di Silvana Campanile e Brigida Matera
La Cattedrale di Andria, intitolata a Santa Maria Assunta, si affaccia ad Ovest su Piazza Duomo, confina a Nord con il campanile e l’Episcopio, ad Est con l’Episcopio e il Palazzo Ducale ed infine si affaccia a Sud su Piazza La Corte.
A destra della facciata si conserva l’antica muratura; vi si possono osservare il portale del Monastero delle Benedettine, abbattuto insieme alla chiesa nella seconda metà degli anni Trenta, e gli stemmi del vescovo Angelo Florio, di nobile famiglia andriese, e dell’Università di Andria. Nella nicchia sovrastante è collocata una statua di San Benedetto con la Regola (foto 2).
Alla parete Sud è addossata una stele risalente al 1741 con la statua di San Riccardo (foto 3). In quell’anno il Santo tenne lontane le locuste dalla città di Andria. Nella parte bassa, tre mascheroni dalle sembianze umane, di cui due dai volti con espressioni demoniache. La compresenza di elementi sacri e profani è indice del bisogno della gente di un tempo di ricorrere a vari mezzi di scongiuro per allontanare le calamità che minavano la loro sopravvivenza [1]. Accanto al monumento, sulla parete dell’edificio, una meridiana con l’indicazione delle ore in latino.
Tornando al prospetto, dopo aver superato il cancello dell’ingresso principale, sulla parete osserviamo tre nicchie, in una delle quali è posta la statua di San Riccardo, originale della copia del monumento votivo del 1741 sopra descritto. Tre porte anticipano la tripartizione dello spazio interno. Sotto il timpano della porta centrale, decorato da motivi vegetali e geometrici, l’iscrizione che ricorda il restauro diretto dall’architetto Federico Santacroce nel 1844, commissionato dal Vescovo di Andria Mons. Giuseppe Cosenza [2].
Sugli architravi dei due portali laterali, i cui elementi decorativi richiamano il portale principale, si leggono le iscrizioni dei due successivi restauri: a sinistra quella del restauro del 1965 sotto Mons. Francesco Brustia, a destra quella relativa al restauro appena concluso, voluto da Mons. Raffaele Calabro.
L’interno è suddiviso in tre navate da due file di sei pilastri quadrangolari con archi a tutto sesto. Su di essi sono visibili dieci tondi in marmo (altri due si trovano sulle pareti laterali del presbiterio) con croci di consacrazione provenienti dal complesso delle Benedettine e qui collocati nel 1965. La navata centrale è sormontata da capriate lignee, quelle laterali da volte a crociera.
Sulla controfacciata, in alto, un rosone in alabastro realizzato in occasione del restauro degli anni Sessanta. Al di sotto il Vescovo Mons. Giuseppe Lanave pose l’imponente tela raffigurante l’ingresso di San Riccardo in Andria e la guarigione di una cieca. Il dipinto, di stile neoclassico, fu commissionato dal Vescovo di Andria Mons. Eugenio Tosi al pittore calabrese Zimatore, per coprire il soffitto del salone d’ingresso dell’Episcopio.
A sinistra di chi guarda, il monumento marmoreo all’andriese Mons. Berardino Frascolla, primo Vescovo di Foggia († 1869); accanto, quello per il vescovo Giovanni Battista Bolognese († 1830). A seguire, un affresco della Pietà con un’iscrizione che invita alla contemplazione del Cristo crocifisso [3]; sulla sommità della cornice in marmo è scolpito un cuore trafitto, emblema dell’Addolorata (foto 5).
Ai lati del portale d’ingresso, le epigrafi commemorative dei restauri 2005-2008 e 1965 con gli stemmi dei Vescovi committenti: Mons. Raffaele Calabro e Mons. Francesco Brustia. Infine, il monumento funebre dello scultore napoletano Onofrio Buccini, con il busto dell’andriese Mons. Felice Regano, vescovo di Catania († 1861) ed un medaglione raffigurante il Can. Mons. Filippo D’Urso, cantore della Cattedrale, dottore in teologia e filosofia, oratore e poeta, con la sua opera maggiore di teologia neoscolastica La ragione umana.
