La foto del 1983 mostra come si presentava il presbiterio prima degli ultimi restauri. Dietro la balaustra (ridotta negli anni Sessanta del Novecento per realizzare l'altare del Concilio) s'erge maestoso l'altare maggiore con la statua del Cristo risorto e, sullo sfondo, l'organo con la cantoria.
Il presbiterio è a pianta quadrata; tale forma è accentuata dalle doppie paraste
che s'innalzano ai quattro angoli sulle quali si dipartono i quattro archi a sesto leggermente acuto,
donde si imposta l'elegante cupola con lanterna.
Sulla coppia di paraste della navata prima dell'uscita laterale, dopo l'altare di San Domenico,
almeno fino al 1983 (data della su riportata foto, nella quale il pulpito appare sulla destra) sporgeva
il pergamo settecentesco, "arabescato d'oro su fondo verde", come scriveva il Merra.
Al fine di poter rilevare le diverse modifiche strutturali e d'arredo apportate nel tempo nella navata, nel presbiterio con cupola e nella zona absidale si riportano ancora le descrizioni del Borsella, del Merra e dell'Agresti.
"La nave della Chiesa, ben lunga, ed ampia è tramezzata da marmorea balaustra di buona forma, sonovi cinque altari inclusovi il maggiore, tutti composti di fini marmi, e tutti splendenti per delicati fregi, nelle fascie sovrapposte alla mensa, i cornicioni che poggiano negli architravi di ogni altare, sono curvi a forma di una S sporgenti un palmo e mezzo dal muro con cornici levigate a marmo bianco in mezzo dei quali son messi gli ovati di santi che rappresentano. Il pavimento luccica di verniciati mattoni al pari della cupola che copre il coro, fornita benanche al di fuori di lastrine color verde. Le volte son ben solide, con fregi di stucco.
L'ordine architettonico è il Corinto."
[da "San Domenico", in Andria sacra, di G. Borsella, tip. F. Rossignoli, Andria, 1918, pagg. 203-204]
[balaustra settecentesca - foto Sabino Di Tommaso 04/2014]
L'elegante balaustra settecentesca in marmi policromi
a metà degli anni Sessanta del Novecento fu ridotta e porzionata per realizzare al centro
del presbiterio il nuovo altare richiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II;
ricomposta nell'ultimo restauro del 2012-14, posta non più all'ingresso del presbiterio
ma presso l'altare maggiore, presenta evidenti i segni di quella scomposizione.
Queste le parole del Merra su tale manufatto:
"Una elegante ringhiera di bianco marmo, intarsiata di marmi variopinti e ben lavorati,
separa il presbiterio dalla navata. Il 15 ottobre 1752, il Priore Fra Lorenzo Germano
proponeva di farvi mettere la cancellata di ferro, tramezzata di ottone".
Se i dati del Merra sono corretti la balaustra sarebbe anteriore all'ottobre del 1752
e quindi non realizzata dal Palmieri nel 1773-74, nonostante l'affermazione
(in verità piuttosto generica) nel contratto di quest'ultimo dell' "edificazione
di altari, cappelle, palaustrate ed altro di marmi" in
San Domenico (riportata dall'arch. Gabriella Di Gennaro a pag.171 del testo
citato). Conseguentemente,
anche l'altare maggiore in marmi policromi dovrebbe essere stato innalzato prima di tale data
e forse dallo stesso artefice della balaustra, considerando che
ambedue i manufatti presentano commessi gli stessi identici marmi e simili
tratti di stile.
Nel Quattrocento, racconta il Merra nel testo sotto citato, i Domenicani posero nel presbiterio, prima sulla parete di fondo, poi a sinistra dell'altare maggiore e presso l'altare della Madonna del Rosario, il busto del loro grande Benefattore, Francesco II del Balzo.
"I Padri Domenicani grati quant’altri mai a questo munifico e grande loro benefattore, pare che ancor vivente gli abbiano fatto scolpire, come è probabile, dal celebre Donatello, un pregevolissimo mezzobusto in marmo cli Carrara. È vestito da Terziario, con il seguente umilissimo motto, inciso in lettere dorate intorno al collaretto dell'abito: «Ne quid nimis, ne quid nimis». Lo situarono primamente ai piedi del maggiore altare, al lato sinistro della Cappella di Santa Maria dell’Umiltà, con queste semplici parole scritte al di sotto: «Franciscus Baucius Dux Andriæ 1442». In tale epoca Francesco contava appena 32 anni. E quando poi nel 1482 in età di anni 72, egli passò di vita, il cadavere imbalsamato fu collocato sotto del busto, e vi fu sospesa una tavoletta con questo epigramma, in cui l’autore, per sbaglio, chiama Sveva Orsini moglie, invece di ava di Francesco II Del Balzo:
«Ad Excellentissimæ DD. Svevæ Ursini honorem, uxorisque Excellentissimi Ducis Bauci, cuius corpus in hoc Divi Dominici tempio conservatur integrum»."
Il Merra riconosce tratti donatelliani nel busto di Francesco II del Balzo. In effetti oggi tale busto viene da alcuni attribuito a Francesco Laurana (1430 - 1502), da altri (come H-Walter Kruft) a Domenico Gag(g)ini (1420 circa - 1492), ambedue, secondo il Vasari, allievi del Brunelleschi. I critici riconoscono comunque in quest'opera elementi di stile brunelleschiano e donatelliano, caratteristici dell'arte dei due suddetti scultori, in particolar modo del Gagini.
