L’Aula dell’Assemblea: le navate

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L’Aula dell’Assemblea: le navate

Per l’Aula dell’Assemblea dei Fedeli accolti in tre navate l’esposizione sia dei dati storici che delle analisi affettuate dagli studiosi, considerata la vastità dell’argomento, è qui frammentata nelle seguenti pagine:
- Uno sguardo d’insieme all’Aula attuale,
- L’Aula delle origini, (in questa pagina)
- L’Aula nel Cinquecento - Seicento,
- L’aula nel Settecento - Ottocento.


L’Aula delle origini: tre iscrizioni del secolo XII
un antico arco sulla controfacciata e un architrave

Le scarse fonti documentarie scritte e a tutt’oggi conosciute, le lapidi incise nelle colonne della Cattedrale, le vicende storiche narrate nelle cronache dei contemporanei, fanno ritenere che l’erezione della Chiesa di Andria a Cattedrale sia avvenuta poco dopo il consolidamento della conquista del territorio da parte dei Normanni, che avevano cinto di mura il locus Andre, trasformandolo in Civitas.
Documenti che attestino indirettamente il periodo di erezione della nostra Chiesa Cattedrale sono essenzialmnte quelli lapidari e incastonati nei suoi pilastri, iscrizioni che di seguito analizziamo mediante lo studio sotto citato del prof. Vincenzo Schiavone.
L’esame di dette iscrizioni, correlate con documenti del tempo da esse indirettamente richiamati, inducono a ritenere che questo edificio, prima Cattedrale della Città di Andria, nella sua struttura originaria sia stato costruito nel secolo XII, non più tardi del 1155.

Nei restauri terminati nel 1965 furono scoperte due iscrizioni sul terzo e quarto pilastro di sinistra della navata centrale. Iniziamo coll’analizzare la più antica delle tre iscrizioni presenti nella navata centrale, iscrizione che riporta il nome dell’architetto della Cattedrale: ALξEBERIUS.
L’eccellente storico andriese Vincenzo Schiavone, nel suo studio sottocitato su "Alle origini della Cattedrale di Andria, 9)", scrive:
Nel terzo pilastro della navata centrale, a sinistra, è inserita una piccola lastra marmorea entro la struttura muraria di cui fa parte: essa precede la iscrizione di Iannoccaro che è nel quarto pilastro successivo. Un esame diretto della tessitura muraria, l’esatta misura del supporto marmoreo e, soprattutto, il significato di questa iscrizione mostrano che anch'essa è nata col pilastro quadrangolare.

Foto dell'iscrizione posta sul 3° pilastro sinistro della navata centrale)

Diamo di seguito testo e trascrizione.

+ ETERNA VITA ROGO DONA SANCTA MARIA
ALξEBERIUS
HIC PER QUEM FACTUS TALISPES ČSTAT ET ARCUS

(A)eterna vita, rogo, dona sancta Maria.
Hic per quem factus talis (s)pes c(on)stat et arcus.

Possiamo … tradurre così:

«Il dono della vita eterna chiedo a te, Santa Maria.
A l k s e b e r i u s, che l'arco ha innalzato:
la sua speranza è forte, come l'arco».

