Abbazia e Chiesa di Santa Maria dal Monte

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Chiesa di S. Maria del Monte

L’antica abbazia di S. Maria del Monte

di Pietro Petrarolo (1927-2007)

ingresso alla sala
[L'Abbazia di S. Maria del Monte
elaborazione elettronica realizzata sul fantasioso disegno tratto da pag. 185 del libro “ANDRIA la mia città”, di Riccardo Loconte, tip. Del Zio, Andria, edizione V, 1992.]

Sulla falda meridionale del Monte della Murgia, su cui domina il Castello di Federico II di Svevia, a circa 493 metri s.l.m., è sorta una chiesa di ardita concezione moderna [foto a fine pagina], munifico dono dei coniugi Felice e Grazia Ricciardi, opera dell’ing. F. Palladino e degli architetti della “Domus Dei”.

La nuova chiesa di S. Maria del Monte ha voluto rinnovare la presenza di una antica chiesa, annessa ad una abbazia benedettina, che certamente esisteva in quella zona intorno all’anno 1000 d.C. e di cui si hanno notizie fino a 700 anni fa.

È difficile tracciare una storia precisa e dettagliata dell’antico insediamento, poiché i documenti a nostra disposizione, purtroppo, non sono molti e non ci danno certezza né della nascita, né della scomparsa di quella che riteniamo una pregevole testimonianza di fede nella nostra regione.

L’abbazia era titolata «di S. Maria di Monte Balneolo» o semplicemente «di S. Maria del Monte» (data la particolare configurazione del monte, che si stacca dalla tipica ondulata orografia delle Murge) e apparteneva ai Padri Benedettini.

Che si tratti dell’Ordine di S. Benedetto è facile dimostrarlo: intorno al sec. X l’abbazia di Montecassino aveva territori di sua proprietà anche nel comprensorio barese e possedeva «in villam... que cognominatur andre vinee deserte et olivetalie bigintiseptem».

Dal Trinchera si apprende, appunto, che il 12 febbraio dell’anno 1000 Gregorio Tracaniota, Protospatario imperiale e Catapano d’Italia, confermava il possesso dei territori della provincia di Bari al monastero di Montecassino, essendo stati essi in precedenza sottratti dai Longobardi, che da Benevento giunsero fin nelle nostre zone; possesso riconfermato anche da altri due Catapani, Basilio Mesardonita (1011) e Photo Argiro (1032). D’altronde, l’esistenza del monastero, con annessa chiesa, è sufficientemente dimostrato dalla sua precisa indicazione in alcune Bolle papali presso l’Archivio diocesano di Trani e in alcuni documenti del Codice Diplomatico Barese, dei «Registri vaticani» e dell’Archivio storico per le Province napoletane.

La Bolla, emessa da Troia per mano di Grisogono, diacono Cardinale e VIII Bibliotecario di S. Romana Chiesa, porta la data degli Idi di Novembre, XIV indizione, «anno millesimo centesimo vicesimo primo» (1120) dell’Incarnazione del Signore e II del Pontificato di Callisto II («Idus Novembris indictione XIIII Incarnationis dominice anno M.° C.° XXI.° Pontificatus autem domini Calixti secundi pape anno II»).

La data è importante, perché può farci desumere anche il periodo presuntivo (intorno all’anno 1100) della costruzione della chiesa con convento, o almeno della sua riconosciuta importanza ai fini dei tributi da versare all’archiepiscopato di Trani, tenendo presente che un documento di Papa Urbano II, indirizzato sempre all’Arcivescovo tranese Bisanzio, dell’anno 1090, e cioè di appena 30 anni prima, mentre nomina Andria, non fa alcuna menzione di S. Maria del Monte.

Un’altra considerazione si potrebbe fare: pur essendo a quel tempo Andria e il suo territorio amministrati dal Vescovo, le abbazie e i monasteri (compreso quello di S. Maria del Monte) erano, almeno in un primo momento, tributari dell’archidiocesi di Trani, di cui Andria era diocesi suffraganea.

Dopo il 28 novembre 1192 non si sa con chiarezza che cosa sia avvenuto della chiesa e del convento di S. Maria del Monte. Alcuni storici, come mons. E. Merra, seguito dal prof. R. Napolitano ed altri, fanno riferimento al «Liber Censuum» di Cencio Camerario, da dove risulta che il monastero di S. Maria del Monte pagava nel 1192 un tributo alla Curia romana, pari a 1/2 oncia d’oro.

Il predominio degli Svevi (Enrico VI e Federico II), nella sanguinosa lotta per il possesso della Puglia, non dovette giovare alla permanenza dei Benedettini.

È probabile che il complesso edilizio dei Benedettini, per la presenza ostile degli Svevi, sia stato definitivamente abbandonato (vedansi Willemsen, Horst ed altri), subendo un degrado, che ne avrebbe decretato la fine nella 2a metà del sec. XIII.

