo (20). Circa la data del dipinto non si può stabilire nulla di preciso. Nelle varie storie di Andria non si trova alcuna memoria. Il Merra farebbe risalire il dipinto all'età del Concilio di Efeso e propriamente ai tempo della dominazione greca, cioè al Vi secolo dell'era cristiana (21). Ciò è del tutto impossibile. La cripta di S. Margherita situata al di sotto della maestosa chiesa di S. Maria dei Miracoli, egli dice, risale all'epoca degli Iconoclasti, perché la spaziosa grotta scavata nel masso tufaceo alla maniera caratteristica basiliana e l'immagine di Maria ne forniscono una evidente prova. Secondo noi questa è una affermazione audace ed infondata. Un benedettino catanese, Giovanni Di Franco, afferma che l'icona è stata effigiata ai tempi di S. Riccardo (22). Il Di Jorio nella sua "Relazione storica dell'immagine" dice invece che l'immagine di Maria fu effigiata prima dell'arrivo di S. Riccardo cioè prima del 492. Sostiene infatti che questa immagine sia precedente a S. Riccardo per la ragione che offre nel suo stile l'idea dei lavori dei primordi del quarto secolo e non della fine del quinto (23).
Ciò è addirittura assurdo.
Esiste in Andria una seconda cripta, quella di "Cristo della Misericordia", scavata pure nel masso tufaceo e aperta al culto. Di essa non resta granché, anzi sono rimasti appena i segni, perché è stata ricostruita su di essa intitolata "Cristo della Misericordia". È sulla strada che conduce alla Madonna dei Miracoli e nei dintorni si potevano osservare grotte-celle scavate nel tufo, di evidente origine basiliana. Anche la suddetta cripta sembra risalire all'epoca dei Basiliani (24). L'interno, attualmente si riduce ad un unico vano rettangolare di circa m. 5x8 con l'abside ed una nicchia a destra. Si accede alla cripta attraverso alcuni gradini e varcando una porta alta poco più di un metro. Sulla superficie della nicchia vi è un affresco che raffigura la Crocifissione del Cristo, di stile tardo medioevale. Non si esclude abbia subito ritocchi posteriori. La Chiesa prende il nome evidente dall'espressione del volto del Cristo. Molto probabilmente l'immagine dipinta sul tufo doveva ispirare la pietà dei cittadini, che spesso venivano a contatto con i monaci ivi residenti.
C'è in Andria un rione detto di S. Vito. Il Gabrieli, che ci fornisce un elenco di cripte, è dell'avviso che in questo rione dovrebbe trovarsi una cripta basiliana (25).
Esistevano infatti grotte, ora murate che, a detta di testimoni oculari, erano in tufo. Non molto distante da questo rione sorge una Chiesa intitolata alla Madonna dell'Altomare Il ritrovamento di tale immagine di stile greco e dipinta su muro tufaceo avvenne sotto l'episcopato di Mons. Bassi alla vigilia della Pentecoste del 1598 (26). Questa immagine pare sia coeva di quella rinvenuta nella Valle di S. Margherita e di cui prima si è parlato.
La chiesa doveva anticamente essere una delle celle che i Basiliani ricavavano nel muro tufaceo e quell'immagine forse doveva essere una pittura murale della Chiesa di S. Sofia, che si trovava nei dintorni (27).
La cripta vanta senza dubbio una certa antichità. Esaminando rapidamente i muri perimetrali si nota che l'attuale Chiesa sorge sulla volta della cripta. L'affresco è situato sull'altare maggiore, a cui si accede attraverso un'ampia scalinata. L'immagine della Vergine è racchiusa in una icona di m. 0,80x0,65. La Vergine regge nella destra un libro e una croce e nella sinistra una rosa. L'icona ha una policromia vivace in cui predomina porpora, ocra bruno.
Per l'accrescersi della popolazione fu necessaria la costruzione del santuario ipogeico e probabilmente fu questa la causa che determinò lo spostamento dell'affresco, che subì anche restauri e rimaneggiamenti. Si trova esso, attualmente, non più al posto di origine, cioè su un muro tufaceo laterale, ma al centro, e precisamente sull'altare maggiore.
A circa due chilometri dalla città di Andria verso ovest si nota un profondo e largo burrone volgarmente chiamato "Gurgo".