… Sono due esametri latini rimati, usati nella forma più comune del verso leonino: la stessa adottata dalla iscrizione di Riccardo ed Emma.
Nel primo esametro, … l’autore, in una invocazione alla Vergine chiede a lei il dono della vita eterna e dice subito il suo nome; direi: scrive il proprio nome (è sin troppo evidente la diversità tra il tipo di scrittura usato per la invocazione e quello del nome Alkseberius, che subito lo segue, e che si estende su tutto il rigo successivo: ed è anzi sillabato, quasi enfaticamente).
Nel secondo esametro, … Lo stesso Alkseberius, che si è rivolto alla Vergine in prima persona, si rivolge ora al lettore per dire dell'orante: per dirgli chi è, indicandogli il proprio nome. … L'arco di pietra, che è opera sua … non è più solo opera muraria, ma diventa una immagine: esprime la speranza di Alkseberius nella vita eterna, appena invocata dalla Vergine. È, qui, speranza cristiana che solleva, come un arco, e ch'é salda e robusta perchè è fondata sulla fede.
… Quello di Alkseberius sembra un pensiero che pare egli voglia lasciarci e che — si direbbe — investa tutto il significato della Cattedrale e delle sue strutture. Per capirlo appieno bisogna rammentare che l'asse dell'edificio è allineato secondo la direzione Est-Ovest, riprendendo il primitivo orientamento paleocristiano della cripta premillenaria, con ingresso a Occidente e l'abside volta a Oriente. La nostra cripta è quasi tutta sotto il presbiterio, allineata nella stessa direzione.
… L'asse della cattedrale, dunque, è come un polo cristologico: e l'invocazione di Alkseberius va letta in quella stessa direzione. Essa infatti invoca la “vita eterna” che è Cristo stesso e — si badi — non la chiede al Cristo, ma alla maternità spirituale della Vergine, la «piena di grazia» che essa dispensa per la vita dell'uomo, perché compartecipe della redenzione che fa, degli uomini, dei figli di Dio: un Dio «che non è un solitario», ma che chiama gli uomini, nel Cristo, al dono di Sé.
Non manca, in quest'asse, anche la invocazione diretta al Cristo: è la invocazione di Iannoccaro, nel pilastro successivo, perché è Lui, come dice la nostra iscrizione, che apre le «porte del cielo», polo di attrazione e di speranza.
… … …
L'epigrafe di Alkseberius — indubbiamente precedente a quella di lannoccaro — fa pensare alla prima campagna dei lavori: dalla fondazione al terzo pilastro incluso. Che la fondazione della cattedrale sia anteriore agli anni di Alkseberius, lo farebbe escludere il senso esplicito con cui egli qualifica se stesso e la sua opera con la espressione per quem factus. Nei monumenti medioevali, come è noto, questo verbo, facio, usato insieme a un nome proprio, non esprime una attività puramente materiale ed esecutiva in un prodotto dell'arte, ma ne suggerisce l'ideazione, l'intuizione dell'opera di cui l'autore vuole assumere la paternità.

*

Sul quarto pilastro troviamo l'iscrizione coi nomi di cinque muratori che cooperarono nella costruzione della Cattedrale.
Lo studioso Vincenzo Schiavone, nel testo sottocitato su "Alle origini della Cattedrale di Andria, 5)", esamina e interpreta questa seconda iscrizione in modo molto convincente:

Foto dell'iscrizione posta sul 4° pilastro sinistro della navata centrale)

Alla certezza feudale dei signori che nel Mille a Barletta [nella iscrizione posta sulla facciata della cattedrale] compravano il paradiso, ad Andria rispondono umili ignoti della nostra gente, che hanno anche essi lasciato il proprio nome inciso nelle pietre della cattedrale.
Sentiamoli, dalla lastra marmorea inserita nel quarto pilastro di sinistra:

+ PORTAS CELESTES VIDEANT SIBI  XPE PATENTES
HUIC HOC QUI FANO STUDUERUNT ADDERE SACRO
ANGELUS  •  ETMUNDO  •  FRATER  EIUS •
CONSTANTINUS • ATQUE   IOHANNOCCARUS

(Pórtas c(a)élestés videánt sibi, Christe paténtes
huíc hoc quí fanó studuérunt áddere sácro
Ángelus, Étmundó, fráter éjús,
Cónstantínus átque Ióhannóccarús)

In lingua italiana possiamo volgere così:

Le porte del cielo, o Cristo,
per sé vedano aperte
coloro che questo hanno aggiunto
a questo sacro tempio
Angelo, Edmondo, suo fratello,
Costantino e Iannoccaro.

