altare maggiore in S.Nicola, di A. Corradini

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altare maggiore
[altare maggiore della Chiesa di S. Nicola ad Andria, di A. Corradini - elab. elettr. su foto di "Michele Monterisi" - 2010]

Altare maggiore della Chiesa di S. Nicola ad Andria
del marmoraro Antonio Di Lucca e dello scultore Antonio Corradini

Percorso museale virtuale

Qui di seguito si enucleano descrizione e storia dell'altare, poi, cenni sulla figura dello scultore Antonio Corradini.
In un'altra pagina è possibile leggere documenti su come venivano realizzati nel Settecento i commessi di pietre policrome a Firenze e Napoli.

Il meraviglioso altare

Al centro del presbiterio della Chiesa di San Nicola ad Andria troneggia, bellissimo, l'altare maggiore, opera in commesso di marmi policromi del marmoraro napoletano Antonio Di Lucca, con numerose stupende sculture in marmo di Carrara del rinomato artista estense Antonio Corradini, realizzato nel 1750 su legato testamentario del canonico Ponzio di Bari.
I documenti sull'attribuzione alle due maestranze, nonché una approfondita analisi artistica, è possibile leggerli nel sotto citato testo dell'Arch. Gabriella Di Gennaro. Qui si riporta brevemente stralcio della nota di n.12 di p.90, evidenziando in grassetto gli scultori e loro attinenze:

[Con] “ ... (atto dell'Archivio Notarile di Napoli, notaio Raffaele Petrone, Napoli, 15 giugno 1749, ff.70v-77v) nel luglio 1749 Antonio Di Lucca assunse l'impegno di realizzare il magnifico altare maggiore della chiesa di S. Nicola ad Andria. L'altare fu posto in opera nel marzo 1750 per la somma di 816 ducati. All'ingegnere Gaetano Fumo spettarono il disegno e la direzione dei lavori (Cfr. C. De Letteriis, Aggiunte ad Antonio di Lucca, ..., Claudio Grenzi Editore, Foggia 2013 ... ).
Noto che in questa convenzione non è presente il nome dello scultore cui affidare il ricco corredo figurativo ma è data l'incombenza nell'atto notarile della decisione della scelta del futuro scultore al marmoraro Antonio Di Lucca, secondo quanto è scritto: «Tutte le figure, o siano Geroglifici saran fatti da mano di ottimo Scultore, [...] quattro statue de' quattro Evangelisti figurati ne' quattro animali, e le cinque teste de' cherubini da uno scultore, che qual esser che venga da Roma». Il pagamento rinvenuto nel 1983 da Eduardo Nappi il Arte Napoletana in Puglia dal XVI al XVIII secolo, 1983, ha già svelato che la scelta ricadrà su Antonio Corradini che realizzerà i simboli degli Evangelisti nel paliotto e gli angeli del tabernacolo. E. Nappi, Documento del Banco dei Poveri n.89, in M. Pasculli Ferrara, 1983, p. 307.”

[tratto da Gabriella Di Gennaro, “Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri”, Schena Editore, 2020, p. 90]

Quando l'altare fu commissionato e poi eretto in chiesa ce lo riferisce il Prevosto Pastore:

In quest'anno 1748 trovandosi presso il Deposito di questo Collegg.o congregata, e custodita una somma di più migliaia di ducati, ritratto del Territorio della Taverna legata al pred.o Colleggio dal fu Canonico della Real Chiesa di S. Nicola di Bari D. Nicolo Francesco Ponzi, come sopra si riferì, sin dall'anno 1731, e volendosi applicare ad una nuova fabrica della chiesa, ed un nuovo altare di marmo, si stabilì per conclusione capitolare, di costruirsi un nuovo coro, con demolirsi il vecchio non capace a contenere il numero de' Colleggiali, cresciuto vantaggiosamēte sopra il numero sin allora aggregato. Se ne formò il disegno, e nel dì 21 7brē si pose mano alla demolizione, ed al nuovo lavoro, si che per tutto l'anno 1749 si diè termine alla fabrica: e mentre a tall'opra si attendeva, si commise in Napoli il travaglio dell'altare maggiore, regolato dall'assistenza d'un Deputato, ivi spedito.
... ... ...
Nel mezzo di questo tempo
[a metà del 1751], trasportati li materiali dell'altare maggiore di marmo, travagliato in Napoli, si stiè badato alla costruz.e del medesimo, situandolo nel luogo, ove gia si vede eretto, essendosi prima trasportata quella macchina di legno indorato, ch'ivi era piantata per altar maggiore nell'alto del fondo del nuovo costruito coro, come si osserva, col permesso dell'Eccellentiss.o Sig.r Duca, cui d.a macchina apparteneva, fabricata da' suoi antenati.

