di Giovanni Fuzio (____-____)
La monografia che presentiamo è il documento di una esperienza che, vissuta « in loco », si è sviluppata secondo il criterio della rassegna critica, si è sviluppata cioè in stretto rapporto con i problemi di oggi.
Scoprire la storia, le vicissitudini, il perché, delle nostre chiese (e dei nostri monumenti in genere) senza avvertirne l’eco proiettata tra noi non significherebbe altrimenti compiere una operazione culturale. Soltanto così facendo, infatti, il risalire alle origini acquista uno scopo e conduce ad un risultato.
Mentre è ancora controversa la origine di Andria come centro abitato unitario, così come oggi si presenta [1], è indubbio che in tempi anteriori alla dominazione normanna essa risultasse costituita da un notevole numero di casali e di borghi [2].
Di tre di essi si ha una antica memoria attraverso una pergamena scritta in latino barbaro dell’anno 843 [3] e precisamente di Trimoggia, di cui viene nominata la chiesa di Santa Maria, di San Pantaleone, di Cicala.
E non è da meravigliarsi di ciò in quanto « prima della dominazione normanna, il regno era pieno di villaggi e di casali che d’ordinario si stabilivano intorno a qualche chiesa o nelle dipendenze di qualche monastero » [4], ma le incursioni dei saraceni, di cui si servivano i bizantini sempre attorno alla riconquista della Puglia, fecero sì che i villaggi divenissero fortezze, i casali castelli, e che comunque la popolazione tendesse ad agglomerarsi in centri di maggiore importanza, rendendosi intorno al mille le condizioni civili e sociali della popolazione sempre più desolate e tristi, « quando unico conforto e sostegno agli spiriti conturbati offrivasi la religione, dalla quale solamente speravasi avere alcunché di bene» [5].
Ai tempi del normanno Petrone che nel 1046 cinse di mura il nucleo originario dell’attuale centro abitato di Andria [6], gli abitanti di tali borghi presero gli uni dopo gli altri a trasferirsi in esso in misura tale che già nel 1104 la sua popolazione risultava di 20.000 abitanti come da antica bolla [7].
Prescindendo comunque dalla autenticità o meno di questa bolla, è tradizione costante che tra le prime genti a trasferirsi nell’abitato di Andria sia stata quella di Trimoggia e, con essa, il suo clero.
Secondo un manoscritto del Canonico Lorenzo di Troya citato dal Merra [8] il clero di Trimoggia prese possesso della chiesetta di San Nicola fatta costruire da Riccardo Normanno, secondo Conte di Andria, chiesa che in quell’epoca non era più estesa dell’attuale presbiterio.
Con l’andare degli anni il detto clero, che da allora si denominò da San Nicola, crebbe di numero e verso il 1380 ingrandì notevolmente la chiesa anche con aiuti di Bertrando del Balzo che [9] vi fece costruire un coro in legno con pannelli contenenti le immagini di San Nicola, San Riccardo, San Sabino, San Ruggiero con al centro quella di Santa Maria di Trimoggia: coro e pannelli andati distrutti nel restauro del 1748 [10].
Analoga sorte ebbe l’altare maggiore che nel 1657 il duca Fabrizio Carafa, grato a San Nicola per avere salvato la sua famiglia dalla peste che per sei mesi aveva desolato Andria, fece costruire in legno splendidamente dorato, con l’immagine di San Nicola al centro [11].
In tale occasione venne costruito l’organo e la volta, poi rifatta dopo il 1796, del presbiterio.
Nel 1748, insieme ad altre opere, il Capitolo fece costruire dall’artigiano andriese Giuseppe Gigli un nuovo coro in noce a due ordini di sedili, con un fascione terminale, che, splendido, fino a qualche anno fa degnamente faceva da fondale all’altare in marmo eretto nel 1750.
Nel 1749, infatti, il Capitolo ottenne dal Duca di Andria Ettore Carafa la facoltà di demolire l’altare in legno dorato per sostituirlo con uno in marmo; una lapide murata nel presbiterio [12] ricorda l’avvenimento: nel 1750 da un ignoto artista napoletano e sotto la direzione del Primicerio Francesco Saverio de Risis, andriese, venne infatti eretto il grandioso altare maggiore in marmi policromi. Esso fu realizzato con le prime rendite venute al Capitolo dal legato del Canonico Ponzio della Basilica di San Nicola di Bari, il di cui stemma è raffigurato ai lati dello stesso altare: anche di ciò venne fissato il ricordo con una lapide [13].