Il senso è chiaramente intelligibile. Si tratta di cinque persone tra di loro collegate da un impegno comune e che hanno attiamente operato … nella edificazione di questa cattedrale, nella parte di essa che va verso il presbiterio, dal quarto pilastro in poi … . E nessun dubbio può sorgere che i cinque signori non abbiano intenzione di sottolineare qui il compimento di una operazione che li vide insieme in un lavoro comune riguardante la struttura della cattedrale, precisando la parte dell'opera muraria … che veniva aggiunta a questo tempio … : e sembra che vogliano precisare, da bravi muratori, che, ciò che è in piedi prima di quel pilastro ad essi non appartiene come ideazione od esecuzione diretta.
Il riferimento al pilastro immediatamente precedente é infatti molto scoperto e comprensibile perchè proprio lì, dentro il terzo pilastro quadrangolare, su di un'altra lastra marmorea, era già stato inciso, … un altro nome (Alkseberius …) che rivendicava per sè la paternità della fabbrica e del suo progetto, … . Quando i cinque intervennero nei lavori della cattedrale, evidentemente continuavano la attività precedente di Alkseberius, portandola a compimento.
Particolarmente interessante, per noi, l'ultimo dei quattro nomi della lapide: Iohannoccarus. Perchè appare in un documento andriese del 1138, che egli sottoscrive come teste, ma con una testimonianza resa anch'essa con un verso leonino, come nella cattedrale, cosa piuttosto rara nella diplomatica pugliese. Trascrivo quella testimonianza in forma metrica:
Murus ab infestis, Iannoccarus est michi testis
nella quale il notaio, che roga l'atto, suggerisce — come ha fatto per ciascuno degli altri cinque testimoni — anche l'attività professionale di Iannoccaro (murus).
Il documento notarile sottoscritto è datato ad Andria, il 1138, Dicembre, vale a dire proprio durante gli anni che il conte Riccardo, marito di Emma, concluderà con la sua tragedia di cui diremo.
Le due iscrizioni marmoree, dunque, quella sepolcrale di Emma, che Riccardo pone in cattedrale, e quella che Iannoccaro con gli altri suoi compagni inserisce nel pilastro, possono dirsi di contemporanei, vissuti negli stessi anni.

Una conferma che Iohannoccaro fosse un rinomato ed importante "magister" ce la danno due pergamene, una del dicembre 1138 (citata dallo Schiavone) e l'altra del marzo 1142 conservata nell'Archivio del Capitolo metropolitano della città di Trani, documento che si riporta in nota (1).

*

Attualmente poggiata sul 1° pilastro sinistro della navata centrale si trova un'altra iscrizione rinvenuta nel 1778 (1778, scrive il prevosto G.Pastore; gennaio 1779, il canonico R. D'Urso) quando, per fissare il pulpito sull'ultimo pilastro destro della navata centrale, fu asportato l'intonaco che lo rivestiva.

iscrizione sepolcrale della contessa Emma  la lapide fotografata nel 1971 nella tenuta Spagnoletti di S. Domenico
[la lapide oggi in Cattedrale e, a destra, nel 1971 nella tenuta S.Domenico di Onofrio Spagnoletti, resa dallo stesso a mons. Lanave;
foto Dino Di Leo, dalla sua tesi di laurea sulle origini di Andria]

Narra il Pastore nel foglio 7 recto del suo manoscritto " Origine, erezione e stato della colleggiata parocchial Chiesa di San Nicola":

Non è da riferirsi abbastanza l'allegrezza, e giubilo de' cittadini di Andria, e sopr'ogn'altro del conte Riccardo, e della Contessa sua Consorte, chiamata Emma, sorella di Gottofredo conte di Conversano, in ascoltar la canonica determinazione di doversi restutuire a questo luogo l'onor del vescovado, che la costituiva nel grado, e lustro di vera e real città. Allora si posero nella maggior premura di dar l'ultima mano al suo compimento, a quel Tempio, che si ergeva in essa sotto il titolo di S. Andrea sembrandoli non proprio per una chiesa Cattedrale, lo ampliò ne' lati, congiungendolo colla Torre, che lì stava a destra, l'ornò di Pilastri, e lo ridusse a tre navi, dedicandolo alla Vergine Maria Assunta in cielo, abolendone il titolo di S.Andrea.
Tutto ciò apparisce da una lapide di marmo, ritrovata affissa nel po Pilastro di essa chiesa, in occasione d'essersi ristaurata nell'anno 1778, ma coverta di stucco, ed ascosa a veduta di tutti. In quattro versi esamitri di ritmo leonino si esprimono le laudi di essi conti Riccardo, e Emma, e li voti de' medesimi in dedicarlo alla Regina de' cieli.