Ai primi due pilastri della navata centrale sono addossate due acquasantiere sorrette da angeli reggimensola (foto 6) di Jacopo Colombo (attestato a Napoli negli anni 1679-1718), sopravvissuti insieme ad altri tre all’incendio del 17 e 18 aprile del 1916, che divampò nella Cattedrale.
Sul primo pilastro si trova l’iscrizione con la dedica ad Emma, contessa fedele, moglie del Conte di Andria, Riccardo Normanno.
Sul terzo pilastro è inglobata l’iscrizione che rivela il nome dell’architetto della Cattedrale Alkseberius; sul quarto, i nomi di alcune maestranze.
La prima cappella è dedicata a San Pietro. Al centro della volta a botte una cornice polilobata (foto 7) racchiude il dipinto con la tiara e le chiavi, emblema papale (sec. XX).
La seconda cappella è dedicata a San Francesco di Paola e S. Colomba [4]. Sulla volta si distingue il motto dell’Ordine del Santo eremita, Charitas, in uno scudo luminoso [5]. Sulla parete di fondo (foto 8), i recenti restauri hanno portato alla luce due strati di affreschi precedenti alla dedicazione a San Francesco, ovvero uno più antico con una Crocifissione con Maria e Giovanni ed un altro con la raffigurazione delle due mistiche carmelitane Santa Teresa d’Avila, vergine e dottore della Chiesa, con l’emblema della freccia e Santa Maria Maddalena de’ Pazzi vergine con l’emblema del giglio. Accanto alla prima, la scritta “aut pati aut mori”, motto di Santa Teresa, che considerava grazia il vedere Dio attraverso la sofferenza o la morte. Accanto alla seconda, invece, il motto “pati et non mori” ovvero patire e non morire, se questo significava la compartecipazione alla passione di Cristo per la Chiesa e per il mondo. In origine la cappella ospitava due tele con scene della vita di S. Francesco da Paola (sec. XV), ora presso il Museo Diocesano.
La terza è la cappella delle Reliquie (foto 9), un tempo dedicata ai Santi Filippo e Giacomo e dal 1929 consacrata al Sacro Cuore da Mons. Macchi. Nei due armadi sono custodite le reliquie in parte della Cattedrale ed in parte dono di Mons. Giovanni Papa (1918-2006), canonico onorario della Cattedrale. Sulla parete di fondo, una tela raffigurante la Deposizione (sec. XVII).
Nella quarta cappella è visibile un grande fonte battesimale in pietra del sec. XV (foto 10). Anticamente questa era la cappella del Santissimo Sacramento, con una tela raffigurante l’Ultima Cena, ora al Museo Diocesano.
A seguire (in corrispondenza dell’attuale ingresso laterale), la cappella che nella Visita pastorale del 1937 appare come cappella del Crocifisso, precedentemente dedicata con molta probabilità al Santissimo Sacramento per l’iscrizione che sovrasta la porta [6] che fa da ingresso laterale alla Chiesa. Alla sommità dell’arco affrescato si intravede un Cristo in pietà (foto 11). Sulla parete destra (foto 12) un antico stemma in cui si distinguono un leone rampante ed un ramo di quercia, elementi dello stemma della Città di Andria. In basso, una lapide del 1571 che ricorda la più antica congrega esistente nella chiesa locale, quella degli Agonizzanti [7].
