Discorrono gli Huomini ordinariamente de’ Luoghi, e delle Persone con eccesso ò mancanza
à misura de gli affetti, non sapendo appoggiare il lor Giuditio alla Verità,
nè rattenerlo nel mezo. Quindi nasce la varietà, e la fallacia insieme de’ Rapporti,
che obliga gli spiriti più avveduti à guardare, e à rifletter da lor medesimi.
Io non mi maraviglio dunque, se in più di dodeci Relationi della Germania procacciatemi
da gli Amici prima della mia uscita d’Italia, nè pur una si trovasse da me in pratica sussistente.
Sò che in varie forme si parla costì del Reame di Napoli, e bene spesso con qualche minoratione:
trascurandosi di riscontrarlo, si come hò fatto io, col testo di Filippo Cluverio,
che lo vide, misurò, e illustrò attentamẽte nella sua Italia Antica,
dopo compendiata da Gio: Bunone 1659. in 4. in Luneburg. … … …
[Forse a fine 1681] Per l’oggetto piacevole di molte Terre, e Casali, sù le coste della parte del Vesuvio, opposta al mare, in un miglio dalla Bolla, in un rolante [calesse] condotto da’ ſorti muli all’uso di quì e affittato fino à Bari, per dieci ducati, passai da Pomigliano d’Arco, Ducato Baronale, già della casa del Balzo, aperto: … … …
… … …
Adocchiando poi di lontano la città di Ruvo antichissima, stimata fabrica di Noè, patria di Ennio, discepola di S. Pietro, e mitra di S. Cleto in colle; provveduto improvvisamente di lettiga fino à Napoli, mi portai in un giorno ad Andria, città, e Ducato del dominio, si come quella, della Casa Carafa.
Lo stato di questa, amenissimo, ed abondante non men di Bitonto, di grano, vino, olio, mandorle, frutta, ed agrumi, gode il vantaggio dell’unione in se stesso, con la terra grossa, e indusriosa di Corato, e con l’aggradevole villa, ò connessione di più massarie in sito eminente, ov’è un palazzo capace di dugento persone, che vien chiamata il Monte Carafa, del presente Duca, Signore humanissimo, pingue di corpo, c’hà ottenuto prole in età matura dalla figliuola del Principe di S. Severo della casa di Sangro. Egli accresciuto di facoltà sovra molti Baroni, havendo incontrato in una via artificiale di verzure, il V. Rè Marchese de los Velez, nel viaggetto di Bari, gli diè ancor nel ritorno splendidissimo alloggio.
Andria dunque si stima città fondata da’ Normanni, è molto civile con particolar Nobiltà, qualche buona fabrica, e 1421 fuochi [famiglie fiscalmente censite]. Si veneran nel Duomo, il corpo di S. Riccardo, suo Vescovo, e in diversi vasi, mille trecento sagre Reliquie e fuori due Imagini miracolose della Reina del Cielo, cioè la Madonna di Altomare, in una chiesa fatta di nuovo, e quella che hà concetto per tutto il Reame, col titol della Madonna d’Andria, ad un miglio nella strada Napolitana.
Fabricandos’il monastero in magnifica forma col cominciamento de’ chiostri sì vasti che, se fosse perfetto, superarebbe ogni altro di questa Metropoli, dove però vivono con camere assai polite, giardino, & altre comodità in una insensibil collina, circa à quaranta Padri di San Benedetto: si scoverse l’antichissima imagine della Gran Sign[ora]. tutta negra, à sedere, col Bambino appoggiato avanti, di forma grande, dipinta, e tenuta nascosta per qualche secolo, in un volto, con una lampana quadra di ferro, tuttavia accesa.
Moltiplicate con quell’olio, che si nodrisce hoggi nella stessa, e dispensa, le gratie, e cresciuti i doni, ed i voti, si fabricò nel medesimo luogo sotterra, mà ben illuminato, un tempiotto, dove concorrono i divoti, e le limosine pe’ sagrifici, ad un tarì per ciascuno [l'offerta per una messa ivi celebrata a quel tempo, 1682], mostrandosi ella al frequente, cõ alzarsi la sua cortina.
Fra’ gradini, che saranno più di quaranta, scendendosi, resta in mezo
un affettuoso Crocefisso, che si gode pur dal basso, e di sopra stà edificata
una sontuosa e vasta chiesa, con tavole di buona mano, e gli ornamenti d’oro,
e di stucchi, non senza le supellettili di prezzo.
Vi si celebra poi con pompa, e botteghe di Artisti la festa.