Ecco come ci racconta l'avvenimento il D'Urso (che tuttavia scrive quanto gli è stato raccontato da altri perché all'epoca del fatto non era ancora nato, a differenza del Pastore che visse personalmente la scoperta):

La seconda mermoria [di Riccardo, Conte di Andria] ci viene da una colonna di marmo, avanzo del tumulo della di lui moglie la Contessa Emma, figlia di Gottifredo Conte di Conversano. Questa colonna fu scoperta nella Chiesa Cattedrale nel Gennaio del 1779. in occasione del toglimento dell'intonico da quel pilastrone, in faccia al quale fu appoggiata la bigoncia. In essa sulle prime si osserva una croce, e poi vi si leggono, come su una Pergamena, questi quattro versi esametri: ... ...  .
Venne la suddetta colonna strappata da quell'antico sito, e si lasciò, com'è nostro costume, negletta in Chiesa; e propriamente su pavimento al di sotto della Cantoria. Dopo un anno essendo venuto in Andria nel 1780. a visitare il Duca Riccardo l'Arcivescovo di Nazaret Monsignor Mastrilli, uomo versatissimo in ogni genere di erudizione, e principalmente sulle antiche memorie, e nella numismatica, incominciò costui ad interloquire sulle antichità di Andria.
Il Duca volendo accarezzare il suo genio, gli disse essersi di fresco scoperta una colonna marmorea con alcuni versi, e con l'indicazione del 1069. E per maggiormante compiacerlo, mandò persona a rilevarla dalla Cattedrale, ed a condurla nel suo Palazzo Ducale, dove trovasi al presente. Questo eruditissimo Arcivescovo, dopo di averla di molto considerata, convenne con altri non meno eruditi Andriesi essere questa Emma la moglie di Riccardo Normanno Conte di Andria, e secondogenito del Conte Pietro I. di Trani, come del pari la Contessa Emma esser figlia del Conte di Conversano.

[tratto da "Storia della città di Andria", di Riccardo D'Urso, tip. Varana, Napoli, 1842, libro III, Cap.II, pagg. 49-50].

La data "1069" indicata dal D'Urso non è però incisa su questa lapide, né la vide il su citato Giovanni Pastore nel 1778, ma è inserita arbitrariamente dallo storico.
Scrive infatti Dino Di Leo nella sua tesi di laurea "Ricerca sulle origini di Andria" del 1971:

Gli storici locali, sulla scorta del Bernich, sono concordi nell’affermare che la Chiesa dovrebbe essere ufficiata prima del 1069 perché in quell’anno essa era già interrata e sostituita dalla Chiesa soprastante. Questo, in sostanza, è il ragionamento del Bernich: “Sappiamo che l’odierna Cattedrale di Andria dovè essere terminata prima del 1069. Infatti, in quell’anno, vi fu sepolta la principessa Emma, figlia di Gottifredo, Conte di Conversano, il tumulo della quale fu scoperto nel gennaio 1799, nel togliere lo stucco da un piastrone, a cui era addossato il Pulpito. Poiché la Cattedrale fu costruita appunto sulla nostra Cripta, è indubitabile che questa non possa essere posteriore al X secolo. Così hanno ragionato anche Cafaro e Mucci.
Tutto ciò è però fondato a mio avviso su un equivoco causato in buona o mala fede dal D’Urso, la cui testimonianza è stata pienamente accolta senza ulteriori verifiche. Infatti il Bernich ha ripreso quasi integralmente il relativo brano del D’Urso che nel testo dell’iscrizione inserisce arbitrariamente la data del 1069, e, per di più, in cifre arabe. L’inserimento della data non è casualmente sfuggita al D’Urso perché poco appresso ripete: “essersi di fresco scoperta una colonna marmorea con alcuni versi e con l’indicazione del 1069.”.
L’epigrafe invece, che per gentile consenso del Conte Spagnoletti, mi è stato possibile fotografare, non porta alcuna indicazione di data e piuttosto che l’avanzo di un tumulo sembra essere stata incisa con intenti commemorativi all’epoca della prima costruzione delle navate della Cattedrale.

