La chiesa di San Domenico e i resti del chiostro ad essa adiacente risalgono
com’è noto al 1398, data in cui, per volere di Sveva Orsini, seconda moglie
del duca Francesco I del Balzo, fu fondato ad Andria il convento dell’Ordine dei Domenicani,
inizialmente dedicato a Santa Maria dell’Umiltà.
La datazione tardo-trecentesca dell’impianto chiesastico e conventuale è ormai consolidata,
in quanto fa riferimento alla
Bolla papale siglata da Bonifacio IX, con la quale
la S. Sede permise l’insediamento dell’Ordine domenicano sul fondo dato in donazione
dalla stessa Sveva Orsini.
In realtà, nel 1398 non fu dato inizio (almeno per quanto si evince dalle storie locali)
che alla chiesa, alla sagrestia, a parte del convento e al chiostro minore, mentre l’intero
complesso dei fabbricati fu completato nel corso di almeno tre secoli.
L’impianto gotico originario, d’altronde, ha subito diverse trasformazioni, in seguito a distruzioni,
saccheggi e calamità naturali, la cui successione cronologica è però difficile da stabilire.
Quattro comunque furono i momenti cruciali in cui si ebbero delle sostanziali e documentate modifiche, se non dell’impianto planimetrico e volumetrico fondamentale della chiesa, almeno di quello del convento, e comunque dell’aspetto architettonico interno ed esterno della chiesa stessa. Infatti, dal momento della fondazione (1398) si ebbero nell’ordine:
Naturalmente, all’interno di questa sommaria cronologia, assai sono i punti oscuri, e non contribuiscono a chiarirli né le storie locali, in tutta evidenza alquanto romanzate anche se per altri versi utilissime, come quelle di Riccardo D’Urso (1842) e dal citato Emanuele Merra (1897), né i documenti originali, andati ormai per la maggior parte dispersi o distrutti.
Per risolvere alcuni problemi cruciali, relativi non solo alla mera datazione, ma anche ad una effettiva riconoscibilità dell’impianto chiesastico e conventuale, l’unica strada percorribile si rivela essere quella dei saggi conoscitivi sulle murature e in fondazione, e tali saggi, operati fin dall’inizio parallelamente alle opere preparatorie per il restauro del campanile e della chiesa, a scopo quindi preventivo e cautelativo, hanno finora riservato non poche sorprese.
La prima zona che ha destato in noi particolare interesse e ha fatto scaturire i primi dubbi per quanto riguarda la datazione e quindi la connessione originaria fra impianto conventuale e chiesa vera e propria, è quella che comprende la sagrestia, la chiesetta interna alle mura del convento situata nelle immediate adiacenze del campanile (attualmente [1988] adibita a sala parrocchiale) ed il piano superiore relativo alla porzione di portico antistante ad essa, ormai chiusa.
Altro oggetto di particolare interesse e curiosità, e dunque di dibattito, è la muratura laterale della chiesa, oggi interna al piano superiore della porzione di porticato ad essa adiacente, nella quale, pur essendo presenti tracce ogivali probabilmente attinenti a quella che doveva essere la finestratura laterale originaria, non si rileva una fattura particolarmente pregevole, mentre ad esempio con tutt’altra perizia e dovizia di materiali sembrano state erette le murature della sagrestia.
L’ultima scoperta infine, che forse rappresenta un punto nodale per la comprensione degli altri enigmi, è quella del sepolcreto che occupa tutta la parte sottostante al pavimento della chiesa.
Tale scoperta è stata originata da saggi sistematici fatti a livello della pavimentazione, inizialmente allo scopo di identificare le cause di una notevole risalita di umidità dal sottosuolo sulle pareti interne della chiesa.
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A questo punto, conviene secondo noi porre ogni quesito all’interno di una sorta di quadro d’unione, la cui rete di riferimento può essere costituita da sette correlazioni fondamentali:
A tali sette correlazioni presiede la definizione principale del rapporto Chiesa – Convento:
Da questa prima schematizzazione si escludono momentaneamente (e perché più certamente successivi) gli inserimenti del chiostro maggiore e del campanile, l’uno perché nato da un’imprevista crescita, in numero di unità e di importanza, della comunità domenicana, e l’altro perché motivato dall’accresciuta importanza della chiesa all’interno della comunità urbana, mentre il nucleo originario perdeva ogni valore di rappresentanza, in quanto sostituito a questo scopo dal ben più monumentale impianto del chiostro maggiore.
Ci fermeremo per ora, in sintesi, all’analisi del nucleo originario, proprio perché notevolmente più oscura e complessa ci sembra essere stata la sua genesi.
Nella Bolla papale di Bonifacio IX, indirizzata ai Padri Domenicani, si legge che Donna Sveva Orsini domandava con la sua supplica che in quel luogo della città di Andria sorgesse "… unum locum pro usu et habitatione Fratrum Ordinis vestri cum Ecclesia, campanili, campana, coemeterio, claustro, dormitorio, refectorio, domibus, et aliis necessariis officinis …" e che tutto ciò fu concesso. [2]
Non è dato sapere se il cimitero dei monaci sia poi stato ricavato all’interno della Chiesa o in altro luogo interno alle mura del convento. Certo è comunque che al di sotto del pavimento della chiesa è stato rinvenuto un impianto tombale complesso e ordinato, un cimitero vero e proprio dunque, con i sepolcri posti quasi ortogonalmente all’asse della chiesa per tutta la sua lunghezza. Tale sepolcreto non è stato ancora rilevato con precisione dall’interno, ma la sua planimetria risponde più o meno allo schema seguente:
Il problema è dunque questo: il cimitero preesisteva alla chiesa e la chiesa vi è stata costruita sopra, oppure è successivo alla chiesa e dunque vi è stato scavato all’interno?
