La foto panoramica illustra l'interno del bastione (nel 2009 quando era utilizzato come bar) presso la Porta del Castello, in particolare mostra l'ambiente immediatamente dietro il portale del 1827 che dà nella strada Chiavara (Via A. De Gasperi). Si noti nel lato sinistro della foto sia la scala che conduce nel superiore vicolo dei Mulini, presso la chiesetta di San Vito, sia nell'interrato, forse a un precedente accesso al fossato antistante le mura.
Nell'antico pomerio (o spazio libero presso le mura), esattamente nella zona immediatamente a sud di Porta Castello e retrostante il bastione, ai primi del Seicento Antonio Carafa (nato intorno al 1583), Conte di Ruvo, e Duca di Andria (dal 17/10/1590 al 27/11/1621), destinò gli ambienti a mulini baronali e unici della Città sopprimendo gli altri stabilimenti privati, onde poter esigere con certezza la gabella sulla farina, ivi insediando l'esattore della medesima.
La zona Mulini nel 1690, dalla pianta di proprietà della fam. Morgigni.
Le denominazioni in blu sono di una pianta simile attribuita al Murena del 1758 circa.
Di tale destinazione,oltre ad esserne memoria nel dialetto locale che chiama l'adiacente piazzetta “ǝmmèzzǝ a u mǝlòinǝ grannǝ”, vi accenna il D'Urso nella sua “Storia della Città di Andria”:
“Quel Castello qui fabbricato da Pietro Normanno (ora di proprietà de' Signori Canonici Porro, vicino alla porta del Castello), venne da lui maggiormente munito, e fortificato; ed al fianco che guarda il mezzogiorno vi aggiunse i quartieri, dove i suoi soldati erano alloggiati (Di questi Quartieri ora rimane intatto il solo Portone, che sporge nel piccolo parco del Signor Canonico D. Michele Marchio. Tutto il rimanente delle fabbriche venne dalla casa Carafa ridotto ad uso di Mulini, oggi di nostra pertinenza.). ...”
Non ho trovato documenti che ci accertino la trasformazione dei fabbricati che attorniavano la Chiesetta di San Vito a ridosso delle mura a sud del bastione presso Porta del Castello in complesso dei Mulini da parte di Antonio Carafa (duca dal 17/10/1590 al 27/11/1621), tuttavia fu questo duca che a Ruvo, ove'era conte, nel 1615 con atto notarile sancì tale erezione in quella città. Lo scrive e documenta Giovanni Jatta nel testo sotto citato.
“Capo XII. Degli abusi e gravezze che la città di Ruvo ha sofferte dalla prepotenza Baronale.
… … …
Venne escogitato il pretesto che la gabella della farina, per la quale si pagavano allora quattro carlini e mezzo a tomolo, e si esigeva ne’ forni, veniva fraudata. Che per impedire le fraudi era indispensabile esigerla ne’ molini, e questi riunirli in un solo luogo, ove si sarebbe situato l’esattore della gabella suddetta. Con questo specioso pretesto quindi ne fu stipulato pubblico strumento tra il Duca d’Andria D. Antonio Carafa da una parte, il Sindaco e gli Eletti della città di Ruvo dall’altra nel dì 15 Settembre 1615 dal Notajo Andrea Berarducci di Bisceglia.
Fu con esso costituito il dritto proibitivo de’ molini a favore del Duca suddetto, ed ei si obbligò di stabilire come stabilì li nuovi molini in un luogo designato adiacente alla pubblica muraglia della città che servì di principale appoggio alla costruzione di essi. …
I mezzi con i quali furono tante gravezze introdotte e sostenute meritano anche di essere commemorati. Il primo di essi fu quello di aversi messa la Casa d’Andria in mano la nomina degli Amministratori Comunali. Si vide quindi introdotto l’abuso che la Università faceva la nomina del Sindaco e degli Eletti in doppia lista, ed il Barone sceglieva quelli che più gli piacevano. Valeva però ciò lo stesso che aversi sempre Amministratori ligi al Barone, sommessi alla di lui volontà e pronti a sacrificargli i dritti della città e della popolazione che avevano il sacro dovere di difendere e sostenere.
Non ignoro che lo stesso abuso fu dalla prepotenza Baronale introdotto anche in altri luoghi. … ”
[tratto da “Cenno storico sull’antichissima città di Ruvo nella Peucezia”, del giureconsulto napolitano Giovanni Jatta, Napoli, 1844, tip. Porcelli, pp. 227-229]
In Andria era a quei tempi vescovo (dal 1604 al 1625) Antonio Franco, il quale nel 1608, nella relazione inviata a Roma sullo Stato della Chiesa di Andria, concretamente conferma per la nostra Città quanto Giovanni Jatta racconta per Ruvo. Scrive (in latino e qui anche tradotto):
[trascrizione dell’originale latino] | [traduzione] |
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Inest tamen p.[rædic]tæ Civitatis continua perturbatio ob superior[um] laicor[um] prætensiones, quas habent contra iurisditionem, libertatem, immunitatem, et ministros eccl.[esiasti]cos; contra quos cum huiusmodi occasione multa, magna, et gravissima committi delicta permissum fuit, et quod peius, delinquētes nomine et sumptibus Un.[iversita]te prædictæ defensi fuerunt; Quod quidem cum sit notoriu’ Sac.[ræ] Ep.[iscopa]li Cong.[gregatio]ni, Vobis Ill.mis Superioribus, ac etiam D.[omi]ni Xri[sti]’ Sanctitati, non replicatur, eo maximè, quia nè iurisditio, libertas, immunitas, et Ministri ecc.[esiasti]ci prædicti remaneant oppressi, et indefensi, conveniens, et opportunum exspectat[ur] remedium. Ant.[oniu]s Francus Epus Andr.[iensi]s |
Esiste purtroppo nella predetta Città un continuo sconvolgimento per le prevaricazioni degli amministratori laici contro il diritto, la libertà, l’immunità e i ministri ecclesiastici; contro di essi infatti con ogni pretesto fu permesso commettere grandi e gravissimi delitti e, ciò che è peggio, i delinquenti furono appoggiati e difesi a spese della predetta Università (Amministrazione). Pertanto, poiché ciò è risaputo dalla Sacra Congregazione dei Vescovi, da voi Ill.me Eccellenze, ed anche dal Santo Padre, fate che non si ripeta, e soprattutto, affinché il diritto, la libertà, l’immunità e gli stessi ministri ecclesiastici non continuino ad essere attaccati e restino indifesi e si attende una giusta e favorevole soluzione d’aiuto. Antonio Franco Vescovo di Andria |
Da quanto fin qui argomentato si può quindi affermare, con un minimo scarto di errore temporale, che in Andria il mulino baronale a ridosso delle mura presso la chiesetta di San Vito sia stato realizzato intono al 1615 dal Duca Antonio Carafa e si estendeva sino all'incrocio con la strada del Gelso.
L'arch. Vincenzo Zito individua nei corpi di fabbrica di questi ambienti nonché di quelli confinanti l'antico fortilizio presso la Porta del Castello, fortilizio che comprendeva un "dongione normanno" (o alta torre di osservazione, rifugio e difesa), e una torre quadrata di epoca sveva, attorniata sui due lati esterni dal baluardo tardo aragonese, in parte ancora esternamente ben visibile.
serraglia sul portale del bastione con inciso «Custos domus 1827»
[testo e disegno tratti da "IL CASTELLO NORMANNO-SVEVO DI ANDRIA, una questione controversa" di V. Zito, ed. dell'Autore, 2012, pag.39-42, 56-58]