È ancora lo studioso Vincenzo Schiavone, nel testo sottocitato su "Alle origini della Cattedrale di Andria, 4)", ad aiutarci a comprendere la bellezza dei versi e la probabile epoca in cui furono scolpiti. Egli scrive:
… Si dà qui di seguito il testo epigrafico con la sua trascrizione.

+ NON TIMET ERUMPNAM • TALEM TIBI VIRGO COLUMNAM
FABRICAT IN CELIS • GAUDE COMITISSA FIDELIS •
VIR TIBI RICCHARDUS • TU CONIUX NOBILIS EMMA -
ILLE VELUT NARDUS TU SICUT SPLENDIDA GEMMA •

(Non timet (a)érumpnàm. Talém tibi, vírgo, colúmnam
fàbricat: in c(a)elís gaudé Comítissa fidélis.
Vir Tibi Rícchardús, tu cóniux nóbilis Emma:
ílle velút nardús, tu sícut spléndida Gémma).

È difficile rendere con una traduzione la nobiltà austera della forma latina:

Forte nella sventura
questa colonna innalza,
o giovane donna per te:
in cielo t'allegra, Contessa fedele.
Riccardo tuo sposo
o mia sposa nobile Emma.
Egli come profumo di nardo
per te, quasi splendore di Gemma.

… La colonna, a cui la stessa iscrizione fa preciso riferimento … , non ha certamente l'aspetto di una colonna. Chi legge infatti vede solo un piccolo blocco marmoreo a superficie piana, delimitata da una lieve cornice scolpita. Lo spessore del blocco, però, è costituito da altre piccole facce quadrate, scolpite con due sobri motivi ornamentali che le impreziosiscono. …
… Questa iscrizione, se esaminata attentamente può suggerire diversi elementi di indagine, e preziosi per noi per poter risalire all'ambiente di cultura di Andria nel periodo storico in cui nasceva la sua cattedrale. Va subito detto, che sarebbe difficile attribuire a un normanno il livello di cultura che emerge dai quattro esametri latini. Il mestiere dei Normanni, lanciati in una vita spregiudicata di guerra e di avventura, era quello di capi, più che di uomini di cultura: Goffredo di Conversano, splendido munifico signore di quella città, padrone di mezza Italia meridionale, era un illetterato analfabeta e non sapeva scrivere il proprio nome. Il vedovo Riccardo [ucciso nel 1155] è qui certamente il Normanno committente dell'iscrizione; l'autore, sconosciuto per noi, sarà stato l'interprete del pensiero che il suo signore non era capace di formulare così. L'esame più approfondito del testo poi … ci suggerirà anche l'ipotesi che esso sia stato dettato da un chierico colto e di raffinata cultura. …
… questo documento sepolcrale andriese … come vedremo … deve porsi tra il 1133 e il 1155 … .