Avvicinandosi al presbiterio, sulla parete si osserva la copia dell’Icona della Madonna di Andria (sec. XII). Si tratta di un grande frammento di pittura su tavola, proveniente dal Monastero delle Benedettine della città, la più famosa e misteriosa immagine mariana medievale di Puglia, come ebbe a definirla Pina Belli d’Elia. La Madonna, vestita del maphorion blu, regge il Bambino ed inclina dolcemente la testa verso di Lui. Il Figlio alza gli occhi verso la madre, ma Lei, con lo sguardo carico di malinconia, fissa un punto remoto, nella prescienza della Passione. Il tema iconografico, di origine orientale, raggiunge il massimo della raffinatezza sia nel trattamento pittorico dei volti che nel movimento delle pieghe del manto [8]. L’immagine (foto 13) è incorniciata in una cornice di marmo policromo; in essa le monache veneravano il Gesù Bambino di Praga. La cornice, insieme alle acquasantiere (foto 14) ed ai comunichini, dai quali le monache ricevevano l’Eucarestia, (foto 15) posti sulle pareti del presbiterio sono opera [NDR_1] di Domenico Cocatrida di Monopoli (1775) [9]. Sotto, fregi d’altare in marmo.
Ai piedi del grande arco ogivale che delimita il presbiterio, una lapide ne ricorda il nome dell’artefice Alessandro Guadagno [10] (foto 16). Alzando lo sguardo si osserva lo stemma del Vescovo di Andria Mons. Nicola Adinolfi che reca tre rose ed è attraversato da una sbarra (foto 17) [NDR_2].
Sopra, l’epitaffio [11] per Scipione Volpe prematuramente strappato all’affetto del padre Antonio e della madre Giovanna Conoscitore, di famiglie patrizie andriesi.
Il transetto ha una copertura lignea, a firma di Vincenzo Redi (foto 18) [NDR_3]. Nella cornice dorata centrale c’era una tela dell’Assunzione di Maria. Attorno, i quattro Padri della Chiesa d’Occidente: Agostino, Girolamo, Gregorio Magno e Ambrogio. Ai lati due cornici dorate con San Nicola e San Michele. Alle estremità, S. Antonio di Padova, San Domenico (patrono secondario della città di Andria), San Riccardo e San Sebastiano (patrono secondario della città di Andria).
Gli ultimi lavori di restauro hanno messo in luce il basamento in breccia corallina dell’antico presbiterio. Gli arredi liturgici – ambone con portacero pasquale (foto 19) e sede episcopale .in pietra (foto 20) ed altare in breccia corallina (foto 21) ai cui piedi è incassata un’urna con le reliquie di San Riccardo [12] – sono opera dello scultore Luigi Enzo Mattei.
Sul lato destro del presbiterio si trovava l’organo di marca tedesca Hircher voluto da Mons. Alessandro Egizio (sec. XVII).
La cappella della Sacra Spina fu realizzata sotto l’episcopato di Mons. Giuseppe Staiti (1899-1916), per accogliere degnamente la Sacra Reliquia donata dalla principessa Beatrice D’Angiò, in seguito al miracolo del ravvivarsi delle macchie di sangue, avvenuto nel 1910.
Si decise di utilizzare la cappella destra sul presbiterio, anticamente del Santissimo Sacramento e poi chiusa da un muro ed utilizzata come deposito. Attualmente, precede l’ingresso la pietra tombale di Beatrice d’Angiò, (foto 22) sormontata dallo stemma della famiglia Del Balzo-D’Angiò (si distinguono la stella bauciana ed i gigli angioini).
La Cappella fu progettata dall’ingegnere Riccardo Ceci, ed è in stile neo-gotico. L’officina marmorea che si occupò dei lavori fu quella di Nicola Bassi di Trani.
L’ingresso è cinquecentesco, caratterizzato da due colonne di pietra con capitelli, sormontati da un arco a tutto sesto. La cappella ha le pareti ricoperte da marmi pregiati: bardiglio fiorito e marmo argentino di Carrara. La decorazione è conforme a quella dell’altare, in stile neo-gotico.
La volta è dipinta con colori e disegni ad imitazione del marmo.