Quando Federico II, presumibilmente intorno al 1230, decise di costruire il Castello, i suoi rapporti con i Benedettini non dovevano essere di pacifica convivenza. Né occorre avere molta fantasia per capire quale fosse lo stato del convento, quando l’imperatore, nella famosa lettera datata da Gubbio il 28 gennaio 1240, invitava il Giustiziere di Capitanata Riccardo di Montefuscolo a provvedere al materiale per il costruendo Castello «quod apud Sanctam Mariam de Monte fieri volumus» (che presso S. Maria del Monte vogliamo sia costruito). Importante appare un documento, datato da Viterbo il 23 agosto 1258. Si tratta di una lettera che Papa Alessandro IV invia all’Abate del monastero cisterciense di S. Maria Arabona nella diocesi di Chieti. Il Pontefice parla di un rapporto inviatogli dall’Abate e dai frati di «S. Maria del Monte Balneolo della diocesi di Andria», i quali, affermando che «il monastero fioriva per dovizia di beni spirituali e temporali (...spiritualium et temporalium ubertate vigeret...) prima della tirannica persecuzione di Federico II (ex persecutione tyrannica quondam Federici olim imperatoris Romanorum), nemico della Chiesa (inimici ecclesie...), lo supplicavano di interessare l’Ordine cisterciense a rimetterlo in efficienza e a riportarlo ad un pieno e completo culto e al decoro (...regularis observantie cultum reduci ac reparari poterit vel decorem).

Sempre dalla lettera citata apprendiamo che i frati di S. Maria del Monte si erano rifugiati presso il convento cisterciense di S. Maria dello Sterpeto, presso Barletta. Non sappiamo quale sia stato l’esito di quella lettera; ma ci pare che in altri due documenti notarili successivi (uno del 1264 e l’altro del 1286) S. Maria del Monte è citata solo come punto di riferimento di confine agrario per delimitazioni di proprietà. È certo che in un carteggio successivo, rilevato dai Registri angioini dallo storico G. Del Giudice e riportato da altri, il Castello federiciano è indicato come «Castrum Sancte Marie de Monte» e cioè Castello di Santa Maria del Monte (si noti che è scomparsa la congiunzione «apud», per dar luogo, a nostro parere, ad un semplice complemento di denominazione), fino alla petizione del castellano Leone Montemuro di Monopoli a re Ferdinando I d’Aragona, in data 1 dicembre 1463, in cui per la prima volta appare l’espressione «Castello de lo Monte», decretando così la fine della dizione «di Santa Maria del Monte».

Ma a darci certezza che la chiesa e il monastero di S. Maria del Monte ormai non esistevano più, è il decreto del 24 ottobre 1317, con cui re Roberto d’Angiò ordinava al Capitano di Barletta e ai maestri portolani di Puglia di trasportare a Napoli due colonne che giacevano un tempo sul luogo di S. Maria del Monte (columnas duas marmoreas nulli aedificio adherentes, sed olim in solo terre Sancte Marie de Monte jacentes...), per sistemarle nel monastero di Santa Chiara a Napoli, e precisamente presso l’altare maggiore della chiesa. Le colonne, lavorate a spira (come riferisce il Merra) con un’aquila scolpita sul capitello, sono andate distrutte nell’incendio provocato dal bombardamento di Napoli del 4 agosto 1943, mentre un loro calco in gesso (vds. il Molaioli) sarebbe conservato nel Museo di S. Martino a Napoli.

    
[Foto della colonna tratta da una pubblicazione del 1918 - e foto scattata da Francesco Gazzillli alla copia in gesso del Museo Nazionale di S.Martino a Napoli]

Sempre per scrupolo di verità storica, accertata l’esistenza del monastero con annessa chiesa, rimane molto controversa la sua precisa ubicazione. Molto probabilmente i Benedettini si erano insediati a poca distanza dalla cosiddetta «Mulattiera», segnata su una carta del Pratilli, storico del sec. XVIII (riportata a pag. 68 nel volume «Ruvo di Puglia» di F. Jurilli), che costituiva un tracciato intermedio tra l’Appia antica e la via Appia-Traiana, e che portava da Canosa, per Minervino, verso Palo del Colle e Ceglie, fino a ricongiungersi con l’Appia-Traiana ed Egnatia. Infatti, quasi a giustificare la considerevole distanza che intercorre tra Minervino e Mariotto, alcuni storici, tra cui il D’Urso, avevano in-dividuato nella zona del Castello la romana Netium (la tormentata questione interessa le oscure origini di Andria). Vogliamo precisare che la mulattiera coincideva all’incirca con la SS. 170 e non, come alcuni hanno creduto, con il «tratturello regio» che da Canosa porta in territorio di Ruvo, passando per Lama Genzana.

