Come in ogni chiesa, entrando, incontriamo affissa sulla prima parasta la conchiglia di marmo dell’acqua santa che ci invita a segnarci e a purificarci prima di appressarci alla Divinità: la conchiglia e l’acqua in essa contenuta sono, infatti, sin dall’antichità simbolo per eccellenza di nascita, di vita nuova, purificazione e ricreazione dello spirito in Cristo. [1] Sotto reca l’epigrafe della devota offerente: "NUNZIA VEDOVA QUARTODIPALO".
Sulla parete del primo fornice è affissa una tela in un'ampia e ricca cornice di gesso
che nella forma segue la curvatura a tutto sesto della cona.
Il dipinto raffigura una Madonna delle grazie col Bambino Gesù seduto sul
ginocchio destro, alti sulle nuvole in una grande aureola di luce: Madre e Figlio,
protettori, guardano amorevolmente in basso i vincenziani Padri della Missione e
Figlie della Carità, che in oriente (nella tela si vedono delle pagode)
assistono e soccorrono piccoli salvati dall'estrema indigenza,
curandoli e portando cibo e acqua.
Sul dipinto sono scritte in basso a sinistra la firma e la data: "T. Paoloni - Roma 1888".
La tela è stata realizzata immediatamente dopo
la ricostruzione della Chiesa, avvenuta nel 1881;
le suore vincenziane hanno sul capo la "cornetta", caratteristico cappello a tese larghe,
che hanno dismesso nel 1964, mentre il missionario porta
la berretta nera quadrata con i tre rialzi a spicchio.
In attesa di reperire documenti di conferma possiamo ipotizzare che tale quadro sia stato affisso nella chiesa di Sant'Angelo perchè ad essa era annesso un "Hospitium peregrinorum" , al quale dalla prima chiesa si accedeva attraverso una porta laterale che aveva tale scritta incisa nell'arco (si legga la nota 20 dell'opuscolo di N. Cristiani del 1883); pensiamo che il ricovero fu anticamente edificato per i pellegrini e poi probabilmente utilizzato, forse fino a tutto il Seicento, soprattutto per poveri e migranti. Nessuno storico ottocentesco parla espressamente di un ospizio presso la chiesa, né d'esso v'è un cenno nelle visite pastorali effettuate dal Settecento in poi.
All'interno della cuna, che un tempo chiusa da una cancellata ospitava il battistero, si erge una colonnina a piramide quadrata tronca con la classica statua della Madonna di Lourdes. Questa statua, dai primi anni Sessanta quando fu eliminato il pulpito e fino a qualche decennio fa, era collocata nella nicchia della parete destra, dove attualmente è esposta la statua del Sacro Cuore.
Al centro della parete, come nel lato destro, è ricavata una stretta e bassa cona, che un tempo ospitava un confessionale ed aveva una porticina che conduceva nei retrostanti ambienti adiacenti; in essa è allocato un elegante battistero in pietra levigata a forma di calice a coppa ampia contenente una acquasantiera in rame sormontata da una croce. Questo battistero, coperto con una struttura conica lignea, negli anni Cinquanta del secolo scorso si trovava nel primo fornice sinistro, chiuso da una cancellata; sul plinto di base un'iscrizione riporta il nome del devoto per la cui memoria fu eseguita l'opera, "alla memoria / di / Michele Fallacara / 1948".
Sulla parete di fondo del battistero è affissa una tela raffigurante
il battesimo di Gesù nel Giordano ad opera di San Giovanni, detto appunto il Battista;
dietro Gesù immerso nell'acqua fino alla cintola e inondato dalla luce del Padre
due discepoli attendono di adempiere il rito purificatore, mentre sulla riva
due pie donne (Maria, la madre di Gesù, e Maria di Cleofa?)
assistono meditabonde all'evento.
L'opera, fatta realizzare dalla famiglia Guglielmi-Musaico, è firmata e datata: "C. Di Palma '03"
Immediatamente sopra il battistero c'è una elegante edicola in marmo
(foto a sinistra); la base è retta da due peducci scolpiti a foglia,
la cornice, lavorata a toro e scanalature, termina con un arco a sesto acuto.
All'interno è posta la statua di Sant'Agnese: ha sul capo una corona di rose
e regge sul seno un agnello, simbolo della sua purezza e sacrificio;
veste un abito bianco (forse la "stola" romana) dalle ampie maniche, con una mantella rosa
(chiamata "palla") finemente bordata con
ricami floreali dorati. La base della statua porta il nome della devota
offerente: "A DIVOZIONE di MARIA PAPA / FU GIOVANNI" .
Sotto l'edicola una targa in marmo reca la scritta: "SANCTA AGNES - 1923"
Nell'antica chiesa, demolita per far posto a questa nuova, c'era un affresco di "una Vergine con aureola in testa e con la palma del martirio in mano"; non sappiamo chi rappresentasse, poteva essere anche Sant'Agnese (o comunque un'altra santa martire).