I dati a nostra disposizione sono contrastanti:
L’ipotesi che viene immediato formulare è a questo punto che la muratura della chiesa possa essere stata, se non costruita, quanto meno ricostruita in tempi successivi alla presunta data di fondazione. A questo punto, crollerebbe anche l’ipotesi che il chiostro minore possa risalire allo stesso 1398, visto che la struttura di tale chiostro risulta saldamente impiantata nella muratura laterale della chiesa.
Questo discorso coinvolgerebbe anche la facciata, in quanto i conci di facciata rigirano sull’angolo sinistro all’interno del chiostro (è stato fatto a questo proposito un saggio di verifica proprio sulla situazione angolare); se ne conclude che, o è lecito pensare che la chiesa attuale sia una ricostruzione globale della chiesa originaria (ma le finestre ogivali sarebbero allora inspiegabili), e quindi il chiostro è anch’esso ricostruito, o coevo alla ricostruzione, e quindi non gotico, oppure chiesa e chiostro sono davvero quelli originari per quanto riguarda le murature, e allora la costruzione della chiesa è stata effettuata nella più completa ignoranza almeno di una parte della situazione sotterranea.
Per quanto riguarda la sagrestia, possiamo notare, come si è detto, che la sua struttura muraria è di gran lunga superiore, qualitativamente, rispetto alle murature dell’intera chiesa.
Le notizie storiche in nostro possesso riguardanti la sagrestia si riferiscono soltanto al suo restauro e alle opere decorative effettuate dopo il 1750, ma non ci è dato sapere nulla della data di costruzione. Riporta il Merra: “(…) Abbellita la Chiesa, fu necessario far abbellire ancora la sagrestia, che nel 12 luglio 1752 il Priore Fra Lorenzo Germano aveva proposto risarcire e ripulire con intonachi ed ornamenti di quadri, e con alla testa un grande Crocifisso, accanto a cui furono dipinti sul muro l’Addolorata, S. Giovanni, e la Maddalena. Attualmente il Crocifisso sta in Chiesa, a destra di chi entra per la porta maggiore. Ai 9 settembre 1773, volendosi sempre più abbellire questa Sagrestia, dal Padre Priore Fra Ludovico Buchicchio si propose di ornarla di stucchi (…)” [4]
Di un affresco si è trovata traccia, sul muro della Sagrestia comune colla Chiesa, a destra della porta che si apre fra il chiostro e la sagrestia stessa. Benché tale affresco non sia stato, prudenzialmente, liberato, esso risulta stare, in linea di massima, piuttosto in basso, fino a toccare il pavimento, cosa che fa immediatamente supporre che il pavimento attuale della sagrestia stia molto al di sopra del suo piano originario.
È stata inoltre rinvenuta, all’interno del muro della sagrestia a confine con la scala, una pila in pietra, ricavata da un unico blocco, di origine incerta.
Per quanta riguarda il rapporto della Chiesa con la sagrestia, l’unico varco di comunicazione era originariamente quello indiretto, che si apre nell’ambiente che mette in comunicazione la sagrestia con il chiostro. In seguito fu poi aperta la porta nella zona presbiteriale.
Leggiamo nella storia del D’Urso: "(...) Troviamo in questo frattempo, che i nostri Padri Domenicani, volendo dilatare il loro Convento, si siano portati nel Palazzo Ducale a supplicare il Re, onde si fosse degnato accordare loro la Chiesa di S. Colomba di pertinenza del Regio Fisco, attaccata alle loro mura. Il Re, anche ad insinuazione del nostro Duca, commise la supplica al Cardinale Orsino Commissario Generale del Papa, che concesse loro la grazia. Così quella fu subito incorporata coll’altro fabbricato (...)Si è questo rilevato da una pergamena conservata da questi Domenicani, la quale terminava: Datum Andriae ex Domibus Ducalis habitationis nostrae die VI. Januarii millesimo quadringentesimo quinquagesimo nono. (...)" [5].
Esistendo all’interno del chiostro minore, nelle immediate adiacenze del campanile, una chiesetta la cui facciata è ancora perfettamente riconoscibile, con il suo portale in pietra e i due finestroni laterali murati, ed essendo questa completamente accorpata al resto della fabbrica domenicana, ci sembra facile supporre che si tratti proprio della S. Colomba citata.
L’epoca dalla costruzione della chiesa di S. Colomba, genericamente data come preesistente al convento e alla chiesa di S. Domenico, secondo noi non dovrebbe essere comunque anteriore al 1309, anno in cui la principessa Beatrice d’Angiò, moglie di Bertrando del Balzo, “ … La prima volta ch’ella con Bertrando si portò a visitare questo Duomo, si degnò fra le pubbliche voci di ringraziamento, e tra le comuni commozioni di santa tenerezza, donare a questo Reverendissimo Capitolo una delle maggiori Sacratissime Spine, che avevano composta la Corona del nostro Redentore: come anche l’intero capo della Vergine, e Martire S. Colomba, riposto in una testa di argento col rispettivo busto (…)”. [6]
[testo tratto dalla relazione presentata in pubblica assemblea al termine di quella prima fase di lavori]