Si dice che anticamente era lì che sorgeva un villaggio detto di Trimoggia. Di questo villaggio, come degli altri due di S. Pantaleo e Cicaglia, siti nelle vicinanze di Andria, si hanno notizie di un antico documento dell'834 conservato nell'archivio del Capitolo metropolitano di Trani riprodotto dal Prologo (28). Si tratta di un atto di donazione datato l'8 giugno 843 in cui appaiono un certo "Atriani de Tremodie" e ancora "Anselei de Cicalio". In questo villaggio era sita un'antica Chiesa dedicata a S.M. di Trimoggia. Fino all'undecimo secolo nella Chiesa risiedeva un Collegio di preti, che aveva a capo il "Preposto", il quale provvedeva alla cura delle anime dei villaggi circostanti. Molestati spesso da incursioni barbariche, chiesero ed ottennero poi dal Vescovo Desidio (29) di non risiedere più nel villaggio, ma di trasferirsi in Andria (30).
I Normanni distrussero infine il villaggio. Gurgo è sito a poca distanza da Trimoggia. Non sappiamo sicuramente se Gurgo ne facesse parte e se la sua rovina debba attribuirsi alla mano dell'uomo o all'opera della natura.
Alle falde di questa cavità ci sono delle grotte in una delle quali si manteneva il culto dell'arcangelo S. Michele, del quale si vedevano gli avanzi di un antico affresco, ormai cancellato dal tempo. Questo ci porta a credere che un dì sia appartenuto al villaggio distrutto (31). Anche in questo caso risulta evidente fra gli abitanti delle grotte tufacee una organizzazione tale da essere definita "Civiltà Rupestre" (32).
Il Preposto Pastore in un suo articolo che appare sulla Gazzetta Civica Napoletana in data 17 novembre 1786 in risposta ad un altro articolo in cui precedentemente si era negata l'esistenza del villaggio di Trimoggia, ci fornisce dati più precisi al riguardo. Vi si legge che un terremoto era stata la causa della voragine attuale, che anticamente conteneva il villaggio di Trimoggia ed è precisato anche che non se ne era verificato l'eguale prima di allora.
"Non avvenne tutto d'un tratto precisa, ma si aprirono prima in quello spazio di terra, molte voragini".
"La voragine di Trimoggia, dal volgo chiamato "gurgo" continua il Pastore - situata in un campo piano distante dalla città di Andria mille passi a libeccio di esso, si stende nell'ampiezza e circonferenza di circa seicento passi, in forma sferica, sebbene irregolare ... " (33).
Al bordo del burrone vi è una caverna in cui si osservano alcune pitture che si trovano nella superficie dei lati e sono di stile greco. Una di queste pitture rappresenta l'arcangelo S. Michele. Esistono, anche, altre pitture raffiguranti altri santi, ma al momento della risposta alla Gazzetta, il Pastore precisa che erano già talmente sfigurate da non poter più distinguere quali personaggi volessero rappresentare.
Il Preposto Pastore conclude la sua risposta all'articolo dicendo che la voragine veniva dal volgo chiamata S. Angelo in Gurgo (34).
Attualmente in Gurgo non si trovano che grotte piene di conformazioni calcaree. C'è da tener presente inoltre che recandosi sul posto, a poca distanza da Gurgo si trova l'Appia antica. Questa via si pensa abbia facilitato ancor di più gli scambi commerciali e liturgici con l'Oriente.
Oltre alle cripte già menzionate, intendiamo segnalare un complesso criptologico inedito.
Esistono nella zona Nebbia in agro di Andria, varie grotte. Attraverso un'apertura piuttosto ampia si accede alla centrale, in cui si nota un accenno di pavimento e sulle pareti rilevanti tracce di colore ocra bruno. Da questa si accede ad altri piccoli antri con dei ripostigli. Nelle grotte circostanti che sono identificabili come "Lamie", si scorgono buche in alto per dar luce all'ambiente e lungo le pareti, piccole buche per reggere le lucerne.
A poca distanza intercorrente gli uni dagli altri vi sono innumerevoli ripostigli e non mancano vestigia di camini per la cucina. Le lamine nude e squallide sono allineate su piani orizzontali.
Questi sono da ritenersi insediamenti civili (35) in quanto sono complessi criptologici vasti, con un numero consistente di grotte costituite da più vani, talvolta distribuiti su piani diversi, collegate fra loro da sentieri e scalette e dotate di sistema di canalizzazione delle acque piovane con vasche e cisterne.
Di quello che invece è il documento meglio conservato e più interessante, fra i vari insediamenti presenti attorno alla città di Andria, e cioè la Cripta di Santa Croce, si avrà modo di parlare in maniera più approfondita e completa nel prosieguo della presente trattazione.
dr. Agata Lambo