di mons. Emanuele Merra
Castel del Monte al tempo degli Angioini fu una delle più importanti fortezze del regno; perciò i sovrani ne ebbero sempre somma cura ed interesse non ordinario.
Re Roberto nel 1311 avendo inteso che nel Castello di Santa Mana del Monte non si era dalla Curia nominato il gavarretto (1), il quale fungeva da Vicecastellano; si affrettò a nominarlo a vita, coll’assegno giornaliero di grana dieci del peso generale, nella persona d’un certo Pietro dell’Acqua, suo fedele, il quale n’era ben meritevole sia pei lunghi servizii prestati alla chiara memoria del Re suo padre, sia a lui stesso. A tale scopo con lettera datata dalla sua Camera in Napoli, 15 giugno 1311, ordinò al castellano di Santa Maria del Monte che senz’altro mettesse il prelodato dell’Acqua nel possesso reale dell’ufficio di gavarretto (2).
Il medesimo Roberto, nel dì 25 giugno 1318, per premiare Carlo d’Artois, suo fedele familiare e diletto ciambellano gli affidò a suo beneplacito la custodia di Castel del Monte, e gli diè facoltà di pagare al castellano lo stipendio di dodici oncie all’anno, ed ai servienti, che ivi bisognassero, il salario consueto. Ordinò inoltre ai provveditori dei castelli del Barese che approvassero il castellano ed i servienti, che il D’Artois credesse necessarii, e dessero loro lo stipendio stabilito (3).
Re Roberto dovendosi portare ora in Provenza, ora all’impresa di Sicilia, spesso in Firenze, in Genova ed altrove, costituì vicario generale del regno Carlo duca di Calabria, suo figliuolo. Costui il 7 marzo 1318 scrisse al signor Filippo Budetto di Mueria, ed al notaio Antonio di Noto, suoi devoti come volendo soddisfare lo stipendio di tre mesi, a contare dal giorno, in cui nuovamente sarebbe stato fatto il pagamento in avanti, ai castellani, ai cortegii, ai Cappellani, ai servienti ed alle altre persone addette ai varii castelli di Puglia; mandava a tal uopo ai giustizieri cento oncie d’oro.
Parlando del Castello di Santa Maria del Monte, dice che eranvi un castellano milite, il cappellano, il gavarretto, e dodici servienti. Il castellano per lo stipendio e per la provvisione riceveva oncie quattro al mese; il gavarretto tarì quindici; il cappellano tarì otto, ed altrettanto ciascun sirviente. Dagli Angioini, che pure effettavano tanta pietà, il cappellano era messo alla pari dei servi! (4).
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Se si vuoi prestar fede al D’Urso, nell’aprile del 1326, col fiore della sua corte, e con la più grande pompa, sarebbe venuto da Napoli in Andria re Roberto in occasione delle auguste nozze di Maria del Balzo, figliuola unica di sua sorella Beatrice, contessa di Andria, col principe Umberto, delfino di Francia. Roberto a questo principe assegnò in perpetuo diecimila oncie d’oro in beni feudali, ipotecando la contea d’Andria. La più parte dei baroni del regno fecero in tale viaggio nobile corteggio a re Roberto; come pure gran numero di distintissimi signori Francesi, che avevano seguito il delfino si portarono in Andria, donde tutti lietamente convennero in Castel del Monte, che per più giorni li accolse con la più splendida magnificenza. Per tali sontuosissime feste Bertrando e Beatrice spesero migliaia e migliaia di fiorini d’oro (5). In quei giorni Castel del Monte parve ritornato all’epoca gloriosa del monarca svevo, che sì sublimemente l’aveva costruito, e tanto fastosamente, e con gusto tutto orientale l’aveva addobbato.
In mezzo alle gioie inebrianti di quelle feste nuziali, in mezzo al brio delle cacce clamorose, re Roberto dovette forse ricordare con raccapriccio, che in questo castello, addivenuto prigione di Stato, per lunghi anni avevano languiti dolorosamente incatenati gl’infelici figli di Manfredi, gli sventurati zii della regina Violanta, sua moglie!
[Tratto da: Emanuele Merra, "Castel del Monte - presso Andria", 3ª edizione, Scuola Tip. Istituto Apicella per Sordomuti, Molfetta, 1964, pp. 88-90.]
NOTE - (Nell'originale la numerazione è di pagina e non progressiva dell'intero capitolo)
(1) «Gavarretus: oflìcium in Aula Regum Siciliæ sub Normannis principibus penes quem non modo curam et custodiam palatii sub Castellano incumbebat, sed et illius erat cos, qui per diversas palatii carceres tenebantur inclusi, frequenter inspicere, eorumque statum mitius, asperiusve, prout ei visum erat, commutare, et prout vellet, custodes singulis designare carceribus (Falcando)». Ducange.
(2) Vedi Documento XXXIX.
(3) Vedi Documento XL.
(4) Vedi Documento XLI.
(5) D’Urso, Storia d’Andria, Lb. V, cap. III, pag. 85. — Mss. sulla famiglia del Balzo.