Sull'altare in commesso di marmi policromi, posto nel cappellone di destra e realizzato (probabilmente) dal marmoraro napoletano Domenico Troccoli, dal 2020 è affissa una tela raffigurante una Crocifissione, scambiata con quella di San Benedetto, ora sffissa nel cappellone a fronte.
Sotto la croce, che giganteggia nell'insieme in un cielo fosco e plumbeo con riverberi rossastri, la Madonna vien meno tra le braccia di Marta e San Giovanni, mentre Maria di Magdala si dispera, prona e avvinghiata ai piedi del legno; a destra soldati si interrogano sull'eccezionale fenomeno che accompagna l'evento o si allontanano a cavallo col rosso vessillo di Roma targato S.P.Q.R..
La tela, insieme alle due Natività (di Gesù e di Maria) sulle pareti del coro, alle quattro poste sugli altari laterali, alla tela di Salomone che riceve la regina di Saba (oggi sulla scalinata destra) e a quella di San Benedetto nell'opposto cappellone, è da alcuni attribuita al pittore Alessio d'Elia (nato nel 1718 – morto dopo il 1770, data del suo ultimo lavoro conosciuto e firmato) e realizzata, se sua, probabilmente tra il 1745, data dell'altare, e il 1755.
In merito all'attribuzione dell'opera la Prof. Domenica Pasculli Ferrara nel Dizionario Biografico degli Italiani (Volume 36), nella pagina pubblicata online da Treccani su "D'Elia, Alessio", così scrive:
"Delle numerose opere di questa chiesa, tradizionalmente assegnate al D'Elia, sono da ascriversi sicuramente a lui, oltre a quelle firmate e datate 1755 - [S. Nicola, citata prima] la Natività di Gesù, Natività di Maria, Incontro fra la regina di Saba e Salomone -, anche S. Michele arcangelo, il Martirio di s. Placido e S. Mauro e gli appestati.
Non sembrano suoi i piccoli affreschi, molto sciupati, nel succorpo, la tela nel cappellone di S. Benedetto, di fattura mediocre, la sovrapporta già in questa chiesa, ora in S. Nicola ad Andria. Potrebbe forse ascriversi al D'Elia la tela della Crocefissione, nell'omonimo cappellone, che riprende l'analogo soggetto di Marco Pino ai Ss. Severino e Sossio a Napoli (D'Elia, 1982, p. 294), con una piccola variante, e datarsi ad un decennio precedente, al 1745, data di esecuzione dell'altare marmoreo ad opera del marmoraro napoletano Domenico Antonio Troccoli (Pasculli Ferrara-Nappi, 1983, pp. 140 s.)."
Il quadro sulla parete sinistra, dipinto da Tito Troja, firmato e datato 1902 (in basso a destra), rappresenta la "Mater Consolationis": è il titolo della Vergine che l'autore ha scritto sul piedistallo del trono sul quale Ella siede. Questo tipo di composizione è detta anche "Madonna della Cintura" in quanto la Vergine e Gesù bambino sono dipinti nell'atto di donare una cintura (in questo quadro e nella maggior parte di quelli così intitolati) a Santa Monica e a suo figlio Sant'Agostino. Nella scena un angelo tra quelli oranti sullo sfondo porge a Maria le cinture mentre un putto accoccolato davanti al trono scrive su una pergamena l'effetto ottenuto dall'indossare una di quelle cinture "Cingulo suo confortavit nos"; alri putti alzano verso di Lei simboli delle sue virtù e patimenti, come bouquet di fiori e un cuore trafitto da un dardo.
Nicola Montepulciano, in un suo studio del 2012, condotto unitamente ad Annalisa Lomuscio, Luigi Renna e Vincenzo Zito, approfondendo egli "Tito Troja, pittore “Agostiniano” in Andria", scrive:
"Nelle sue pubblicazioni il P. Lo Jodice descrive le tele in ordine di arrivo al Santuario. La prima tela ad essere descritta è La Madonna della Consolazione o della Cintura con S. Agostino e S. Monica . Raffigura la SS. Vergine che dà la Sacra Cintura a S. Agostino ed il Bambino Gesù a S. Monica. Dice testualmente Padre Lo Jodice: “Questo quadro è sul tipo di Raffaello e tutta di lui sembra la testa della Madonna. Quanto è mai caro quel gruppo di cinque angeli che le stanno ai piedi! Che dire del numeroso coro angelico che in alto canta le glorie di Maria e del suo sacro Cingolo?”. Questa tela arrivò nel marzo 1902 e fu pagata 500 lire, che oggi corrispondono a circa 2018 Euro. L’apparente basso costo della tela non tiene conto dell’alto potere di acquisto che la lira possedeva nel 1902. Possedere 500 lire voleva dire essere benestante, se non ricco. La tela ora si trova nella cappella di S. Benedetto. Misura m 1,66 x 2,35 di altezza e poiché non occupa tutta la specchiatura in gesso allestita nel 1754 è dotata di cornice propria."
