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Via: Porta del Castello, ma ...
dov'era il Castello?
Qui c'era
la Porta nelle mura per la quale, secondo alcuni autori
come il sotto citato Antonio Di Gioia, si perveniva
al Castello normanno, il turrito maniero che un tempo sorgeva al
posto dell'attuale Palazzo Ducale (al centro dell'immagine e
dall'ottocento proprietà degli Spagnoletti).
Scrive infatti il Di Gioia:
“Nel 1073 sicuramente Andria era cinta di mura e munita di
fortilizio in quanto in essa si rifugiò Pietro II conte di Trani combattendo
contro Roberto il Guiscardo ... La fortificazione di Andria fu una diretta
conseguenza della conquista del territorio da parte dei Normanni, i quali
dotarono la nascente città anche di un castello. ... La costruzione dei
castelli da parte dei Normanni aveva il duplice scopo di consentire la
conquista del nuovo territorio da un lato e dall'altro di poter esercitare
il dominio feudale sulle popolazioni.
Per tale motivo il castello normanno era localizzato spesso ai margini della località
urbana, ma raramente era inserito a ridosso delle mura cittadine. Questo
schema sembrerebbe calzare bene anche per Andria, dove il castello normanno
era ubicato all'interno delle mura, ma a breve distanza da esse, appunto
dove si trova attualmente il palazzo ducale, a poche decine di metri dalla
porta del Castello, la porta più importante dal punto di vista militare, se
si tiene conto che tale porta guarda verso Trani, che in epoca normanna era
la città più importante della zona, da cui proveniva anche la minaccia
militare bizantina. La sede indicata corrisponde, oltretutto, all'apice
della collinetta su cui sorge il centro antico di Andria. ...
La porta vera e propria si trovava sull'attuale via Porta Castello, non
all'incrocio con via Ugo Bassi ma, orientativamente, nove metri più
all'interno rispetto allo spigolo della casa d'angolo dell'attuale via Ugo
Bassi, poiché tale era la larghezza media del fossato in questo punto delle
mura.
Sulla destra per chi esce, il fossato finiva a fondo cieco contro il
bastione poligonale.
Così descrive questa porta nel 1685 il Fellecchia:
«Numer perfetto ancor contien di porte (Andria),
Ch'una guarda vers'Austro, e vien chiamata
Del Castello, perché munita, e forte
Vicina ad un Castel fu fabricata.
Già ludibrio del Tempo, e de la sorte
Fatta la Rocca appena in piè restata;
Ivi ad onta del Vecchio ingordo, e infame
Si trita il grano sol per l'altrui fame.»
Interessanti le annotazioni di questo autore della fine del Seicento,
che conferma due particolari importanti: che la denominazione indica solo la
vicinanza e non la contiguità ad un castello ed in secondo luogo che essa
era «munita e forte», cioè meglio fortificata rispetto alle altre porte ed in
specie munita di una rocca, cioè una struttura difensiva, che doipo essere
stata costruita (fatta la rocca), era «appena in piè restata».
La «rocca» è senza dubbio la struttura difensiva posta a sinistra, per chi entra,
della porta del Castello, il baluardo o bastione poligonale per intenderci.
Il riferimento, fatto sia pure in maniera ermetica, potrebbe essere
all'assalto subito dalla porta e dal tratto di mura contigue nel 1528.”
[testo tratto da "
ANDRIA IL CASTELLO E LE MURA",
di Antonio Di Gioia, Mario Adda Editore, Bari, 2011, pagg. 36-37, 132]
Del tutto discorde è il parere di Vincenzo Zito, che scrive:
“Di Gioia interpreta la strofa suddividendola in due parti: nella
prima parte essa farebbe riferimento ad un castello situato nel sito del
Palazzo Ducale, particolare questo non esplicitamente denunciato dal
Fellecchia, mentre nella seconda parte la rocca corrisponderebbe alla
fortificazione posta a sinistra della Porta del Castello, della quale si
vedono i resti in via De Gasperi. Secondo Di Gioia, quindi, la strofa del
Fellecchia cita due fortilizi diversi. Questa letura non è univoca perché,
da un'attenta analisi, si può proporre un'interpretazione alternativa e,
forse, più accettabile. La parafrasi della strofa è la seguente:
[La città] ha tre porte (numero perfetto), una di queste è rivolta al
sud (verso l'austro) e viene chiamata "del Castello" perché fu costruita
vicino ad un castello e per questo è ben difesa. Questa rocca (cioè il
castello vicino alla porta), nonostante i danni del tempo e dalle vicende
storiche, resta ancora in piedi e lì, a dispetto degli effetti del tempo (il
vecchio ingordo), si macina il grano per soddisfare i bisogni alimentari
della gente (è divenuta, cioè, un mulino).