[dal manoscritto  “ Origine, erezione e stato della Colleggiata Parrocchial Chiesa di S. Nicola … .” del Prevosto Pastore, fogli 59r e 59v.]

altare maggiore: sculture del paliotto
[particolari del paliotto: il tetramorfo raffigurante gli Evangelisti - elab. elettr. su foto "Sabino Di Tommaso" - 11/2017]

Si trascrive l'ampia spiegazione data a queste sculture del paliotto da Michele Monterisi (autore di molte foto qui riprodotte nonché di un approfondito studio sulle chiese di Andria); essa riassume l'interpretazione dei versicoli 6-8  del capitolo 4° dell'Apocalisse (1), data in "Adversus Haereses" nel 2° secolo da Ireneo, vescovo di Lione, prendendo come riferimento il prologo di ogni Vangelo.

Matteo è rappresentato da un angelo perché il suo Vangelo inizia con l'Incarnazione; Marco è un leone perché esordisce con la figura del Battista che "grida nel deserto" con voce potente e solitaria come quella del leone; il simbolo di Giovanni è l'aquila, l'uccello che vola più in alto nel cielo, perché la sua visione di Dio è la più diretta; infine a Luca è riservato il toro, animale sacrificale, perché il suo Vangelo inizia con il sacrificio del sacerdote Zaccaria

È piacevole leggere anche la frase del Borsella:

... s’erge, ... stupendo altare maggiore nel cui frontone di Patrio marmo rilevansi i simboli degli evangelisti; l’Aquila, l’Angelo, il Leone il Torello, che eccitano tutta la meraviglia, non solo per le posture, vivacità, finezza di membri e regolari muscolature, che per lo insieme assai proprio e naturale. Tanto il Leone, che il Torello coll’Angelo sono forniti di ali, e di codici, avendo questo nella destra il calamaio.

altare maggiore: sculture laterali al paliotto
[particolari del paliotto - elaborazione elettronica su foto di "Michele Monterisi" - 2010]

Ecco i due cherubini, che terminano la fascia inferiore dell'altare, qual punti decorativi di chiusura del messaggio riccamente inviato dagli elementi scultorei dell'insieme.
Invitano con lo sguardo e la piccola bocca dischiusa a tornare coi propri pensieri al fulcro dell'altare, il ciborio, al mistero eucaristico, al sacrificio perenne del Cristo dall'ultima cena al Calvario, alla fine del mondo terreno e del tempo.

I cherubini sono preceduti dalla superba scultura dello scudo, emblema del Canonico Ponzio, munifico finanziatore dell'opera.

altare maggiore - ciborio e reggimensole laterali del postergale
[particolari del postergale - elaborazione elettronica su foto di "M. Monterisi - Sabino Di Tommaso" - 2010]

Originalissimo appare il ciborio di questo altare.
Tra una aureola di cinque angioli in bianchissimo marmo di Carrara la significativa scultura, su fondo scuro, dei sei pani e una ampolla di vino, di chiara simbologia eucaristica..
Ai lati (fuori dal campo di questa fotografia), grappoli d'uva e spighe di grano.
Si noti inoltre intorno alla mensola superiore gli eleganti intarsi fogliari, che corrono anche lungo tutta la mensola porta candelieri sino ai capialtare, aggiungendo pregio a pregi.

"Nei corni dell’altare due scudi contengono ingegnosi scorci secondo i riti dell’antico patto, gli olocausti di un Ariete; di un bue giacenti sull’altare." dice il Borsella nell'opera citata.
Nei due scudi (medaglione a rocaille) sono infatti visibili, centrali, a sinistra un ariete pronto al sacrificio su una antica ara in pietra, a destra il sacrificio di un toro.
Si consideri che il sacrificio di un ariete, anticamente associato alla lussuria e al peccato, simboleggia il ravvedimento e la rinuncia al peccato; si immolava inoltre un toro in un giorno di espiazione, di consacrazione o di ringraziamento.