[da "Alla scoperta del volto di S. Riccardo", AA.VV., Supplemento al Bollettino diocesano, Tip. Guglielmi, Andria, Dicembre 1985, stralci da pag.44-92]

La tecnica costruttiva dei pilastri quadrangolari e le finestre a tutto sesto della navata confermano l'epoca normanna di dette opere.
L’arco visibile sulla controfacciata a destra della porta centrale a lato e dietro il monumento di mons. Regano (foto riprodotta qui sopra a destra) potrebbe essere un residuo dell’antica porta laterale del prospetto, forse prima che ai tempi del conte Riccardo II normanno (~ 1133–1154) la Cattedrale fosse ristrutturata nelle più spaziose e attuali tre navate. Inoltre la sua altezza dal piano, 1,74 m, evidenzierebbe che il precedente pavimento era ad un livello notevolmente inferiore, le sue dimensioni e il suo decentramento rispetto alla navata laterale indicherebbero che l’antica Chiesa era di proporzioni più ridotte.

Le finestre romaniche della navata e la volta           porzione di arco dell'antico portale laterale sinistro
[Le finestre romaniche (murate) della navata - la porzione di arco dell'antico portale laterale sinistro dietro il cenotafio a mons. Felice Regano;
foto Michele Monterisi, 2009/2010]

Su tali primordiali strutture Filomena Lorizzo nello studio sotto citato scrive:

Sulla base di attendibili testimonianze orali, sappiamo che l'interno dei pilastri era composto da pietrisco e terra, eliminati e sostituiti da cemento, quando negli anni sessanta i restauratori li hanno voluti consolidare.
Riempire i pilastri e le pareti di pietrisco è una tecnica poco dispendiosa che permette di svincolarsi dalla necessità di tagliare perfettamente i conci; questa tecnica muraria, detta "ragionata" era diffusa in età normanna.
A questo periodo appartengono le finestre a tutto sesto della navata centrale, …
In controfacciata, al termine della navata di sinistra, è rimasto l'arco del portale laterale occluso da una muratura quattrocentesca, fatta di pietre di piccolo taglio, sbozzate, unite con 2 - 3 cm di malta e disposte in corsi orizzontali; il punto più alto dell'arco è a 1,74 m dal pavimento attuale e per essere funzionale doveva appartenere alla fase costruttiva normanna.
Nel deposito della cripta si conserva parte dell'architrave marmoreo di una porta, verosimilmente della principale, su cui si legge: … PORTA CELI
[in nota aggiunge:] Misure della lastra: lunghezza - 1 m, altezza - 0,31 m, spessore - 0,65 m.

Parte di architrave di una porta

Ritroviamo questa formula nell'iscrizione inserita nel quarto pilastro di sinistra e nell'iscrizione posta sopra il portale laterale sinistro della Cattedrale di Barletta, dove compare il nome di Riccardo, forse il conte di Andria o forse Riccardo Cuor di Leone, che partiva per la Crociata imbarcandosi da Barletta.
I due fori praticati sotto la lastra, che sicuramente dovevano essere anche sotto la parte mancanmte di sinistra, permettevano l'ancoraggio dell'architrave per mezzo di due mensole, una per ogni lato, come vediamo dall'interno del portale della Cattedrale di Barletta.

[tratto da “La Cattedrale di Andria”, Filomena Lorizzo, tip. S.Paolo, Andria, 2000, pp. 55-56]


Tra i reperti archeologici conservati nei depositi esistono diversi capitelli e colonne che, a detta di alcuni studiosi (come l'arch. Arthur Haseloff che li esaminò nel 1904, per il suo studio su "Le tombe delle Imperatrici sveve ad Andria"), si ipotizzano essere stati parte di un tabernacolo a baldacchino d'altare o di altra struttura importante; il 1° nella sequenza in basso è ancora inserito nel 6° pilastro di destra della navata, il 2° vi è stato fino agli ultimi restauri (la foto a destra  mostra il 6° pilastro con le due colonne).

      
[1° capitello ancora in Cattedrale: foto Sabino Di Tommaso; 2°: foto Confalone dal libro della Lorizzo; 3°: foto Alinari; 4°: foto Bambocci, dal libro dell'Haseloff]

Capitelli con colonne nel 6° pilastro destro
[Colonne nel 6° pilastro dx - foto Sabino Di Tommaso]

I primi tre capitelli in foto sono raffigurati e descritti dalla Lorizzo nelle pp. 82-84 del testo sopra citato.