Si comprende chiaramente come la rocca cui si riferisce nella seconda
parte della strofa coincide col castello citato nella prima parte e che la
Porta detta "del Castello" è ben difesa proprio perché costruita "vicino" ad
un castello. Il Fellecchia, quindi, ritiene che il "castello" di cui parla
non sia ubicato sul sito del Palazzo Ducale, come vorrebbe Di Gioia, bensì
nel fortilizio posto a breve distanza della porta, struttura che nel '500 fu
tramutata dai Carafa, per l'appunto, in mulini. Infatti ben difficilmente la
Porta del Castello sarebbe potuta essere difesa da un fortilizio posto
all'interno della città e distante oltre 100 metri dalla porta medesima,
funzione che, invece, egregiamente può assolvere il fortilizio posto su via
De Gasperi, ad una distanza di appena 30 metri. ...
Un secolo dopo il Fellecchia troviamo il manoscritto settecentesco del prevosto
Pastore sull'Origine della collegiata di San Nicola di Andria,
il quale, con riferimento al castello scrive:
«Il primo disegno [Il conte Pietro] cominciò a pratticarlo nel Villaggio di Andria. Circondò
questo luogo di mura, e d'antemurali nell'estensione d'un miglio
in forma circolare; racchiuse in esse abitazioni, che lo formavano
colla Torre, e coll'antico Tempio, che l'era a canto. Dispose le strade
per ricettarvi li popoli raunati da quei borghi, vichi, e piccioli casali,
che ivan sparsi nello spazio del territorio intorno. Aprì quattro
Porte d'intorno a queste nuove mura per l'ingresso in città.
E fabricò
un Castello nella parte più alta del colle, attaccato alle predette mura
per custodia ed abitaz.e de' suoi militari.»
Secondo il Pastore, quindi, il castello fu costruito nella parte più alta
dell'abitato, "attaccato" alle mura della città.”
[testo tratto da "IL CASTELLO NORMANNO-SVEVO DI ANDRIA, una
questione controversa" di V. Zito,
ed. dell'Autore, 2012, pag.6-7]
I due autori, Antonio Di Gioia e Vincenzo Zito,
proseguono nei loro rispettivi testi l'analisi delle fonti, sia letterarie che
documentarie e materiali, traendo comunque sempre conclusioni tra loro
discordi. Non è qui il luogo per riportare neppure una sintesi delle loro
argomentazioni, numerose e di non facile riduzione; in altre pagine che richiamano l'argomento sono
riprese le loro istanze, unite a quelle di altri studiosi.
Se dovessi esprimere un mio convincimento, alla luce di quanto finora consultato,
sarei propenso a dare maggior credito alla gran parte delle conclusioni
raggiunte dall'arch. Vincenzo Zito, nonostante permangano in me non pochi dubbi,
sia sull'interpretazione e attendibilità delle fonti letterarie
che su una piana "lettura" dei documenti.
La foto sopra è molto antica: all'angolo destro che apre a piazza Catuma non è stato
ancora costruito
palazzo Attimonelli, negli
anni sessanta sconsideratamente demolito per far luogo a un nuovo
palazzo (ove ha sede una banca) che ha deturpato l'estetica
dell'insieme.
L'energia elettrica non è ancora giunta in città.
Si noti inoltre sulla destra, dopo la strada dietro la Madonna del
Carmine (Via Ugo Bassi), che l'
omonima
edicola era collocata presso l'angolo, a circa due metri dal
suolo.
In una foto a seguire, scattata il 18 marzo 2000, possono osservarsi i
radicali cambiamenti apportati nella seconda meta del Novecento.
Dall'incrocio con la
Strada Chiavara (Via A. De Gasperi a sinistra) e
Strada a Porta Castello (Via Bovio
a destra) una veduta della via nel 2000; un palazzone moderno,
all'angolo destro con piazza
Catuma, ha soppiantato anche il Palazzo Attimonelli, che
possiamo apprezzare nella sottostante foto, mentre dal suo portone esce una sposa per
recarsi, con la nuova fiammante Balilla alla festa più importante
della sua vita..