Se, dunque, si ipotizza essere la enorme distanza da Minervino a Mariotto la ragione della presenza del monastero (e per noi è una ragione importante), quasi sicuramente dovevano esserci sulla falda orientale di Castel del Monte inse-diamenti umani, attinenti alle servitù prediali, necessarie per la coltivazione della terra, per il pascolo delle greggi, per la raccolta della legna, per l’allevamento dei cavalli, etc.. I Benedettini - infatti - furono la prima istituzione ad organizzare il lavoro: quello agricolo, della trasformazione dei prodotti e artigianale - con o senza la collaborazione dei servi, coloni, braccianti - specie quando i conventi si estesero con possessi fondiari. Ogni monastero era in effetti una unità economica di produzione e di distribuzione, con magazzini, stalle, laboratori, etc., e con tutto ciò che implica una azienda autosufficiente, autarchica, ad economia chiusa, simile alla «massa» o alla «curtis», con la variante del feudatario proprietario, sostituito dalla Comunità. Il monastero sorgeva, pertanto, come centro religioso, sociale ed economico, che promuoveva la ripresa economica in tempi in cui i Goti prima, i Longobardi poi, devastarono gravemente anche le nostre regioni. Sopravvissero in esso, tuttavia, il colonato e la servitù della gleba, con la contropartita della difesa dal fisco e dalle bande armate, ergendosi il monastero anche come fortezza (forse la scelta dei luoghi alti era dovuta a questa esigenza). Nel 601 d.C. si stabilì la non ingerenza dei Vescovi nell’amministrazione dei beni monastici e nell’elezione degli Abati.

Di quanto abbiamo detto ci dà conferma il prof. Napolitano («Castel del Monte», nota 1), il quale dice testualmente: «La badia (di S. Maria del Monte) doveva avere il proprio territorio, che era coltivato dai coloni, i quali certamente avevano le loro abitazioni nelle adiacenze della chiesa e della badia, dove si svolgeva la vita di un villaggio».

Si tenga presente che la zona era caratterizzata da vasti querceti, idonei al pascolo, ma che, comunque, la falda pedemontana doveva offrire buone possibilità di coltivazione, perché formata da terreno di riporto alluvionale.

Ora, l’insediamento benedettino era sulla cima del monte o a ridosso di esso? Il prof. Napolitano ne ipotizza la collocazione dove fu costruita l’Opera «Bonomo» (l’attuale «Centro ricerche»), che corrisponde, grosso modo, alla vecchia masseria dei duchi Carafa d’Andria, divenuta proprietà dei sigg. Marchio e Porro-Regano, e che si estendeva fino al boschetto prospiciente la SS. 170 Spinazzola-Bari (la vecchia «mulattiera»), dove ancora vi sono un’ampia cisterna e una neviera.

Appunto, nella quota più a Nord, a detta del prof. Napolitano, il Cav. Uff. Michele Marchio aveva rinvenuto una vasca rettangolare attribuita al convento. Ma si può accettare tale ipotesi? A parte il fatto che la congiunzione «apud» (Castrum apud Sanctam Mariam de Monte) può significare sia «nelle vicinanze», che «nei pressi immediati», Pasquale Cafaro, in «Castel del Monte» riferisce che i reperti attribuiti alla chiesa di S. Maria del Monte (sistemati, prima dei recenti restauri, nella IV sala a pian terreno del Castello) vennero alla luce durante la si-stemazione della nuova strada «presso» Castel del Monte e, dunque, lontano dalla ex masseria Marchio; il Molaioli, poi, avendo seguito alcuni lavori di scavo e di restauro, asserisce che «non è rimasta traccia di rovine che valgano a stabilire l’ubicazione del fabbricato». Secondo il parere del prof. Petrarolo invece, l’insediamento, come gli altri monasteri benedettini (vds. Montecassino, Subiaco, S. Vincenzo al Volturno, etc.) doveva trovarsi nelle strette vicinanze dell’attuale Castello, sia per ragioni di difesa, sia perché, dominando la vista che spazia dal Gargano a Bari, dal Vulture alla Murgia barese, fosse un punto di riferimento sicuro per viandanti e pellegrini.

ingresso alla sala
[La nuova Chiesa di S. Maria del Monte - elab. elettr. su foto del 2004]

“Così oggi, a distanza di 1000 anni, vi è nella stessa zona un rifugio sicuro al dinamismo degli uomini contemporanei: rifiorisce intenso il culto della Vergine nel suggestivo panorama murgiano, in cui al dominio muto e solitario dell’Ot-tagono imperiale fa riscontro la serena, viva, curvilinea struttura della nuova chiesa di S. Maria del Monte”.

[Trascritto da “Diocesi di Andria – ANNUARIO 1992”, Grafiche Guglielmi, 1992, pagg. 166-172; ivi estratto dal volume “La chiesa di Santa Maria del Monte (Andria)”, Pietro Petrarolo, pagg. 23-34, Italgrafica Sud, Bari 1986]