Per un approfondimento sia sotto l'aspetto storico che su quello artistico si consiglia la consultazione dell'ottimo studio dell'arch. Gabriella Di Gennaro, pubblicato in "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, pp. 88-93.


Antonio Corradini
originalissimo artista del periodo barocco

Antonio Corradini nacque ad Este da Bernardo e Giulia il 6 settembre 1688 (per altri nacque a Venezia il 19 ottobre da Gerolamo Corradini fu Gio Batta di professione veler).
Dopo qualche anno di garzonato presso i tagliapietra, fu a Venezia come apprendista scultore nella bottega di Antonio Tarsia, dove si innamorò della figlia Maria che poco dopo impalmò (successivamente il 22 dicembre 1746 sposerà in seconde nozze Anna Maria Pinelli, figlia di uno speziale alla dogana di terra, di trent'anni più giovane di lui).
Operò in varie città d'Italia e d'Europa circondato da meritata fama e producendo numerosi capolavori scultorei.
Morì e fu sepolto a Napoli il 12 agosto 1752, nella chiesa parrocchiale di santa Maria della Rotonda.

Gli approfondimenti sono qui attinti da diversi studiosi. Di seguito si riporta uno stralcio dal sotto citato testo di Vittorio Sgarbi:

Nessun dubbio che egli sia stato uno dei più originali scultori italiani dell'età barocca, con un'originalità d'invenzioni senza precedenti. Si era formato a Venezia nella bottega di Antonio Tarsia, sugli esempi di Pietro Baratta e Giuseppe Torretti, e con i precedenti moderni di Giusto Le Court e Filippo Parodi.
Iscritto all'arte dei tagliapietra nel 1711, nel 1713 aveva già bottega propria. ... ... ... [Realizza opere scultoree, molte "velate" in giro per l'Europa (Zara, San Pietroburgo, Rovigo, Gurk, Dresda.)]
A Venezia nel 1723 la sua esperienza e la sua autorevolezza erano tali da fargli ottenere, a tutela della creatività dell'artista, la separazione tra l'arte dei tagliapietra e quella degli scultori, con un collegio a parte istituito nel 1724. Sono gli anni in cui, oltre al monumento Manin nel Duomo di Udine e all'altare del Sacramento nel Duomo di Este, Corradini si occupa del restauro della Scala dei Giganti e delle sculture di Palazzo Ducale a Venezia.

La sua fama e il suo merito sono testimoniati dal Barone di Montesquieu che, nel suo Viaggio in Italia, nel 1728, scrive: «Attualmente c'è uno scultore, a Venezia, chiamato Corradino, Veneziano, che ha fatto un Adone, che appare una delle cose più belle che si possano vedere: direste che il marmo sia carne; una delle sue braccia cade senza cura, come se niente la sostenesse». L' Adone è recentemente riapparso in una grande sede istituzionale, il Metropolitan Museum di New York, in circostanze non ancora ben chiarite.

Adone di A. Corradini, al MET di New York
[ "Adone", di Antonio Corradini, esposto nel Metropolitan Museum di New York]

... ... ...

Dopo la grande fortuna veneziana, Corradini si trasferisce in Austria, dove nel 1733 è assunto come scultore di corte. Lavora a Vienna per la decorazione della Josephbrunnen e a Györ, in Ungheria, per la Bundesladendenkmal. A Praga compie il monumento funebre a Giovanni Nepomuceno nel Duomo di San Vito. La sua stagione viennese, con la gestione del teatro insieme a Galli Bibbiena, dura fino al tempo della morte dell'imperatore Carlo VI (1740) e di Fischer von Erlach (1742).
Corradini, in crisi, rientra a Venezia per poi trasferirsi a Roma dove incontra e frequenta Giovanni Battista Piranesi, nonostante i richiami dell'imperatrice Maria Teresa che lo vuole a Vienna e lo riconferma scultore di corte.
A Roma propone 8 modelli di statue colossali per rendere più resistenti i contrafforti del tamburo della cupola di San Pietro, che richiede un restauro. Un'altra testimonianza della considerazione in cui il grande scultore è tenuto.
A partire dal 1749 è a Napoli per la Cappella Sansevero, creazione ammiratissima, e con questa straordinaria esperienza chiude la sua vita.