Prossimo fù quindi, ed assai sospirato il mio arrivo à Canosa, terra di 269. fuochi del Marchese Affaitati, di Barletta, fabricata in picciol poggio, e cinta di mura, dalle ruine di Canne vicino alla vasta pianura che fù teatro glorioso delle armi di Annibal Cartaginese, e da lui stesso spianata, si come scrive Gugl[ielmo]. Apul[ense]. al lib. 4. … … …
Tornai à passar sotto Ariano, dove il cuoco del Vescovo mi fè rinvenir pronte delicate paste; e per lo disagio de gli ultimi giorni, accelerai di restituirmi à Napoli, di dove questa sera trasmetto à V. S. Illstriss. gli ossequi riverenti, con gli auguri più sinceri di udirla accresciuta. 17. Ferrajo 1682.
[testo tratto da “MEMORIE DE’ VIAGGI PER L’EUROPA CRISTIANA, Scritte à Diversi in occasion de’ suoi Ministeri DALL’ABATE GIO: BATTISTA PACICHELLI”, Parte quarta, Tomo I., in Napoli, nella Reg. Stampa 1685., pagg. 378-379, 391, 525-529, 541 (digitalizzato da Google)]
Mostrarò à V. S. Illustriss. (perche sò che gusta, nell’Otio suo saggio, udir l’utile altrui Negotio) l’erudita mia digressione in Puglia, e nelle confinanti Provincie: e farollo con discreta misura. Di buon mattino dunque a’ 27. Aprile del 1686. mi spiccai da Napoli in seggia rolante [calesse], con un Cameriero, [il cui nome, Giuseppe Ganaverri, è citato a pag.154] e Laccheo solamente, piacendomi per molti riflessi di viaggiare all’incognito;
… … …
La sera stessa di martedì, veduto in campagna il Pozzo Franco, per benefitio della Reina d’Ungheria nel vago, e fertile territorio di Andria, pervẽni di buon’hora al celebre, e vasto Monastero de’ Cassinesi chiamato la Madonna de’ Miracoli un miglio vicino alla Città. Il P. Celerario Vitaliani, cui portava lettere del P. Maestro Sebaste Agostiniano suo Zio, si rinvenne col P. Ab. Costanzo nel palazzo Ducale; mà (con maraviglia di tutti que’ Cortegiani, che mi vollero accompagnare) niun conto fè dell’officio scusandosi contro la verità, che prestava alloggio in quella sera, capitati forsi per l’aria, à quattro Gentiluomini del Sig.Cardinal Carpegna.
Il Segretario nondimeno, che mi havea conosciuto à Parma, avanti che servisse il sig. Card. Gallio, ed era galantiss. Ecclesiast. per nome il sig. Giacomo Pacini Mantovano, passato poi poco dopo la morte di quel Duca, nella State stessa à miglior vita, mi fè veder quel palazzo, ch’è grande, in isola, di pietre Proprie del paese cõ ampia sala, e trè comodi quarti in piano, in un de’ quali alloggiato havea il sig. Marchese de los Velez Vice Rè nel ritorno da Bari, Scuderia di cinquanta bizzarri Cavalli di quelle razze, comodità sopra, un giardino contiguo alle stanze, di dove un corridore coverto porta nel Vescovado, custode del Corpo del primo Vescovo S. Riccardo spedito da S. Pietro Aposto[lo], posseduto con esempio da Monsignor Alessando d’Egitio, in età di 95. anni.
Venn’informato de’ trè Seggi maestosi della Nobiltà, e del decoro, che spiega il numeroso Magistrato. Mi trattennero anche, un di que’ Gentilhuomini Venetiano c’havea viaggiato nella Lituania, e Moscovia, e il Priore D. Riccardo, fratello del Signor. Avvocato in Napoli, Flavio Gurgolo, provisto di pingue beneficio in quella sua patria, & altri: alcuni de’ quali in una carrozza di Corte mi condussero à veder quella sagra Imagine della Celeste Reina, chiamata dal Pontefice Sisto V. la Madonna de’ Miracoli, accompagnandomi poi sempre l’Abate stesso con vari Monaci, per ritenermi ancora quella sera frà loro.
Il tempio è grande, luminoso, e colorito tutto di eleganti Pitture, circondato fuori da botteghe di fabrica per la fiera. Si discende sotto, per due larghe, e comode scale, colme di tavolette votive, in una Chiesa vecchia, dove in un’altare coperto di lamini, e illuminato da varie lampani di argento, somigliante à quel di Loreto, si scuopre, e tirata la cortina, mi fù mostrata cõ uņa torcia, quella figura, che sembra à mosaico nel volto della tribuna, con la faccia alquanto guasta dal tempo, à sedere in trono, coronata da, dodeci stelle, con la luna e’l sole, ritenendo il figliuolo avanti al petto, ricca di gemme.
L’adorai, e ne ricevei copie in cartą. Vidi il monastero che si perfectionava in alcune camere, non però habitato più che da venti frà Padri, e commessi, ed hà giardino grande.
Fra’ Carmelitani venerai anche sotterra un’altra Imagine della Vergine, che restituì la vita ad un Fanciullo.
