"Nel ‘700 un fervore innovativo percorse tutta la Puglia. Con circa un secolo di ritardo il Barocco divenne il linguaggio ufficiale dell’architettura. Si stabilì presto una sorta di gara tra le varie istituzioni, pubbliche e private, per trasformare o ricostruire in forme barocche gli edifici romanici e rinascimentali “ereditati” dai precedenti periodi, oltre che per costruirne di nuovi. In questo processo un ruolo rilevante fu svolto dagli ordini conventuali.
… … …I frati Conventuali di Andria, in Terra di Bari, si erano anch’essi inseriti nel processo di rinnovamento che caratterizzà il XVIII secolo. Nel 1749, ad opera dei maestri muratori Savino Raimondo di Andria e Nicolò e Giovanni de Mangarella, padre e figlio, di Barletta, si era dato inizio ai lavori per «modernare con nuove fabbriche interiori la chiesa di questo venerabile Convento, ed alzare sopra le vecchie altre nuove fabbriche, per poi partire cappelle, presbiterio, ed altro; e situarci con finimento di stucco» secondo il disegno-progetto redatto a Napoli dall’ingegnere Martino Buonocore e la direzione dei lavori del sig. Anello Prezioso, anch’esso di Napoli, che per il periodo di svolgimento dell’incarico si sarebbe dovuto recare in Andria. [5]La chiesa del convento, costruita verosimilmente tra il XIII ed il XIV secolo [6], è a navata unica, secondo il tipo della basilica di Assisi ma senza transetto, conclusa da un coro a pianta rettangolare e, soprattutto, poco sviluppata in altezza in quanto il rapporto originario altezza/larghezza della navata era prossimo a 1. I lavori di trasformazione in forme tardo-barocche consistettero nella chiusura delle finestre ogivali laterali (una delle quali è ancora visibile dall’esterno), e nella sopraelevazione delle murature perimetrali con l’inserimento di nuovi ampi finestroni e un moderato fastigio barocco sulla facciata. L’aula, che a seguito della sopraelevazione aveva acquisito un maggior slancio verticale, venne coperta con una volta a botte con lunette in corrispondenza dei finestroni, realizzata con struttura ad incannucciata sospesa alle capriate di copertura. Le pareti laterali interne furono scandite con coppie di lesene, raccordate da archi, per formare le “cappelle” previste nel progetto, tre per lato. Il tutto coronato da un’alta trabeazione che raccorda i capitelli e definisce il livello di imposta della volta.I lavori, che portarono la chiesa alla sua forma attuale, si conclusero nel 1752. Nel successivo 1753 si procedette al rifacimento della pavimentazione ad opera dei maestri muratori andriesi Domenico e Vito Ieva. [7] La trasformazione interna sarà poi completata nel 1766 con l’installazione di un organo sulla parete di fondo del presbiterio, opera dell’organario «Francesco Carelli del Vallo di Novi, provincia di Basilicata» [8].Alla nuova veste architettonica della chiesa mancava però un elemento essenziale, che doveva costituire un punto di riferimento, anche a notevole distanza, del complesso conventuale: il campanile [9]. La decisione di procedere alla sua costruzione fu assunta nel 1760 e per tal fine fu contattato il già citato maestro Vito Ieva di Andria, il quale si qualificava anche come ingegnere e come architetto."[5] Notizie tratte da G. Di Gennaro, Notizie inedite sulla chiesa di S. Francesco, in A. Basile, La chiesa di S. Francesco. Appunti di storia, arte e spiritualità, Grafiche Guglielmi, Andria, 1995, pp. 45-55. Purtroppo Di Gennaro nulla dice sulle fonti utilizzate.
[6] Secondo la storiografia locale, la costruzione del convento e della chiesa sarebbe stata iniziata nel 1230, appena pochi anni dopo la morte di S. Francesco (R. D’Urso, Storia della Città di Andria, Tip. Varana, Napoli, 1842, p. 71). Tuttavia di questa così precoce realizzazione non esiste prova alcuna.
[7] E. Merra, La chiesa di San Francesco, in Monografie Andriesi, Vol. I, Tip. Mareggiani, Bologna, 1906, pp. 335-382.
[8] G. Di Gennaro, Notizie inedite sulla chiesa di S. Francesco cit., p. 46.
[9] Per una lettura sotto il profilo antropologico-culturale della struttura architettonica del campanile quale elemento di riferimento territoriale, cfr. E. De Martino, Il campanile di Marcellinara, in La fine del mondo, Einaudi, Torino, 1977, pp. 479-481.