[estratto da “Tito Troja, pittore “Agostiniano” in Andria” in “Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria” di Annalisa Lomuscio, Nicola Montepulciano, Luigi Renna, Vincenzo Zito, estratto dalla "Rivista Diocesana Andriese" Anno LV - n. 3 - Settembre/Dicembre 2012, pag. 167]
Nella stessa rivista su citata è riportato lo studio di Annalisa Lomuscio "Tito Troja, un pittore al 'servizio' della fede". In merito a questo quadro l'autrice scrive:
"La tela, firmata e datata 1902, è collocata sulla parete sinistra della Cappella di San Benedetto. Inserita entro una semplice cornice lignea, occupa uno spazio che doveva essere pensato per un altro dipinto, di forma diversa e di dimensioni maggiori. La sintassi è complessa e articolata: la scena ha una struttura piramidale e una prospettiva centripeta. Al vertice della composizione è posta la Vergine con il Bambino, assisa su un alto trono di legno dorato, intagliato a volute. Il trono con cartiglio centrale, su cui si legge l’intitolazione MATER CONSOLAT(ionis), è posto sulla sommità di una base lignea scandita in tre gradoni decorati con motivi classicheggianti di lesene e rosette, al centro è stesa una passatoia verde bordata di rosso che ricopre in parte anche il pavimento ricoperto di petali e foglie. La Madonna, scalza, indossa una veste rossa stretta alla vita da una sottile cintura; il capo è coperto da un leggero velo turchese come il mantello che ne avvolge la figura, lasciando libere le braccia con cui, da un lato, da la cintura a S. Agostino mentre dall’altro sorregge il Bambino, semicoperto da un panno bianco e seduto sul suo ginocchio sinistro, raffigurato nell’atto di porgere la cintura a S. Monica, che la bacia. I due Santi, inginocchiati, sono in posizione simmetrica e i loro sguardi rapiti tracciano due linee ideali: l’una congiunge gli occhi di Sant’Agostino a quelli della Vergine, l’altra quelli di Santa Monica con quelli del Bambino. Accanto al Santo, sul primo gradino, è poggiato un libro che sembra quasi uscire dal piano verso lo spettatore, dando il senso della profondità. Ai piedi della Santa, un gruppo di cinque putti, tre dei quali sono disposti a formare un triangolo. Quello biondo, al centro, seduto sul secondo gradino, è dipinto frontalmente ma ha il capo piegato all’indietro e guarda con intensità la Madonna alla quale, con la mano destra, porge un cuore fiammeggiante, mentre con la sinistra aiuta l’angioletto seduto sul gradino più in basso -a sinistra di chi osserva- a sorreggere un grande foglio. Questo secondo angioletto, bruno e riccioluto, panneggiato in un morbido drappo rosa trattenuto sulla spalla da un nastro rosso, ha lo sguardo fisso sullo spettatore, regge nella mano sinistra un grande foglio e impugna con la destra una penna d’oca con cui sta terminando di scrivere la frase Cingulo suo confortavit nos. Sulla destra di chi osserva è invece il terzo: biondo e seminudo, indossa una cintura che gli blocca alla vita un panno celeste, il quale ricade fino ai suoi piedi lasciandogli scoperta la gamba sinistra. Dipinto di tre quarti, volge lo sguardo verso l’alto, alla Madonna e al Bambino, offrendo loro un mazzolino di fiori. Un pò defilati rispetto alla composizione principale e meno definiti nei contorni e nei colori, altri due piccoli angeli bruni, di cui quello in primo piano reca nelle manine giunte un altro mazzetto di fiori. Sullo sfondo giallo oro, dietro le figure principali della Vergine e di Gesù Bambino, compare una folta schiera di Angeli, la maggior parte dei quali appena abbozzati, in atteggiamento di preghiera; anche nei loro abiti predominano il rosa e il celeste. Ne spicca uno che porge alla Madonna un vassoio su cui sono poggiate delle cinture. La scena culmina in una folla di teste angeliche, alcune delle quali si dispongono in cerchio sopra al capo di Maria.
Dice testualmente Padre Lo Jodice: “Questo quadro è sul tipo di Raffaello e tutta di lui sembra la testa della Madonna”. A mio modesto avviso, sono raffaelleschi l’impianto complessivo del dipinto, oltreché l’atteggiamento e i colori delle figure principali, soprattutto quelli della Vergine, di Gesù Bambino e dei puttini; i volti più riusciti sembrano, invece, quelli di Sant’Agostino e dell’Angioletto in primo piano al centro; di quest’ultimo colpisce lo sguardo sereno, ma al tempo stesso “saggio” e penetrante."
[estratto da “Tito Troja: un pittore al “servizio” della fede” in “Le tele di Tito Troja nel Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria” di Annalisa Lomuscio, Nicola Montepulciano, Luigi Renna, Vincenzo Zito, estratto dalla "Rivista Diocesana Andriese" Anno LVI - n. 1 - Gennaio/Aprile 2013, pag. 167-169]
Una tela di fine settecento dello stesso soggetto è presente sul 3° altare laterale destro nella chiesa di Sant'Agostino, datata 1789 e firmata dal tranese Gian Battista Calò.