L’altare è di marmo bianco intagliato a fiorami ed arabeschi. Il paliotto è suddiviso da piccoli archetti mantenuto da colonnine di rosso di Verona. La mensola principale è retta da pilastri in alabastro. Al di sopra della custodia del SS. Sacramento si erge un trofeo con angeli in marmo bianco che reggono l’urna di forma ottagonale che sino al 1980 ha conservato la S. Spina.
L’imponente tela sulla parete sinistra del presbiterio presenta la Madonna del suffragio con le anime purganti, tra San Sebastiano e Santo Stefano protomartire. Il dipinto originariamente era collocato all’ingresso della cappella degli Agonizzanti, ora Cappellone del Santissimo. Di fronte, una tela con la B.V. Immacolata tra San Gennaro, patrono del Regno di Napoli, e San Riccardo.
A sinistra dell’altare l’ingresso alla sacrestia chiuso (foto 23) da un cancello ricavato nel 1983 dai tre cancelletti della balaustra con la quale Mons. Bolognese separò il presbiterio dalle tre navate. Esso è formato da sei pannelli, opera del maestro Nicola Fucci, artigiano del ferro battuto. In alto il cancello si chiude con quattro medaglioni decorati dorati (con l’effigie dei quattro evangelisti) fatti fondere da Mons. Brustia per decorare l’altare [13]. Il portone è sormontato dall’arco di pietra che prima sovrastava l’altare del Crocifisso [14] che si trovava lungo la parete destra del presbiterio, appena prima della cappella della Sacra Spina. Sotto i semicapitelli dell’arco a tutto sesto sono visibili delle aquile con ali spiegate emblema svevo. Tutt’intorno fiori, scudi, festoni, vasi rabescati; ai piedi dei pilastri e sulla chiave di volta, scudi con nastri pendenti su cui campeggia uno stemma con tre conchiglie [NDR_4], emblema della famiglia Calderisi [15]. Sull’altare erano posti il Crocifisso che oggi si vede alle spalle dell’altare maggiore ed il quadro dell’Addolorata nella cornice d’argento [16] ora presso il Museo diocesano. Il Crocifisso, commissionato dal Vescovo Martino di Soto Major (sec. XV), è stato col locato su una base di pietra dopo i recenti restauri.
Ai lati dell’arco che dà nel coro sono i due cherubini dell’altare maggiore del Colombo. Il coro ligneo, del XV secolo, decorato con sfingi e altre figure zoomorfe, proviene dalla chiesa conventuale di San Domenico e fu collocato qui dopo che andò distrutto quello precedente nel 1916. L’organo a canne, dono della famiglia Ceci Ginistrelli è del 1935. La vetrata con l’Assunta fu realizzata nel 1936 dalla ditta Palloni Guido di Firenze (foto 24). La stessa ditta realizzò nel 1998 anche le altre due vetrate sul presbiterio che raffigurano San Riccardo e San Sabino di Canosa.
Proseguendo lungo il lato sinistro del transetto, una balaustra con cancello chiude il Cappellone di San Riccardo (foto 25). Fu costruito alla fine del Quattrocento durante l’episcopato di Angelo Florio, vescovo munifico e straordinario committente che, insieme al duca Francesco II Del Balzo, rese splendida la Cattedrale di Andria. La cappella accoglieva in quegli anni – come ora – le ossa di San Riccardo che il Del Balzo il 23 aprile 1438 aveva ritrovato sotto l’altare maggiore della Cattedrale [17]. Prima di entrare, a sinistra è stato posto uno stemma degno di nota con la stella dei Del Balzo. Ai lati ed al centro del cancello stemmi della Città di Andria. Lungo i pilastri sono collocati sedici bassorilievi raffiguranti episodi della vita e miracoli del Santo Patrono, con didascalie epigrafiche; lungo l’arco, sono rappresentati i Profeti [18]. Sulla parete sinistra una tela ottocentesca del terlizzese Michele De Napoli che rappresenta San Riccardo in viaggio al Gargano insieme con San Sabino e San Ruggiero; è loro guida e schermo una maestosa aquila. In corrispondenza, a destra, una tela raffigurante l’arrivo del nostro Protettore in Andria nell’atto di guarire una cieca.