[pubblicato in “Dall’ombra alla luce – Da Caravaggio a Tiepolo” – il tesoro d’Italia IV, di Vittorio Sgarbi, La Nave di Teseo editore, 2016, pp. 461-467]

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Per avere un'idea di come il Corradini ottenesse l'effetto velato alle sue statue ed anche, probabilmente, per realizzare nelle sue opere particolari scultorei di fine ricamo, si trascrive un testo che la fonte di seguito citata (riprendendolo da un libro di Clara Mancinelli) dichiara estratto da un atto norarile del 1752 dell'Archivio Storico di Napoli (atto però che il Museo della Cappella di Sansevero ritiene non autentico, e, pertanto, non pubblicato da Eduardo Nappi, responsabile di tale Archivio); tale testo e stato pubblicato il 26 luglio 2013, da Francesco Sinacori in "Fermata Spettacolo.it", e in seguito da altri siti.

Calcina viva nuova 10 libbre, acqua barilli 4, carbone di frassino.
Covri la grata della fornace co' carboni accesi a fiamma di brace; con ausilio di mantici a basso vento.
Cala il Modello da covrire in una vasca ammattonata; indi covrilo con velo sottilissimo di spezial tessuto bagnato con acqua e Calcina.
Modella le forme e gitta lentamente l'acqua e la Calcina Misturate.
Per l'esecuzione: soffia leve co' mantici i vapori esalati dalla brace nella vasca sotto il liquido composito.
Per quattro dì ripeti l'Opera rinnovando l'acqua e la Calcina.
Con Macchina preparata alla bisogna Leva il Modello e deponilo sul piano di lavoro, acciocché il rifinitore Lavori d'acconcia Arte.
Sarà il velo come di marmo divenuto al Naturale e il Sembiante del modello Trasparire
”.

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Sintesi delle vicende artistiche del Corradini

Ad integrazione di quanto già sopra accennato da Vittorio Sgarbi, si evidenziano altri importanti particolari sull’attività artistica del Corradini.

Sul frontone della Chiesa di San Stae a Venezia è possibile ammirare la sua (probabile) prima opera scultorea realizzata nel primo decennio del Settecento: il Redentore (centrale e simbolo massimo di Carità) tra le due virtù teologali della Fede e della Speranza.

Qualche anno dopo, nel 1713, esegue la statua di Sant’Anastasia per la Chiesa di San Donato a Zara (Croazia);
Sono del 1716-17 il monumento a Johann Matthias von der Schulenburg, maresciallo dell’esercito veneziano, situato a Corfù e la sua prima donna velata, la Fede, dapprima presente a Venezia nella collezione Manfrin, poi scomparsa e che secondo secondo alcuni autori, come il su citato Vittorio Sgarbi, è «forse da identificare con la Velata ora al Louvre»; su questa pregevole statua il pittore Antonio Balestra nel dicembre del 2017 scrive all’amico Francesco Maria Gaburri: « … ancora qui in Venezia abbiamo di presente un giovane scultore che si chiama Antonio Corradini, che si porta assai bene e ha fatto una statua d’una Fede col capo e faccia velata, che è una cosa che ha fatto stupire tutta la città a riuscire ed uscire con tanta grazia d'un tal impegno, di far con il marmo apparire un velo trasparente, oltre la figura tuttavia graziosa, ben vestita e ben disegnata … » (2).

La Pietà, di A. Corradini nella chiesa di San Moisé a Venezia
[La Pietà, del Corradini in San Moisé a Venezia
part. da foto Didier Descouens 2014]

Nel Settecento molti scultori imitarono il Corradini nella tecnica della “donna velata”, dall’Antonio Gai al Giammaria Morlaiter, fino al Raffaele Monti a metà Ottocento con, ad esempio, “Il sonno del dolore e il sogno della gioia”, opera oggi alle British Galleries di Londra.

Agli inizi del terzo decennio del Settecento divenne praticamente scultore di stato della Repubblica Veneta. Intorno al 1723, scolpì, tra l’altro, il gruppo della PietàSS. Virginis doloribus” per l’altare appunto dell’Addolorata nella Chiesa del Moisè (Venezia) e la Verginità (o La Castità) eretta in Santa Maria dei Carmini (Venezia), sull’Altare dell’omonima scuola.