Tornai alla Città, ricevendo inviti cortesi da molti, e il Segretario sudetto, unito col Sig. Angelillo Politi, già Maestro di casa, & huomo di gran maneggio presso quel Duca, mi fè in casa del secondo trovare ben disposta di Carne, e Pesce una lauta Cena, e un comodo letto, con libertà da proseguire, si come fei la mattina, udita nel Duomo la santa Messa, il Viaggio, non vedendo più alcuno. Mà, in picciol giro fuori delle mura, osservai foura una delle porte le Memorie del Rè Federigo II. grato dell’Hospitalità godutavi, leggendo così,
Andria fidelis, nostris affixa medullis.
Restava da considerarsi 8. miglia discosto in circa, in quello stesto dominio, il famoso Castel del Mõte, co’ sụoi vari marmi, colonne, e mosaici, fabricato, e disposto in trè quarti grandi già (si com’è fama) da Federigo Barbarossa, hoggi però dishabitato ed aperto che rapisce la Curiosità degli huomini di buon gusto. Mà il Calessiero mi vi negò la condotta.
Di passaggio vidi la bella Terra di Corato, del medesimo Duca d'Andria, all'oggetto in colle, delle delitie, e vasto palazzo suo, chiamato il Monte Carafa: e nella Città poco appresso di Ruvo pur sua, molto antica, ...
… … …
Così procuro, divertẽdomi cõ profitto, unire all’Otio il Negotio: ed è il saggio di me stesso nell’ãno corrẽte, che invio à V. S. Ill. con l’augurio di moltiplicate, e vere contentezze.
Napoli, 25. Ottobre 1686.
NOTE _
(1)
Trascrizione da una copia digitale dell'originale presente nella
"KAISERLICHE KKOENIGLICHE HOFBlBLIOTHEK - OSTERR. NATlONALBlBLlOTHEK di VIENNA", digitalizzato da Google.
Quanto è scritto tra parentesi quadre ed il grassetto non sono presenti nel testo originale.
Si sono trascritte anche le parti iniziali e finali delle lettere, e non solo
quanto si riferisce alla città di Andria, per inquadrare meglio il contesto.
A inizio lettera il Pacichelli taccia alcuni autori di superficialità, mancanza di misura,
"fallacia"; ebbene diversi studiosi del Settecento, di rimando, hanno severamente criticato
le sue opere. Annastella Carrino nel Vol. 80 dell'Enciclopedia Treccani, ad vocem, cita ad esempio i seguenti:
"Francesco Antonio Soria scrisse che «l’opera sarebbe commendevole se fosse animata
dal necessario discernimento, che si desidera in quasi tutte le altre opere di questo scrittore»
(1781, pp. 463 s.). Lorenzo Giustiniani si spinse fino a dire che si trattava
di opera «scritta veramente da uomo acciabattante qual egli era» (1793, p. 110).
Pietro Antonio Corsignani osservò che nel Regno di Napoli in prospettiva
si riscontravano «vari abbagli com’è solito far in quella sua opera,
affastellata senza discernimento» (1738, I, p. 277); Gian Donato Rogadeo
sostenne che Pacichelli «senza critica alcune accozza[va] notizie triviali»
(1767, p. 66). Altri ancora sollevarono dubbi sull’autenticità delle informazioni
riportate, nelle quali si sarebbe dovuto «distinguere ciò che egli stesso ha veduto,
da ciò che ha udito narrare per tradizione» (Tiraboschi, 1793, p. 98)."
(2)
Il Pacichelli, partito da Napoli (sabato), 27 aprile 1686 (pag. 41), dov’è essere giunto in Andria
tra la fine di maggio e i primi di Giugno, poiché (a pagina 43) racconta di essere pervenuto
il “2º giorno di sabato” (4 o 11 maggio) ad Arienzo. Domenica (12 o 19 maggio) sul tardi
riparte per Arriano (Irpino). Il Lunedì (forse 20 maggio) è a Troia (pag.48), va all’Incoronata,
trascorre alcuni giorni ad Horta, indi passando da Cerignola si reca
a Canosa, dove nel reliquiario della cattedrale tra le altre reliquie, vede
due SPINE DELLA CORONA (di Cristo).
A pag. 53 dice che, attraverso la contrada di Pozzo Franco, giunge in Andria
al monastero benedettino della Madonna de’ Miracoli di martedì;
questo giorno può essere il 28 maggio o il 4 giugno.
Il Pacichelli in Andria visita anche la
cripta della Madonna dell’Altomare,
allora officiata dai Carmelitani, che stavano edificando la
Chiesa del
Carmine ed il loro Convento sull’adiacente collina di S. Vito e, provvisoriamente ed abusivamente,
alloggiavano nella vicina
chiesetta di S. Maria la Nova.