La chiesa si presenta a navata unica con
quattro grandi e maestosi altari laterali.
Sulla sinistra entrando,
- c'è una nicchia lignea sagomata a trittico che forse nel Novecento
ospitava le statue dei S. Medici;
- segue poi, dopo l'acquasantiera di sinistra,
l'altare di San
Tommaso;
- centrale un confessionale sormontato dalla nicchia dell'Immacolata;
- indi l'altare della Vergine del Rosario.
Sulla destra,
- la nicchia della Madonna di
Costantinopoli col sottostante battistero del 1857; in
precedenza probabilmente ospitava un confessionale e certamente, sulla parete
superiore, il Crocifisso settecentesco, precedentemente affisso sulla
parete della sagrestia appositamente
affrescata con l'Addolorata, San Giovanni e la Maddalena.
- c'è l'acquasantiera di destra, indi l'altare di San
Vincenzo Ferreri;
- centrale un confessionale sormontato dalla nicchia di San Giuseppe;
- di seguito,
l'altare di San Domenico, presso il quale era sospeso
il pergamo nei colori verde e oro.
[il crocifisso settecentesco,
esposto nel 1986 in Cattedrale]
Il presbiterio a base quadrata, è sormontato da
una elegante cupola.
Davanti all'abside spicca
l'altare maggiore per
l'eleganza dei commessi di marmo, il coro ligneo retrostante
(spostato in Cattedrale) e
la
cantoria con l'organo.
La Chiesa fino ai lavori eseguiti nel Settecento, era dotata di dodici cappelle o altari laterali, sei per lato.
Il Merra, nell'opera sotto citata, sulla base dei documenti, così le denomina:
I. Cappella della B. Vergine dell’Incoronata, II. Cappella di
Santa Maria della Consolazione, III. Cappella dell’Annunziata,
IV. Cappella della Madonna di Costantinopoli, V. Cappella di Santa Maria dell’Umiltà, VI. Cappella della
Madonna del Rosario, VII. Cappella di S. Domenico, VIII. Cappella di S. Tommaso d’Aquino, IX Cappella di S. Vincenzo Ferreri,
X. Cappella di S. Pio V Papa, XI. Cappella di S. Pietro Martire, XII. Cappella di S. Giacinto, di S. Maria Maddalena penitente, e di S. Caterina Vergine e Martire.
In merito alle cappelle presenti nel Cinquecento, in particolare, a quella dedicata all'Annunziata, esiste una brevissima nota su come si presentava al tempo, redatta dal teologo domenicano P. Serafino Razzi (1531-1611), che nel suo viaggio di una ventina di giorni (24 settembre 1576 - 11 ottobre 1576) effettuato dal suo convento di Vasto per la Spelonca di Monte Sant’Angelo e per S. Nicola a Bari, venerdì 5 ottobre 1576, sul percorso di ritorno, passa per Andria e si ferma qualche ora nel Convento. Della Chiesa egli descrive con poche parole la sola cappella dell'Annunziata, perché rimane colpito dalla bellezza delle sue sculture; per il Convento fornisce cenni sullo studio generale ivi presente, sul Priore e sul Maestro di Studio. Infine il giorno dopo, prima di ripartire, fa una capatina alla chiesa della Madonna dei Miracoli, allora in costruzione.
" ... prendendo il camino verso la città di Andria, sette miglia distante da Quarata, ci arrivammo co’ due hore di sole, e fummo ben veduti nel convento dei nostri padri. In cui è lo Studio generale con cinque soli studenti. Et il Regente era altresì priore, cioè Maestro Orazio da Taranto, nipote del moderno Provinciale detto per sopra nome, il Guercio da Taranto. E ci trovammo Maestro di Studio, il p. fra Agostino da Leccio, vestito et allevato in provincia nostra Romana, dal quale ricevemmo molte carezze;
Andria città antica non tiene cosa notabile. In chiesa nostra è una cappella della Nunciata fatta di pietre lavorate d’intaglio, co’ fogliami, bellissima.
Il Sabato mattina a’ 6 [ottobre 1576], partendo di buon’hora, andammo a visitare certa madonna apparita di nuovo miracolosa, circa un miglio lontana dalla città, et alquanto fuori di strada, ove trovammo molta gente, e principiata una grande chiesa, e fabrica e quindi tornando alla strada maestra, passammo al duodecimo miglio sotto Canosa. Dove si legge mandavano i Romani i loro vecchi per la bontà dell’aere."
[testo tratto da “Serafino Razzi, Viaggi in Abruzzo (inedito del sec. XVI) ”, a cura di Benedetto Càrderi, ed. L. W. Japandre, 1968 (1969), L’Aquila, pp. 171-172, citato in parte anche in “I Domenicani ad Andria in età moderna”, di Riccardo Sandro Ferri, Et Et edizioni, Andria, 2016, pag.82]
Mons. Merra più avanti nel suo testo, descrivendo la chiesa rimodernata, soggiunge:
"La chiesa è ornata di stucco; ha un pergamo arabescato d'oro su fondo verde: quattro confessionali di legno, incassati nella parete: un grande Crocifisso di legno, e due elegantissime pile di marmo piombino per l'acqua benedetta, con spalliere di marmo bianco e di vario colore, aventi nel mezzo lo stemma dei Frati Predicatori, cioè un cane con una torcia accesa in bocca, che si posa sopra d'un libro, un giglio ed una palma intrecciati entro una corona ducale, con sopra una stella. Queste pile furono fatte in Napoli l'anno 1773, essendo Priore il medesimo P. Buchicchio; e costarono ducati 90.
Nell'11 gennaio 1794, si propose dal Padre Priore Fra Vincenzo Ponno, che, pel maggior culto di Dio ed ornamento della Chiesa, si facesse venire da Trieste un Lampadario di cristallo di Boemia, a dodici lumi brillantati."