Ulteriori lavori di completamento e restauro furono iniziati il 1796 anche a seguito dell’ordine emesso da Re Ferdinando a tutti i Capitoli di Cattedrali e Chiese del Regno di « riparare le fabbriche cadenti e fornire le chiese di arredi sacri, minacciando il sequestro della temporalità ai trasgressori » [14].
In tale periodo però tutta la Puglia barese, e particolarmente Andria, « fu percorsa in lungo ed in largo da intermittenti quanto violenti fremiti di rivolta, sia anti-baronali (come nel 1797 a seguito della soppressione da parte dei Carafa dell’esercizio dei diritti comunitari nelle terre feudali) e anti-ecclesiastici, sia anti-borghesi, che confluirono in quella che fu detta l’anarchia del 1799 » [15], e ciò fece sì che detti lavori fossero completati nel 1804-1805 e certamente con programma diverso da quello iniziale.
Soltanto così, infatti, può spiegarsi la notevole diversità tra parte degli esterni e l’interno, tra ciò che chiaramente risente dell’impianto barocco e ciò che è neoclassico, sia pure di un neoclassico in cui il contatto con la classicità non è ancora critico, non è ancora strumento di sintesi, in cui cioè è presente soltanto una reazione (se così si può dire) classicistica.
Nel 1856, infine, guardando più all’altare maggiore che all’architettura generale dell’interno, il Canonico Cantore D. Francesco Latilla fece pavimentare con lastre di marmo il presbiterio ed erigere la balaustra che ancora oggi lo divide dalla navata. Con tali opere si può dire che sia concluso il ciclo dei grossi interventi sul monumento che è giunto sino a noi con una imponenza d’insieme che non ha riscontro nell’architettura sacra dell’epoca in terra di Bari, ma notevolmente alterato, particolarmente all’interno, da decorazioni che falsano, tra l’altro, l’equilibrio tra le parti basse e le volte.
Attualmente l’interno della chiesa si presenta con una grande navata con sui lati tre cappellette per parte, il presbiterio sopraelevato e definito da quattro grosse colonne in muratura (realizzate nel 1799) intonacate a finto marmo giallognolo, ed il coro (attualmente trasformato in sacrestia).
Sul lato destro del presbiterio e del coro è stata recentemente ricavata una spaziosa sala in cui è conservato il busto del già citato Canonico Ponzio.
[N.D.R.: Non è il busto del Canonico Porzio, ma del servo di Dio padre Filippo Cota, realizzato da Antonio Corradini, insieme all'altare maggiore]
Sul lato sinistro invece vi sono i locali delle confraternite che giungono sino alla strada e che sono in abbandono.
Tra le volte delle cappelle e la copertura è interposta una serie di locali inutilizzati, costruiti evidentemente sia per collegare ad una quota superiore i contrafforti, sia per calibrare il volume esterno dell’edificio e renderlo notevolmente emergente.
La presenza inoltre di tali contrafforti all’esterno e delle colonne all’interno, fa pensare che nel 1796 v’era un programma diverso da quello poi realizzato a riguardo delle coperture: probabilmente (ma è soltanto una ipotesi) un pensare alla realizzazione di un impianto tipicamente barocco (cupola con sottostante tamburo impostato con relativi pennacchi sugli archi ricorrenti sulle quattro colonne) deve essere stato alla base di disaccordi tra i componenti il Capitolo tanto da fare sospendere i lavori per qualche tempo [16].
La copertura esistente, continua sulla navata e sul presbiterio, realizzata con semplici capriate in legno e con le volte cannicciate sospese, sembra in effetti non giustificare affatto la presenza delle quattro colonne con i relativi archi, anche se ad esse, ed agli archi, si può dare una certa funzione di controventamento delle murature laterali; oppure di risoluzione formale del problema posto dalla diminuzione di larghezza tra il presbiterio ed il coro; oppure ancora di risoluzione funzionale caratterizzando in modo preciso le zone interessate da percorsi ed il presbiterio vero e proprio.
È comunque evidente, in ciò che è giunto sino a noi, una impostazione abbastanza coerente ed unitaria nell’insieme: ed il tanto è una ulteriore caratteristica che differenzia l’organismo architettonico di San Nicola di Andria dalla maggior parte delle chiese della nostra zona.
Per quanto riguarda gli esterni non si può non rilevare come la perentoria violenza con cui la fabbrica di San Nicola si immerge nel contesto urbano del borgo, coinvolgendo con la sua presenza tutto lo spazio circostante, costituisca un fatto architettonico che non cessa di sorprendere anche chi ha con questa immagine una consuetudine quotidiana. È questo, infatti, l’unico punto di Andria in cui un programma, in sostanza barocco, si rileva con diretta comunicabilità e, condizionato dalla molteplicità ed irregolarità del tessuto medioevale, si pone esplicitamente come fondamentale e caratterizzante emergenza.