Il secondo grande fornice di sinistra ospita un altare marmoreo in commesso
di pietre policrome a disegni geometrici con due grandi volute ai capialtare.
I marmi colorati utilizzati per gli inserti decorativi nel bianco di Carrara sono:
il broccato rosso di Verona nel gradino inferiore del postergale,
il brecciato rosso di Collemandina col verde Alpi e piccoli inserti di broccatello giallo di Siena
nel gradino superiore del postergale nonché nei laterali e paliotto inferiori.
La mensa, su una predella d'un sol grado, è retta da due paraste
terminanti con una mensola sviluppata a nastro
volutiforme e rifinita alla base da un motivo fogliare.
Sul lato sinistro, in cornu evangelii, porta
i nomi dei devoti offerenti, VITUS BRUDAGLIO - ET - MARIA LOSITO CONIUGES;
sul lato destro, in cornu epistolae, l'anno, A.D. 1881.
"C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente. Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe, bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe. Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui. Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura. ..."
Una simile riproduzione del dipinto è presente sulla parete destra del cappellone di San Benedetto in Santa Maria dei Miracoli, mentre sulla parete sinistra del presbiterio della chiesa del Crocifisso è realizzata la stessa immagine, ma originalmente riprodotta in bassorilievo di cartapesta.
[altare dedicato a S. Nicola da Tolentino nel 2° fornice sinistro: ciborio e particolare della portellina del ciborio]
Il ciborio di questo altare laterale, come il gemello di quello opposto,
ricalca nelle linee principali, ma in tono minore, lo stile dell'altare maggiore:
due colonnine in breccia aurora S. Carlo (o botticino fiorito) complete di basi e capitelli attici,
di essenziale eleganza, sostengono una trabeazione a fasce di marmo statuario e broccatello giallo di Siena,
gravata da un classico timpano con inserto di un brecciato rosso scuro (di Collemandina),
utilizzato contestualmente nell'adiacente gradino superiore del postergale.
La porticina in ottone argentato, reca scolpiti a sbalzo l'Ostia consacrata,
cinta da nembi e da una raggiera, con la centro l'usuale sigla del nome di Gesù
(le prime tre lettere greche di IHΣOΥΣ)
soprastante i tre chiodi della passione;
in basso è scolpita la scena delle anime purganti, col Sacrificio eucaristico
graziate dalla pena.
Quanto artisticamente sbalzato sulla portellina del ciborio
richiama la dedica dell'altare a San Nicola da Tolentino.
La conchiglia simbolo di ri-nascita spirituale e di resurrezione la troviamo scolpita in quasi tutti i luoghi sacri; un esempio: sui portali presenti in Cattedrale, su quello di S. Domenico e su quello di Porta Santa. Essa inoltre ha ispirato numerose opere d’arte come la celebre “Nascita di Venere” del Botticelli, ...“Si rallegri in alto il cielo e gioisca quaggiù la terra, frema il mare del mondo! Vi è nata infatti una conchiglia [Maria] che, per opera della luce celeste della divinità, concepirà nel seno e partorirà una perla preziosissima: il Cristo. Da essa uscirà il Re della gloria, rivestito dalla porpora della sua carne, per «visitare i prigionieri», e per «proclamare la liberazione». La natura trabocchi di gioia: l’Agnellino viene al mondo, grazie al quale il Pastore rivestirà la pecora, togliendole le tuniche dell’antica mortalità.”
"La tela di S. Nicola da Tolentino, che si ammira nella cappella di S. Benedetto nel nostro Santuario, contrariamente a quanto riportato [da Mario Scudu sdb] in un sito Web [in nota: http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/08-Settembre/S_Nicola_da_Tolentino.html], non è di Tito Troja. È senza firma. Dall’appendice a Vita e martirio di P. Lo Jodice (p.46) leggiamo che “si diede commissione alla Ditta dei Fratelli Bertarelli di Milano per la tela di S. Nicola da Tolentino. Questa è copia del rinomato Gagliardi in S. Agostino a Roma, eseguita da certo Carlo Wilmer. Ha costato lire trecento, e lire cento la cornice. E’ venuto nel Santuario a Gennaio 1900”. Non si tratta, quindi di un dipinto ma di una stampa oleografica. Il quadro si trova nella cappella di S. Benedetto, di fronte alla tela della Madonna della Cintura ed ha le stesse dimensioni. Questo quadro, stranamente, non è mai stato preso in considerazione dagli studiosi locali che si sono interessati dell’arte del Santuario. Della stessa tela, dedicata a S. Nicola da Tolentino, vi è un altro esemplare nella chiesa di Sant’Angelo al Lago, qui, nella nostra città. E’ collocata sulla bussola d’ingresso, talché per osservarla bisogna dare le spalle all’altare."