Negli anni Trenta del Settecento lo si ritrova scultore di corte a Vienna, dove esegue diverse opere, tra esse una Vestale Tuccia con altre per il Grosser Garten di Dresda, le statue allegoriche Ricchezza e Gloria, oggi nel Bode Museum di Berlino.

Almeno dal 1743 lo si ritrova operare a Roma, dove realizza una nuova Vestale Tuccia, (o La Velata) ancora oggi presente nel palazzo Barberini, due Angeli che reggono uno stemma di Giovanni V del Portogallo per la Chiesa di San Rocco a Lisbona e un busto del papa Benedetto XIV, nella sala Alessandrina del palazzo della Sapienza.

Sua ultima dimora è infine Napoli, probabilmente dal 1748 al servizio di Raimondo di Sangro, principe di Sansevero, dove realizza alcune statue per la sua cappella; tra le più belle si rinviene quella della Pudicizia, che forse ebbe come modella Carlotta Gaetani, moglie del principe Raimondo. Per la stessa cappella di sanseverina realizza anche numerosi modelli in terracotta, tra i quali quello del Cristo velato, successivamente realizzato in marmo dal Sammartino.

È nel 1750 che realizza il magnifico altare maggiore della Chiesa di San Nicola ad Andria. Il Corradini aveva già realizzato altari, come ad esempio l’altare col trionfo dell’Eucarestia nel duomo d’Este, ma quello in San Nicola, scolpito in età molto avanzata, presenta una architettura scultorea totalmente differente: gli splendidi rilievi zoomorfi dei quattro evangelisti incastonati nel paliotto, i cinque angioletti a corona del tabernacolo con i due cherubini laterali, nonché i due pregevoli cartigli capialtare col rilievo di antichi sacrifici, sono elementi che lo rendono unico e superbo nel suo genere.
L’altare era stato commissionato dal Capitolo della Collegiata di San Nicola nel 1749, utilizzando il cospicuo legato del Canonico Nicolò Francesco Ponzi della Basilica di Bari e, terminato in Napoli nella bottega del Corradini, fu trasportato in Andria ed eretto in San Nicola nel 1751, come testimonia il suo contemporaneo Prevosto Giovanni Pastore nel manoscritto su citato.
Un importante documento trovato da Eduardo Nappi nell’Archivio Storico del Banco dei Poveri di Napoli (3) non solo conferma la data di esecuzione dell’altare, ma permette di scoprire che anche il busto del servo di Dio Don Filippo Cota (foto sotto), presente in un locale attiguo alla Chiesa, è opera del Corradini. In tale certificato di pagamento si dichiara infatti “… ad Antonio Corradino … qual somma … per una statua di mezzo busto senza braccia di marmo da lui lavorata per sua divotione per il servo di Dio, padre Don Filippo … e tutti detti Ducati … per l’altare di marmo, che si sta lavorando per la detta chiesa di San Nicola d’Andria.

immagine di padre Filippo Cota, acquaforte    Busto di Filippo Cota in S.Nicola ad Andria   Busto di Paolo di Sangro, nella sua cappella sepolcrale a Napoli
[Immagine di Filippo Cota in una stampa del 1750 - il suo busto in S.Nicola ad Andria - il busto di Paolo di Sangro nel museo cappella San Severo a Napoli]

Il servo di Dio, padre Filippo Cota, nato il 1° maggio 1673 a Napoli, nella piana di Sorrento, fu sacerdote esemplare ed onorato dal Signore con le Sacre Stimmate, ricevute il 5 marzo 1697 (4).
Per le sue spiccate doti di santità e saggezza fu chiamato da molti vescovi come Rettore dei loro seminari: a Troia, Benevento, Ugento, Brindisi, Melfi e Bitonto. Ovunque innumerovoli furono le grazie e i miracoli ottenuti dal Signore per chi a lui accorreva, sia in vita che dopo la sua dipartita.
Morì il 10 gennaio 1736. La sua vita fu minutamente raccontata, in un primo tempo, nel volume “Orazioni di Girolamo Morano recitate per lo padre D. FILIPPO COTA sacerdote napoletano nel portico della stadera”, in Napoli MDCCL, nella stamperia muziana; due anni dopo lo stesso autore, Girolamo Morano, pubblicò “Ristretto della vita del padre D. FILIPPO COTA, sacerdote napoletano”, in Napoli, MDCCLII, nella stamperia di Giuseppe Severini.

