Dalla zona absidale, a sinistra dell'altare maggiore si accede alla sacrestia.
Così la descrive il Merra ai primi del Novecento:
"Abbellita la Chiesa, fu necessario far abbellire ancora la sagrestia, che nel 12 luglio 1752 il Priore Fra Lorenzo Germano aveva proposto risarcire e ripulire con intonachi ed ornamenti di quadri, e con alla testa un grande Crocifisso, accanto a cui furono dipinti sul muro l’Addolorata, S. Giovanni, e la Maddalena. Attualmente il Crocifisso sta in Chiesa, a destra di chi entra per la porta maggiore. Ai 9 settembre 1773, volendosi sempre più abbellire questa Sagrestia, dal Padre Priore Fra Ludovico Buchicchio si propose di ornarla di stucchi. Furono affissi sotto la volta quattro dipinti in tela, di figura ovale, i quali rappresentano Gesù orante nel Getsemani, Gesù legato alla colonna, l’Ecce Homo, e Gesù che porta la croce in sulle spalle. Un grande armadio di noce con varii scaffali, ornato nella spalliera da quattordici quadretti, otto di faccia e sei laterali, intarsiati bellamente nel mezzo di fiori e di rabeschi, ornano la Sagrestia. Sulla cornice dell’armadio a destra ed a sinistra vi sono due quadri ovali in tela, con cornici dorate; essi rappresentano S. Antonino, Arcivescovo di Firenze, e S. Ludovico Bertrando, entrambi dell’Ordine dei Predicatori.
[affresco sulla parete est e tele nella volta della sacrestia - foto Sabino Di Tommaso, 16/03/2014]
In questa sagrestia avvi lo scheletro del piissimo Duca Francesco II Del Balzo, chiuso entro una funebre cassa color verde, coi fregi dorati, In un lato di essa si legge scritto:
Sopra della cassa in una nicchia si ammira il mezzo busto di marmo del medesimo Duca, con la seguente epigrafe, fatta incidere sul marmo dai Padri Domenicani, affinché la memoria veneranda del loro massimo benefattore, col correre dei secoli, non venisse meno giammai. [NDR]
[arcosolio di Francesco II del Balzo in sacrestia (il busto però non è qui,
ma nel museo diocesano) - elaborazione elettronica su foto Sabino Di Tommaso, 16/03/2014]
Ai 5 maggio 1773 il P. Priore Buchicchio propose di far lavorare in Napoli per la Sagrestia un lavamano di marmo pel prezzo di duc. 100 [foto sotto]. È un lavoro veramente bello, costruito a guisa d’un altarino. Ha la vasca color di piombo, il davanti ed i fianchi di marmo cipollino, fasciati di marmo bianco. La spalliera ha la figura d’un semicerchio compresso, ricinto di cornici ritorte di bianco marmo, e terminante con un cartoccio. Nel mezzo spicca lo stemma Domenicano, fiancheggiato da due canestri di fiori in marmo bianco.
In alto sopra di questo lavamano si vede una antica tela di S. Pietro Martire, che probabilmente doveva stare in Chiesa, quando contava tredici altari. Questo quadro rappresenta il Santo Martire Domenicano, che con la testa spaccata e grondante sangue, e col pallore di morte sul volto, aspetta gittato a terra il colpo del pugnale, che un ferocissimo sicario sta per tirargli sul petto! Dietro del Santo Martire si vede spaventato un frate che da un altro sicario sta pure per essere ucciso, mentre dal cielo, attraverso un raggio di luce scende un angelo con la palma del martirio nella destra. Il fondo del quadro, dipinto con tinte forti e cupe, rende la scena del martirio quant’altra mai spaventosissima. È un lavoro artistico e di grande effetto.
I Frati arricchirono splendidamente questa Sagrestia di molti arredi sacri."
[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 3-183]
Attualmente non è presente in questa sacrestia l'armadio con i due quadri ovali di S. Antonino, Arcivescovo di Firenze, e S. Ludovico Bertrando posti sulla sua cornice, né la tela di San Pietro martire [2], che nell'Ottocento era affissa in una cornice di stucchi sulla parete ovest sopra il sacrario, il quale ultimo ora si trova sulla parete destra del presbiterio. È opportuno qui ricordare che, prima della riforma liturgica voluta dal Concilio Vaticano II, il sacrario era presente in tutte le Chiese; il suo scarico metteva a contatto direttamente con la terra di fondazione della Chiesa, benedetta dal vescovo alla posa della prima pietra. In esso si gettava qualsiasi cosa benedetta o consacrata che fosse necessario eliminare, così che tornasse alla natura creata da Dio e fosse l'usura del tempo a consumarla; esso non doveva assolutamente essere collegato ad uno scarico di lavandino.
A sinistra della porta che induce al Chiostro e a destra di quella che poi immetteva presso l'altare maggiore c'è un residuo di affresco a ornato floreale.
[Il sacrario del 1773 (attualmente posto nell'abside) - (foto S. Di Tommaso, 2014) - parete ovest con
la tela di S. Pietro martire, trafugata, qui copiata da foto della Fototeca di Bari]
In questa sacrestia c'era anche un pregevole bancone intarsiato, simile a quello presente nella sacrestia di S. Francesco. Mons. Lanave recuperò da tale bancone, ormai distrutto, alcuni pannelli intarsiati e li fece restaurare; ora sono esposti nel Museo Diocesano. Si riproducono qui sotto le foto di quattro pannelli, estratte dalle pagine 91-94 del citato testo "Ho raccolto per voi" di G. Lanave.