Dopo il Cappellone si trova la cappella di Santa Maria del Capitolo, poi della Natività, in cui erano collocate le raffinate statue lignee quattrocentesche del presepe, ora presso il Museo diocesano.
In cima all’altare marmoreo policromo, lo Spirito Santo campeggia su una nube di raggi luminosi. L’altare venne costruito a spese del Capitolo, come indicato anche dal suo stemma – a sinistra dell’altare – sul quale si distinguono le lettere “S” e “M” (Santa Maria); alla realizzazione contribuì anche l’arciprete Scesa, di cui si legge il nome ai piedi dell’altare e si vede lo stemma a destra con una linea traversa fra due rose (foto 26).
In alto, dipinti nelle vele, i quattro Profeti maggiori: Isaia, Geremia, Ezechiele e Daniele (foto 27).
Nella cappella di San Giuseppe giacciono le spoglie del Venerabile Vescovo Mons. Giuseppe Di Donna (1901-1952), trinitario, distintosi per le sue qualità di pastore attento al suo popolo nel difficile periodo della Seconda Guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra. Fu traslato in questa cappella dalla sua prima sepoltura a destra del presbiterio nel 1983 (foto 28).
Sulle pareti laterali, in alto, sono dipinte le quattro Virtù Cardinali: Prudenza, Giustizia, Temperanza e Fortezza. Sulle vele della volta a crociera, quattro angioletti reggono cartigli su cui si legge il nome del Santo accompagnato dall’attributo relativo a ciascuna virtù (foto 29).
La cappella successiva era intitolata alla Madonna di Lourdes e ancor prima a San Michele. Vi era un altare di marmo con una statua della Madonna; sul lato una nicchia in cui era posta una statua di San Ciro.
In corrispondenza dell’attuale Cappellone del SS. Sacramento, c’era la cappella intitolata in origine a San Sebastiano e poi cappella degli Agonizzanti. La cappella, prolungata poi nel Seicento sul giardino del Palazzo Vescovile donato da Mons. Egizio, divenne così l’attuale Oratorio della Cattedrale. Nel 1929 il Vescovo Alessandro Macchi la dedicò al Santissimo Sacramento (foto 30).
Sul lato destro vi è una porta che segna l’ingresso del Tesoro della Cattedrale voluto da Mons. Macchi, come ricorda l’iscrizione sull’architrave. In alto lo stemma del Capitolo Cattedrale. Proseguendo osserviamo, collocata in una nicchia, la statua del S. Cuore di Gesù precedentemente posta nella omonima cappella, ora cappella delle Reliquie. Dietro l’altare dipinti con Gesù nel Getsemani e San Giuseppe patrono degli agonizzanti. È evidente che quest’ultimo è rifatto su una preesistente Madonna del Carmine. Al centro il Crocifisso usato per i ritiri di perseveranza (grandi ritiri spirituali predicati dai gesuiti nel dopoguerra, che raccoglievano centinaia di uomini. Al termine di questi si portava in processione per la città, il Crocifisso nella Quinta Domenica di Quaresima). In alto a destra il coretto da cui il vescovo assisteva dall’episcopio alle funzioni che si svolgevano in chiesa. Il tabernacolo proviene dall’antica cappella del Santissimo; al di sotto, una testa di cherubino del già citato altare maggiore di Iacopo Colombo.
Al tempo di Mons. Macchi c’erano due altari laterali dedicati a San Gioacchino e Sant’Anna.