Il quadro sulla parete destra del cappellone, anch'esso non combaciante con la cornice in gesso che lo ospita, è una riproduzione-stampa oleografica a colori (molto usata a fine Ottocento e primo Novecento); riproduce, in base alle sotto citate ricerche di Nicola Montepulciano, un dipinto di Pietro Gagliardi (1809-1890) realizzato (tra il 1854 e il 1868) nella basilica di Sant'Agostino in Campo Marzio a Roma, [nella cappella di San Nicola da Tolentino, riprendendo probabilmente una seicentesca composizione originale preesistente di Giovan Battista Ricci (cfr. A. M. Pedrocchi, "La Cappella di San Nicola da Tolentino in Sant’Agostino a Roma: risvolti di un’annosa diatriba, estratto dal Bollettino d'Arte, 2006, fasc. 135-136, pag 97, edito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo)]. A probabile conferma di ciò Giovanni Baglione, nella biografia del Ricci (in Le Vite de' pittori, scultori, architetti ed intagliatori. Dal pontificato di Gregorio XIII. del 1572. fino a' tempi di Papa Urbano VIII. nel 1642., Napoli, 1733, pag. 142) scrive:
«In Sant'Agostino [G. B. Ricci] ha dipinto tutta la volta della Cappella di S. Monica, madre del Santo Dottore, con diverse istorie di quella Santa, in fresco. E quivi anche la Cappella di S. Niccolò da Tolentino quasi tutta fu da lui fatta a fresco con la vita del santo. E parimente nella Sagrestia tutta la volta è di sua mano in fresco colorita.»
Il dipinto descrive un effetto della celebrazione eucaristica, legato anche alla devozione per S. Nicola da Tolentino: le anime dei defunti, purganti, terminano prima la loro purificazione grazie alla messa, celebrata nel quadro dal Santo con ai suoi piedi prostrato un suo confratello agostiniano.
Una simile riproduzione è presente sull'altare laterale di sinistra nella chiesa di S. Michele Arcangelo e S. Giuseppe (detta Sant'Angelo), mentre sulla parate sinistra del presbiterio della chiesa del Crocifisso è presente la stessa immagine, ma originalmente riprodotta in bassorilievo di cartapesta.
Scrive Nicola Montepulciano nel già citato studio:
"La tela di S. Nicola da Tolentino, che si ammira nella cappella di S. Benedetto nel nostro Santuario, contrariamente a quanto riportato in un sito Web [in nota: http://www.donbosco-torino.it/ita/Kairos/Santo_del_mese/08-Settembre/S_Nicola_da_Tolentino.html], non è di Tito Troja. È senza firma. Dall’appendice a 'Gli undici beati martiri agostiniani del Giappone', di P. Lo Jodice (p.46) leggiamo che “si diede commissione alla Ditta dei Fratelli Bertarelli di Milano per la tela di S. Nicola da Tolentino. Questa è copia del rinomato Gagliardi in S. Agostino a Roma, eseguita da certo Carlo Wilmer. Ha costato lire trecento, e lire cento la cornice. E’ venuto nel Santuario a Gennaio 1900”. Non si tratta, quindi di un dipinto ma di una stampa oleografica. Il quadro si trova nella cappella di S. Benedetto, di fronte alla tela della Madonna della Cintura ed ha le stesse dimensioni. Questo quadro, stranamente, non è mai stato preso in considerazione dagli studiosi locali che si sono interessati dell’arte del Santuario. Della stessa tela, dedicata a S. Nicola da Tolentino, vi è un altro esemplare nella chiesa di Sant’Angelo al Lago, qui, nella nostra città. E’ collocata sulla bussola d’ingresso, talché per osservarla bisogna dare le spalle all’altare."
Una sola tela adorna il cappellone di sinistra:
dal 2020 è affissa la tela raffigurante San Benedetto, che prima era nel
cappellone opposto; il Santo è in abito vescovile che dal suo stallo indica
una norma fondamentale della sua regola ai suoi seguaci e ad alcuni
regnanti, tutti proni ai suoi piedi in atto di ascolto e sottomissione. La
regola è aperta al 7° versicolo del capitolo III, dove si ingiunge "In omnibus [igitur] omnes magistram sequantur regulam neque ab ea temere declinetur a quoquam",
che può tradursi "In ogni circostanza, dunque, tutti seguano come maestra la Regola
e nessuno osi da essa allontanarsi.".
Il sottostante altare mormoreo, stando al
documento rinvenuto da Eduardo Nappi nell'Archivio Storico del Banco di Napoli, è quello certamente realizzato da Domenico Troccoli nel 1745.
Circa la possibile attribuzione di tale dipinto ad Alessio D'Elia, ne abbiamo parlato descrivendo, ad inizio pagina, la tela della Crocifissione.