"Per quanto riguarda la sagrestia, possiamo notare, come si è detto, che la sua struttura muraria è di gran lunga superiore, qualitativamente, rispetto alle murature dell’intera chiesa.
Le notizie storiche in nostro possesso riguardanti la sagrestia si riferiscono soltanto al suo restauro e alle opere decorative effettuate dopo il 1750, ma non ci è dato sapere nulla della data di costruzione. ...
Di un affresco si è trovata traccia, sul muro della Sagrestia comune colla Chiesa, a destra della porta che si apre fra il chiostro e la sagrestia stessa. Benché tale affresco non sia stato, prudenzialmente, liberato, esso risulta stare, in linea di massima, piuttosto in basso, fino a toccare il pavimento, cosa che fa immediatamente supporre che il pavimento attuale della sagrestia stia molto al di sopra del suo piano originario.
È stata inoltre rinvenuta, all’interno del muro della sagrestia a confine con la scala, una pila in pietra, ricavata da un unico blocco, di origine incerta.
Per quanta riguarda il rapporto della Chiesa con la sagrestia, l’unico varco di comunicazione era originariamente quello indiretto, che si apre nell’ambiente che mette in comunicazione la sagrestia con il chiostro. In seguito fu poi aperta la porta nella zona presbiteriale."
[testo tratto dall' analisi storico - artistica dell'arch. Anna Maria Palladino, presentata in pubblica assemblea al termine di quella prima fase di lavori]
Nonostante sia necessario tener presente che il suolo in cui sorge la struttura sia in forte acclivio verso Est,
(per cui è normale che i piani di calpestio dei relativi ambienti
si adeguino con gradoni al livello del suolo circostante)
tuttavia, come fa osservare l'arch. A. Palladino nella su citata relazione,
il pavimento della sacrestia doveva essere molto più in basso di quello attuale,
probabilmente a livello del chiostro, della costruzione che,
prima che venisse edificato San Domenico, sovrastava il sepolcreto,
e della quasi adiacente chiesetta di S. Colomba.
Tanto si deduce non solo dalla posizione effettivamente molto bassa dell'affresco su richiamato,
ma anche della volta, la cui scarsa altezza in proporzione all'insieme incombe palpabilmente
non solo sul fruitore abituale ma anche sul visitatore occasionale.
[sacrestia, panoramica con la simulazione della presenza del sacrario, del busto di Frrancesco II del Balzo e del quadro di S. Pietro martire trafugato - montaggio di foto Sabino Di Tommaso, 2014]
Si riproduce a fini documentaristici una foto dell'arcosolio di Francesco II Del Balzo,
scattata a fine Ottocento dall'Istituto Italiano d'Arti Grafiche di Bergamo;
in essa si vede il busto del Duca posto nella soprastante nicchia.
[l'arcosolio 1900-1910 - elab. su foto Istituto Italiano d’Arti Grafiche, Bergamo.
Fototeca INASA, fondo Ricci, inv.103150]
[NDR] In questa trascrizione dell'epitaffio sono state corrette alcune imprecisioni ed omissioni rilevate nel citato testo di Mons. Emanuele Merra.
[1]
In una "Cronica di Napoli", scritta ai primi del Cinquecento da un certo Notar Giacomo
[l'autore nel testo si auto nomina "io notaro Iacobo"],
si afferma che "indicto anno [1483] deaugusto fo morto lo illustre Signore francisco
dello bauzo duca de andre". Considerando che l'autore racconta un avvenimento accaduto al suo tempo,
e che, qual notaio, è avvezzo alla rigorosità (nonostante non usi una lingua
curiale ma un volgare a base popolare), è possibile che la data della morte
di Francesco II del Balzo da lui indicata, agosto 1483, sia quella corretta, nonostante
che sulla epigrafe sia indicato il 1482.
[il testo tra virgolette è tratto da "CRONICA DI NAPOLI di Notar Giacomo",
pubblicata per cura di Paolo Garzilli, Staperia Reale, Napoli, 1845, pagg. 150, 233]
Anche un altro cronista, Antonello Coniger, camerlendo di Lecce e vivente ai tempi di Francesco II del Balzo,
nel suo "Recoglimento de più scartafi de certe cronache moderne, et antiche de più cose,
et rinuate le cose socesse in questa Provincia de Terra d'Otranto"
pone al 1483 la morte di Francesco II del Balzo, infatti scrive (nella dotta lingua leccese del tempo):
"1483 ... In eodem anno, & mense fo morto lo Illustrissimo Signor Francesco de Baucio Duca d’Andre,
alla quale morte apparse una stella de jorno, & veramente se po mettere al numero delli Santi per la sua bona,
e Santa Vita. Nel tempo suo furo trovati in Beseghe [Bisceglie] per revelacione sua
li corpi di tre gloriosi martiri, cioè Sergio, Mauro, e Pantaleo.
Essendo al detto Duca una volta in Lecce mandato per il Signore Re proferse
a questa nostra huniversità lo Corpu de Sancta Herini & lo corpo de Sancto
Orontio che sua Signoria sapea dove stavano, e quella huniversità, ingrata,
& non degna di tanto bene ne foi pigra, e tal cosa non è fabola, che IO
ANTONIELLO CONIGER mi trovai presente."
[tratto da "RACCOLTA DI VARIE CRONICHE, DIARJ, ED ALTRI OPUSCOLI COSI ITALIANI, COME LATINI APPARTENENTI ALLA STORIA DEL REGNO DI NAPOLI",
tomo V, Napoli, 1782, presso Bernardo Perger, pp. 18-19]
[2] La foto di S. Pietro martire, scattata da A. Ceccato nel luglio del 1937, è stata rilevata dal sito della Soprintendenza per i Beni Storici Artistici.