L'Haseloff, nelle pagine 30-32 dello studio suddetto, afferma che alcuni capitelli tra quelli illustrati dovevano appartenere a qualche tabernacolo d'altare della Cattedrale e non della Chiesa inferiore (detta cripta); scrive (in tedesco, qui tradotto):

Da questo punto di vista i due grandi capitelli della chiesa superiore, già associati alle tombe al tempo di d’Urso e ancora recentemente, vanno esclusi dai frammenti scultorei delle tombe [delle Imperatrici sveve]. Né il loro stile né le loro dimensioni potevano appartenere al baldacchino che abbiamo sopra descritto. Numerose osservazioni e somiglianze nelle dimensioni e nel carattere stilistico rendono probabile la loro appartenenza ad un tabernacolo d’altare. …
Sebbene non si possano sollevare obiezioni stilistiche, ci sembra più probabile vedere nei capitelli di Andria i resti di un tabernacolo che di una tomba, perché le dimensioni del primo sono ideali, mentre è meno convincente l’uso di capitelli così possenti per una tomba. Naturalmente non si può andare oltre le congetture finché non si trova alcun frammento corrispondente.


Nel XIII secolo e fino al XVI circa non si rinvengono documenti specifici sull'evoluzione di questo edificio sacro, ma di massima si hanno solo narrazioni storiche rilevanti, che fanno supporre modifiche più o meno importanti nell'aula della Cattedrale, nonché altri relativi reperti archeologici in frammenti.

Secolo XIII.
Diversi documenti e cronache riportano che nel 1228 muore in Andria l'imperatrice Jolanda di Brienne, moglie di Federico II; viene sepolta in Andria e probabilmente, come si usava a quel tempo per i personaggi regali, in Cattedrale, certamente non nel presbiterio, riservato ai presbiteri, né (penso) nella chiesa inferiore, perché strutturalmente essa appare inadeguata per tombe così importanti.
Nel dicembre del 1241 l’imperatrice Isabella d’Inghilterra, nonostante fosse deceduta a Foggia (il 1° dicembre), venne comunque seppellita in Andria, certamente, come per l'altra moglie di Federico II, in Cattedrale, forse presso o con la precedente.
Un elemento non trascurabile da considerare in merito a tali sepolture illustri è l’esistenza verso la metà dell’Ottocento presso la porta principale della Cattedrale di due sculture di figure femminili, ipotizzate come effigi delle due imperatrici sveve, osservate dal Canonico della medesima Riccardo D’Urso, che scrive nel 1841, e soprattutto viste dall’architetto Carlo Bonucci (a quel tempo direttore funzionante del Real Museo Borbonico degli scavi archeologici nella necropoli della vicina Canosa e di Gnatia) durante la sua visita alla Cattedrale nell’autunno del 1853.
I reperti architettonici trovati nel 1904 nella chiesa inferiore, assimilabili a parti di un tabernacolo sepolcrale o d'altare, hanno fatto ipotizzare che le due imperatrici siano state ivi sepolte. Tuttavia, anche per i motivi su accennati, è più probabile che il loro primo arcosolio fosse ubicato nella navata della Cattedrale e, come suggerisce anche a fine Settecento Giuseppe Alfano su indicazioni del vescovo di Andria del tempo (mons. Salvatore Lombardi) "Si crede che l’Imperatrice Jola Madre del Re Corrado fusse sepellita nella Chiesa Cattedrale di detta Città … Manca però il di lei Avello, perché rifabbricatosi di nuovo quel Tempio non si badò a serbar viva la memoria di sì nobile Principessa" [2]; le tombe, cioè, furono smobilitate dalla navata (forse anche per l'astio degli Angioini), quando la Cattedrale successivamente per vari eventi fu ricostruita.