La cappella di Ognissanti, poi del Battistero (dove era collocato il battistero in pietra spostato nell’ultimo restauro) ed oggi penitenzieria, ospita l’imponente tela dell’Incoronazione della Vergine proveniente dalla chiesetta del Convento dei Cappuccini di Minervino Murge. Ne è autore Fabrizio Santafede (Napoli, 1560 - 1634). Dio Padre, il Figlio e lo Spirito Santo incoronano Maria in uno stuolo di angeli; a destra San Bartolomeo; a sinistra San Francesco d’Assisi e Sant’Antonio di Padova; al centro san Michele che atterra il demonio. Sulla parete sinistra una grande lapide ricorda l’istituzione delle prime sei parrocchie ad opera di Mons. Giuseppe Longobardi (1857) [19].
Alla cripta (foto 31) si accede attraverso una scala a destra del transetto. L’ambiente antistante è ripartito in quattro campate con volte a crociera. Quattro colonne ed una semicolonna reggono archi a tutto sesto; due di esse sono in pietra calcarea; la colonna centrale con capitello corinzio e quella che poggia su una base di pietre sono in granito rosso; l’ultima è in granito nero. Lo spazio rettangolare della cripta è diviso in due da una fila di tre colonne di pietra calcarea. Il presbiterio è sopraelevato di un gradino ed ospita un altare sorretto da una colonna e addossato al pilastro che sostiene la volta dell’abside. Sul pilastro si scorge un affresco (sec. XV) di un Cristo pantocratore, che nella sinistra regge un libro su cui si leggono le parole del cap. 8 del Vangelo di Giovanni: Lux Ego sum mundi (foto 32).
La cripta ospita le spoglie mortali delle imperatrici sveve Jolanda di Brienne e Isabella d’Inghilterra; la lapide di Pasquale Cafaro che ne indica la sepoltura, è affiancata dall’iscrizione che ricorda la ricognizione e lo studio delle ossa nel 1994.
Alle pareti sono sospese numerose lapidi commemorative. Tra queste: quella in ricordo di Mons. Saverio Palica posta da Riccardo Carata nel 1790; un’iscrizione su marmo che ricorda la consacrazione della Cattedrale nel 1722 ad opera di Mons. Torti; al di sotto, un’epigrafe ricorda il centesimo anniversario del rinvenimento della Sacra Spina sotto l’episcopato di Mons. Rostagno (dopo che era stata trafugata e ritrovata a Venosa).
Da un passaggio adiacente le tombe delle imperatrici si accede ad un lungo corridoio che porta ad un ingresso esterno; vi sono conservate lapidi e reperti di epoche diverse.
NOTE
[1] Cfr. Andriano Cestari B., Le Edicole Sacre di Andria, Andria 1995.
[2] Ioseph Cosenza Epis(copus) Andrien(sis) Anno Domini MDCCCXLIV / Fridericus Santacroce architectus direxit.
[3] Ecce pedes palmesque, caput, latus aspice corpus / clavisus ut spinis cuspide fune cadunt. (Ecco, guarda i piedi e le mani, il capo, il fianco, il corpo come cadono per i chiodi, le spine, la lancia, la fune). Clavisus per clavibus.
[4] La reliquia del capo di Santa Colomba fu portata in dono ad Andria dalla principessa Beatrice, figlia di Carlo II D’Angiò, insieme alla Sacra Spina e trafugata in occasione del sacco di Andria ad opera dei francesi nel 1799 (cfr. Merra E., Monografie andriesi, Bologna 1910 e Borsella G., Andria Sacra, Napoli, 1918).
[5] Secondo la tradizione, uno Spirito celeste, forse l’arcangelo Michele, gli apparve mentre pregava, tenendo fra le mani uno scudo luminoso su cui si leggeva la parola “Charitas” e porgendoglielo disse: “Questo sarà lo stemma del tuo Ordine”.
[6] Caro mea vere est cibus et sanguis meus vere est potus / Venite ad me omnes […]r 165[.] ego reficiam vos.
[7] D(eo) O(ptimo) M(aximo) / Haec Agoniza(n)tiu(m) co(n)gregatio / sub patroc(inio) S(anctae) M(ariae) de Mo(n)te Carmelo / ab ill(ustrissimo) d(omino) Luca A(n)tonio Resta Ep(iscop)o / in hac Cathedrale et unica paroch(iali) / eccl(esia) canonice erecta est / An(n)o D(omi)ni MDLXXI.