A proposito si riporta il commento che Mons. Lanave scrisse nel testo sotto citato in merito all'attribuzione di questa scultura.
"Busto di FRANCESCO II DEL BALZO - Marmo scolpito: m; 0,53 x 0,48 x 0,28. ...
S. Bottari, nel 1935, reputò il busto di Andria, per la sua forte caratterizzazione fisionomica, opera di Domenico Gagini (1425 -1492): attribuzione ripresa nel 1972 da H. W. Kruft.
Tutti gli altri studiosi dal Fabriczy (1907), al Venturi (1908) e poi da Salmi, al D’Elia (1964) concordano nell’attribuzione a Francesco Laurana.
Francesco II Del Balzo (1410 -1482), Duca di Andria e gran connestabile, indubbiamente animo nobile e sensibile, sentì il fascino delle voci nuove di cultura, che fioriva nella corte di Napoli e, a contatto con l’ambiente napoletano, riportò quelle voci rinascimentali nella sua città.
E a uno scultore dalmata, di passaggio in Puglia, Francesco Laurana, anch’egli partecipe alle idee di rinnovamento dell’arte italiana, ordinò il busto andriese che fu collocato sul monumento, al centro del coro e che poi fu trasferito in sacrestia, quando l’organo fu sistemato al suo posto. Probabilmente questo avvenne nel 1772. Sulla veste, intorno al collo, reca il motto “Ne quid nimis”, insegna dei terziari domenicani.
Nell’eremo di S. Domenico il Del Balzo a 62 anni, non ancora vecchio, ma certo rattristato dalle rivalità e dalle passioni politiche, si era rifugiato per trovarvi la pace.
Il busto è un capolavoro certamente, in cui i tratti fisionomici minuti e quel sottile sentimento di umana partecipazione che si colgono nel Duca di Andria, non impediscono allo scultore dalmata di fonderli nella sintesi dei volumi e di trasfigurarli in quel senso raccolto e quasi distaccato dalla vita, come nei suoi maggiori capolavori."
[tratto da "Ho raccolto per voi" di Giuseppe Lanave, Grafiche Guglielmi, Andria, 1994, pag. 206]
Oggi il busto di Francesco II Del Balzo è esposto nel Museo Diocesano di Andria; tuttavia nel museo virtuale di "andriarte" è anche possibile leggere (un approfondimento dell'aspetto storico-artistico.
Il Merra, più avanti, rifacendosi come documento al Liber Consiliorum Ven. Conv. S.Dominici de Andria, fornisce altre informazioni sul presbiterio:
"Sulla porta della Sagrestia si ammira in tela un bellissimo ritratto de Papa Benedetto XIII della famiglia Orsini, e dell'Ordine dei Frati Predicatori. Di rincontro avvi lo stemma gentilizio del medesimo inquartato con quello dei Domenicani.
In mezzo al presbiterio vi è il sepolcro dei figli di S. Domenico, e sul coperchio di marmo lo stemma del loro Ordine."
[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 3-183]
[tela raffigurante Benedetto XIII, memoria dei benefici ottenuti da tale pontefice
e suo stemma - foto Sabino Di Tommaso, 04/2014]
Il testo dell'epigrafe, affissa a perenne memoria dei privilegi ottenuti dal Pontefice Benedetto XIII, loro confratello:
testo originale dell'epigrafe | traduzione |
---|---|
D. O. M. |
A Dio, il più buono, il più grande. |
Presso la porta che immette nella sacrestia è ricavata una nicchia interamente rivestita
e incorniciata finemente in legno dorato (foto a destra); una fascia perimetrale lungo il bordo e l'ampia
base orna la cuna con elementi floreali e puttini alati intagliati nel legno.
Nel 2015, per il proficuo interessamento di Don Nicola de Ruvo (delegato vescovile
per i rapporti con la Soprintendenza) è stata opportunamente restaurata, fermando l'attacco dei tarli,
ripulendola dalle sovrapitturazioni, consolidando la fibra lignea e ripristinando l'originaria colorazione.
In essa, quando la chiesa era aperta al culto, era esposta una magnifica statua della Vergine del Rosario,
con in mano una rosa aurea e la corona del rosario.
Scriveva il Merra nel testo citato. "Vicino all’altare del Rosario, dalla parte dell’epistola,
dentro una nicchia tutta dorata e che rassembra un trono, avvi una statua della Vergine del Rosario;
pare una scultura greca, avendo la veste ed il manto screziati vagamente di fiori dorati.
Il Bambino, messo sopra il braccio sinistro, è un pessimo lavoro di diverso autore, e dovrebbe essere tolto.
Per questa statua e pel Bambino la pia signora Teresa Jannuzzi nei Porro donò
due corone d’argento da mettersi nel giorno della festa."
[nicchia con la Madonna del rosario, ante-restauro e dopo - foto di Sabino Di Tommaso]
Probabilmente sull'altro lato della stessa porta che dà in sacrestia, prima del rifacimento e riduzione degli altari operato nel Settecento, era eretto il piccolo altare dedicato a S. Maria dell'Umiltà, alla quale era intitolato l'intero complesso conventuale. Scriveva sempre il Merra: "D. Giovanni Pastore, Prevosto della Collegiale di S. Nicola, nella sua Storia manoscritta della città di Andria, parlando del mezzo busto in marmo di Francesco II Del Balzo, Duca di Andria, dice che stava vicino alla Cappella di Santa Maria dell’Umiltà". Forse era posto in questa nicchia.