frammenti di decorazione architettonica conservati nella cripta. Fot.: Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, n. 5369. frammenti di decorazione architettonica conservati nella cripta. Fot.: Istituto Italiano d'Arti Grafiche, Bergamo, n. 5370.
[frammenti di decorazione architettonica rinvenuti nella chiesa inferiore - foto Ist. It. Arti Grafiche BG n.5369, Fondo Ricci inv.18580 e n.5370 F. Ricci inv.18581

Secolo XIV.
A metà di questo secolo, nel marzo del 1350, gli Ungheri devastarono la Città di Andria, saccheggiarono quanto di più prezioso trovarono, distrussero e incendiarono ciò che facilmente era deperibile.
Per la Cattedrale depredarono gli oggetti di valore abbattendo le opere marmoree che potevano contenerle per cupidigia o pura violenza. Fu allora, racconta l'anziano cittadino Tasso a Francesco II del Balzo (che a sua volta lo narra nella sua Historia inventionis), che "il prudente sacrista, temendo che in quel saccheggio della città si impadronissero del sarcofago, lo trasferì di nascosto e da sotto l’altare che era nella chiesa [cattedrale] lo scese nel vestibolo, quasi una spelonca, della chiesa inferiore, dove precedentemente era stato collocato."
Non sappiamo quali strutture della Cattedrale furono distrutte in quel marzo del 1350; è comunque una data sicura dopo la quale dovettero essere attuate alcune indispensabili ricostruzioni per i danni subiti.


NOTE

(1)

Anno ab Incarnatione Xristi Ihesu Domini nostri millesimo centesimo quadragesimo secundo [1142] undecimo anno regni domini nostri Rogerii magnifici Regis semper augusti Sicilie atque Italie mense Marcio quinta Indicione.

Ego Mandus presbiter et abbas ecclesie Sancti Petri apostoli filius Mandonis civitatis Trane presente Ameruazzo iudice aliisque subscriptis testibus consensu ac voluntate Mangerii et Paschalis sacerdotum aliorumque confratrum nostrorum astante mecum Stefano per fustis tradicionem venundo tibi Iohannaccaro [Iohannoccaro] magistro filio Luperisii unam sepolturam que est in curte predicte ecclesie ab oriente iuxta sepolturam Ursonis filii Iohannis et a meridie iuxta sepolturam Leguri filii Falconis militis et iuxta sepolturam Melis filii Petri Protonotarii.

Ex qua videlicet mea venundacione [venditione] fateor me accepisse a te qui supra Iohannaccaro unum solidum regale bonum finitumque apud me dico esse precium [pretium]. ab hodierno itaque die affatam vendicionem tu et tui heredes omnino habeatis dominemini faciatisque inde quicquid volueritis cum introitu et exitu suo ut vobis necesse fuerint.

Conveniencia [Convenientie] quoque pacto astante mecum eodem Stefano guadiam et me ipsum mediatorem tibi predicto Iohannaccaro dedi hanc racionem [hac ratione] ut omni tempore ego et mei heredes defendamus tibi tuisque heredibus iamdictam meam vendicionem [venditionem] ab omnibus hominibus. quod si ita ut prelegitur vobis non adimpleverimus penaliter demus vobis medium solidum regalem bonum prelecta observaturi.

Et ego me [mediator] tribui vobis licenciam sine compellere me meosque heredes pignorare per omnia nostra legitima et illegitima donec adimpleamus predicta.

Hoc denique scriptum scripsi ego Disigius notarius qui interfui. (vi è il segno del notaro)
… … … … … … … … … … …

Dall’archiv. dell’Arciv. chiesa di Trani.

[tratto da “Dissertazione sulla seconda moglie del Re Manfredi e su’ loro figliuoli”, di Domenico Forges Davanzati, Napoli, 1791, stamp. di Filippo Raimondi, pag. II dei Documenti.]

Nel documento le parole poste tra parentesi quadre sono un’altra interpretazione del manoscritto.

[2] G. M. Alfano, Istorica descrizione del Regno di Napoli diviso in dodici provincie, Napoli, presso V. Manfredi, 1795, p.135.


[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]