[8] Cfr. Belli d’Elia P., La Madonna di Andria: la bellissima contesa, in La Sacra Spina di Andria e le Reliquie della Corona di Spine, Schena 2005.
[9] Borsella G. op. cit., p. 236.
[10] Alexander Guadagno Andriensis hoc opus arcuatum An(no) Domini / MCCCCXCIV construxit.
[11] Scipioni Vulpi / maturo aevi in iuventute excelsi indole animi / desiderio omnium premature erepto / Antonius felicissimae sobolis pater infelix / cui nec unum ad dolorem sat fuit cor / nec sat gemini ad lacrimas oculi / et Iohannella cognitor / maestissima genetrix filio amatissimo / monumentum officiis et doloris / lacrimantes p(osuerunt).
[12] L’urna è stata progettata dal Can. Giannicola Agresti, Presidente del Capitolo Cattedrale.
[13] Si tratta dell’altare realizzato nel 1965, per attuare la riforma liturgica del Concilio Vaticano II, rimosso da Mons. Lanave per sostituirlo con l’altare in pietra sorretto da 18 colonnine.
[14] Dalle Visite Pastorali e dalla lettura del Borsella, si evince che l’altare era addossato al muro che chiudeva un’antica cappella della Natività [della Beata Maria Vergine e non del Messia.].
[15] Carmela Centrone, dopo aver consultato il Blasonario di Terra di Bari, a p.88 del suo volume Palazzi storici di Andria tra il XVI ed il XVIII secolo (Andria 2004) corregge l’Agresti che ne Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi (Andria 1911) alle pp. 224-225 attribuisce questo stemma alla famiglia Pellegrini. Così anche il Borsella, op. cit., pp. 58-59.
[16] La cornice d'argento, realizzata da Domenico Capozzi, sulla quale è riportata la data Napoli 15 gennaio 1842, è dono di Vincenzo Morselli insieme al Reliquiario della Sacra Spina ed alla Stauroteca che conserva le Reliquie della Passione.
[17] Cfr. Lanave G. (a cura di), San Riccardo protettore di Andria, Andria 1989, pp.109-110.
[18] Cfr. tesi di laurea di Tucci A., Le origini di San Riccardo in Andria, Bari 1991, p. 71.
[19] Cattedrale, S. Nicola, S. Francesco, S. Domenico, SS. Annunziata e Sant’Agostino.
[NDR_1] Non è esatto attrinuirli a Cocatrida. Sono invece opera del marmoraro napoletano Marino Palmieri, realizzati, insieme all'altare maggiore del Monastero delle Benedettine nel 1773, così come risulta negli atti notarili, ricercati e trovati dall'Arch. Gabriella Di Gennaro, e pubblicati nella sua tesi di Laurea e poi nel suo testo "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, pp. 217-220.
[NDR_3]
Si tratta di Tommaso Redi e non Vincenzo.
Forse, nella firma osservata nel dipinto (come afferma Luigi Renna in
Cenni storici sulla Cattedrale di Andria),
il nome, eventualmente abbreviato anche solo alla prima lettera, non era perfettamente leggibile.
[NDR_4]
Lo stemma sull'arco non è dei Calderisi, né dei Pellegrini.
Detto altare-cappella della Natività di Maria Vergine
(sul quale insisteva l'arco) era nel Cinquecento di giuspatronato della famiglia Mione,
come risulta dalla
visita pastorale di mons. Vecchia del 1690,
in
quella di mons. Ariano del 1697, nonché in
quella
dello stesso vescovo del 1704 dove è scritto "antuquitus extructum ab illis de Mione, ut indicant arma in lapide excussa".
Tale stemma è inoltre scolpito anche sulla lapide della tomba dei Mione, il cui
sepolcro un tempo era presente nella Chiesa di Santa Maria Vetere.