Viene qui spontaneo chiedersi quale importante avvenimento o devozione particolare spinse il Capitolo della Chiesa di San Nicola di Andria a commissionare ad Antonio Corradini, insieme all'altare maggiore, anche il busto del servo di Dio Filippo Cota, e ciò proprio tramite Don Girolamo (o Geronimo) Morano, importante personaggio ecclesiastico, avvocato e letterato della Napoli del tempo, nonché sì grande estimatore delle virtù del Servo di Dio da scrivere in sua lode ben cinque orazioni e due libri.

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Infine, come s'è scritto a inizio testo, in un'altra pagina è possibile leggere documenti su come venivano realizzati nel Settecento i commessi di pietre policrome a Firenze e Napoli.


NOTE    _
(1) Giovanni nell'Apocalisse riprende a sua volta le visioni dei profeti Isaia (cap. 6, vv. 1-3) ed Ezechiele (cap.1) combinandole in una unica visione; si riporta qui il testo di Giovanni (cap. 4, vv. 6-8) nella traduzione "Nuova Cei 2008":
"Davanti al trono vi era come un mare trasparente simile a cristallo. In mezzo al trono e attorno al trono vi erano quattro esseri viventi, pieni d’occhi davanti e dietro.
Il primo vivente era simile a un leone; il secondo vivente era simile a un vitello; il terzo vivente aveva l’aspetto come di uomo; il quarto vivente era simile a un’aquila che vola.
I quattro esseri viventi hanno ciascuno sei ali, intorno e dentro sono costellati di occhi; giorno e notte non cessano di ripetere: «Santo, santo, santo il Signore Dio, l’Onnipotente, Colui che era, che è e che viene!
»."
(2) M. G. Bollari, S. Ticozzi, “Raccolta di lettere sulla pittura, scultura ed architettura”, Milano 1822 (ristampa A. Forni 1979), II, p. 125.
(3) Ho trovato questo documento dapprima in "San Nicola Trimodiense" del 1993 di Pietro Petrarolo, poi in “Altari marmorei settecenteschi ad Andria”, importante tesi di laurea del 1994-95 dell’arch. Gabriella Di Gennaro, pubblicato a stampa nel suo studio "Altari policromi marmorei del Settecento ad Andria ed altri arredi sacri", Schena Editore, 2020, p.90; da me indi cercato e ritrovato in “Arte napoletana in Puglia dal 16. al 18. secolo: pittori, scultori, marmorari, architetti, ingegneri, argentieri, riggiolari, organari, ferrari, ricamatori, banderari, stuccatori” di Domenica Pasculli Ferrara)
(4) Girolamo Morano (al tempo rinomato avvocato e grande letterato che due volte al mese ospitava nella sua casa gli Accademici del "Portico della Stadera"), a pag. 19 del citato libro delle orazioni, scrive:
Ciocchè sicome non mai disse S. Paolo, se non quando avea detto esser’egli morto per vivere in Dio, perché con Cristo era crocefisso (Ga.2.19), così Filippo ebbe ragione di riconoscere se stesso morto, ed in se soltanto vivo Gesù Cristo, quando nel monte di Nisida a 5. di marzo del 1697., essendo Diacono, nell’atto di contemplar le pene del suo Signore, ebbe il gran favore di ricevere le sagre Stimmate, cioè due in ciascuna mano, ed una al cuore; le quali, quantunque ottenesse, che si caratterizzassero internamente, non lascarono però d’essergli di tempo in tempo per tutta la vita dolorosissime, e talora, anche come fossero carbonchi, e scottature su le mani riaprirsi. Allora egli imparò, come simili favori celar’ altri potesse, se pur non sia, che di se parlasse, quando disse: «Oh! Io feci una volta, che una persona si sapesse chiudere le stimmate, & niente comparissero.» Ma all’incontro allora conobbe esser divenuto niente, sicché, come disse Cristo Crocefisso per bocca del Profeta (Ps.72.22), egli stimatizzato potea altresì affermare: «Ego ad nihilum redactus sum» …”

[il testo e le immagini della pagina sono di Sabino Di Tommaso (se non diversamente indicato)]