Infatti la massa vibrante che si inserisce al fondo di ogni vicolo agisce sullo « spettatore » come un invito a partecipare a quello che doveva essere, e sostanzialmente continua ad essere, il quotidiano dramma di vita nel quartiere medioevale detto delle « grotte ». E che la scena urbana di tale quartiere, il più povero di Andria, avesse bisogno di un tale « segno » significante (come si è già detto), « la religione, dalla quale solamente speravasi avere alcunché di bene » nel medioevo come negli ultimi anni del settecento, lo si può ancora oggi riscontrare da ciò dello stesso quartiere è rimasto in quanto la massa edilizia emergente della chiesa, continuamente cangiante nei rapporti chiaro - oscurali delle sue superfici, determina una ricchezza di riferimenti ottici che agiscono su chi vive nei vicoli, oppure li percorre, in maniera che ancora oggi sorprende.
È certamente ciò il risultato di un programma barocco abbastanza riuscito al livello urbanistico, nonostante la secchezza del discorso architettonico.
Soltanto nel prospetto principale, infatti, si riscontra una ricerca di carattere formale in cui le partiture verticali ed orizzontali, i rapporti delle specchiature, gli ordini semplificati, mostrano chiaramente il linguaggio di repertorio di un neoclassico che ancora tenta di accordare il senso decorativo barocco con forme costruttive di ispirazione classica.
Oltre ai testi citati nelle note:
R. Zagaria: Descrizione storico - artistica di Andria.
O. Spagnoletti: Studi di storia andriese. - 1913.
F. Lenormant: A’travers l’Apulie et la Lucanie.
G. Ruotolo: Andria sacra.
R. Spagnoletti: Gli andriesi illustri.
N. Vaccina Lamartora: Andria, le sue vie, i suoi monumenti.
A. Violante: Andria e Castel del Monte.
G. Ceci: Cenni sulla topografia e la popolazione di Andria. - 1911.
S. Liddo: Le grotte di S. Andrea in Andria. - 1953. P. Cafaro: Campane e campanelli di Andria.
Estratto da «RASSEGNA TECNICA PUGLIESE - CONTINUITÀ», Anno II, N. 3, Settembre 1969, Tip. Grandolfo - BARI.
[*] N.D.R.: Nel testo originale le immagini (foto e tavole) sono inserite, tutte insieme ma tra loro opportunamente intercalate, nelle pagine centrali dello studio.
[1] G. Fuzio: La Chiesa dell'Annunziata di « fuori » in Andria. - Bari, 1964, pag. 1 seg.
[2] E. Merra: Monografie Andriesi. - Bologna, 1906, pag. 281 e seg.
[3] A. di Prologo: Le carte che si conservano nell'archivio metropolitano della città di Trani dal secolo IX fino all’anno 1266. - Pag. 24, documento 2.
[4] B. Capasso: Memorie sul Catalogo dei Feudi e feudatari delle provincie napoletane sotto la dominazione normanna.
[5] F. Carabellese: L’Apulia ed il suo Comune nell’alto medioevo. - Cap. XI, pag. 99 e seg.
[6] Lorenzo Giustiniani nel suo « Dizionario geografico del Regno di Napoli », riporta (torno I, pagina 187) un passo del poema di Guglielmo Pugliese in cui parlando di « Pietro Normanno » Conte di Trani, si dice: « editit hic Andrum, fabricavit et inde Coretum ».
[7] C. Orlando: Scritture delle Città d’Italia.
[8] Canonico D. Lorenzo di Troya: Memorie Storiche della città di Andria. - Manoscritto conservato all’epoca del Merra dal dott. Leonetti Troya.
[9] R. D’Urso: Storia della città di Andria. - Napoli, 1842.
[10] M. Agresti: Il Capitolo della Cattedrale di Andria. - Andria, 1911, pag. 77 e seg.
[11] E. Merra: Op. cit., pag. 292.
[14] M. Agresti: Op. cit., vol. I, pag. 374.
[15] G. Masi: Strutture e società nella Puglia Barese del secondo settecento. - Matera, 1966, pagina 60.
[16] G. Borsella: Andria Sacra. - Andria, 1918, pagina 130: « ... cominciò a costruirsi nel 1796 e venne condotto a termine nel 1805 essendosi per tre anni interrotti i lavori, a causa che discordavano i preti circa la forma della costruzione ».