[da "La Chiesa e il Convento di S. Domenico" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pag. 36]
Del crocifisso di cui parla il Merra (immagine a destra) si trascrive un breve commento di mons. Giuseppe Lanave,
tratto dall'opuscolo “I Crocifissi di Andria” edito in occasione della loro
mostra tenutasi nella Chiesa Cattedrale dal 6 al 14 settembre 1986:
“Guardo ora quel Crocifisso di S. Domenico : è un settecento. Il corpo è pieno, consistente, accentuato.
Ha il perizoma in movimento. Il viso è più marcato, più fortemente espressivo. Il dolore è più vivo,
ma è sempre il dolore di chi per amore accettò la croce e per amore donò la vita.”
[croci della processione dei misteri del venerdì santo un tempo appese in S. Domenico
- foto Sabino Di Tommaso, 2004]
Ai tempi del Borsella sulla controfacciata erano appese due croci della processione dei misteri, oggi conservate in S. Angelo dei Meli ed in altre chiese non adibite al culto.
"A destra e sinistra del muro interno della facciata della Chiesa sono appese due pesanti croci di legno, dipinte coi misteri della passione le quali nelle processioni di penitenza del venerdì Santo sogliono portarsi sugli omeri dei fedeli recitando il miserere.
Sulla porta che mena alla sagrestia scorgesi il ritratto parlante di Benedetto XIII, Pontefice della famiglia Orsini, e rimpetto lo stemma gentilizio dello stesso con quello di S. Domenico."
[da "San Domenico" in Andria sacra, di G. Borsella, tip. F. Rossignoli, Andria, 1918, pag. 210]
I lavori di restauro avviati all'inizio di questo decennio (2012) hanno rifatto il pavimento sul sepolcreto, precedentemente portato alla luce, e riparata la volta settecentesca. L'insieme può osservarsi nella sottostante foto di destra, scattata nella meravigliosa serata di luna piena [nella foto la luna fa capolino da una finestra della cupola] del 16 marzo 2014, in occasione del 50° di sacerdozio di Mons. Raffaele Calabro e della presentazione alla cittadinanza di tali restauri realizzati sotto l'accorta guida dell'arch. Rosa Angela Laera.
Nell'immagine sottostante di sinistra, invece, ripresa prima dell'inizio dell'ultimo restauro, si può cogliere, in parte, quanto elevato fosse il degrado della volta e delle pareti per le notevoli infiltrazioni di acqua dal tetto.
Entrando in chiesa dalla porta principale, sulla quale un tempo c'era l'organo e ora è affisso un quadro di S. Raimondo, ci si segna in una delle due eleganti acquasantiere del 1773; così descrive l'ingresso il Borsella nel suddetto testo:
"Entrato in Chiesa sopra la porta vedesi un quadro di S. Raimondo con due chiavi nella destra, allusivamente all’ufficio di gran penitenziere di cui venne decorato da Gregorio IX. Ai fianchi della entrata sono allogate le due fonti dell’acqua benedetta di marmo piombino con spalliere di altri marmi di vario colore avendo in mezzo lo stemma di S. Domenico cioè un leggiadretto cane con torcia accesa in bocca che sta su di un libro. Un giglio ed una palma intersecati fra loro in una corona, si ergono in testa del cane, ed una stella corona i due festoni."
[una delle due acquasatiere settecentesche d'ingresso - una mensola ottocentesca sulla controfacciata a destra dell'ingresso - foto Sabino Di Tommaso, 2014]
[panoramica della chiesa vista dalla cantoria nell'abside - foto Sabino Di Tommaso, 2014]
[il quadro di S. Raimondo - foto Sabino Di Tommaso, 2014]
Un dipinto raffigurante S. Raimondo de Peñafort, sacerdote domenicano nato in Spagna (1175-1275), abbiam detto,
è affisso sulla porta d’ingresso (foto a sinistra). È un personaggio molto importante per i Domenicani, essendo stato discepolo di San Domenico,
cappellano e penitenziere di papa Gregorio IX (simboleggiato dalle chiavi nella sua mano), scrittore dell’opera
“Summa de casibus Pœnitentiæ” nonché terzo Maestro generale dell’Ordine.
Di lui si racconta che, come S. Giacinto sul Dnepr a Kiev (nel 1223) e poi S. Francesco di Paola sullo stretto di Messina (intorno al 1480),
tornò dall’isola di Maiorca a Barcellona a “bordo” del suo mantello steso sul mare, per allontanarsi dal Re Giacomo I non volendo condividerne l’agire (nel 1229-1230).
Sulla parete sinistra entrando all'altezza che possa essere baciata da una persona di media statura (nel 1901), è incastonata nell'intonaco una "croce delle indulgenze".
Nell'immagine è riprodotta la croce presente nella Chiesa e,
per una agevole lettura delle incisioni, la stampa di quanto vi è scolpito:
nei bracci della croce interna "IESUS CHRISTUS DEUS HOMO",
nella corona circolare presso la croce "VIVIT REGNAT IMPERAT MCMI",
nella corona circolare esterna "OSCULANTIBUS CRUCEM HANC IN ECCLESIA
POSITAM ET RECITANTIBUS PATER INDULGENTIA 200 DIERUM SEMEL IN DIE";
che, tradotta in italiano, ci dice: "Gesù Cristo, Dio uomo, vive, regna e impera – 1901.
Coloro che baceranno questa croce posta in chiesa e reciteranno il Padre Nostro
acquisteranno 200 giorni di indulgenza, una volta al giorno".
Questa croce fu realizzata durante il Giubileo del 1900 per la contemporanea
ricorrenza del diciannovesimo centenario della natività di Gesù, durante il
pontificato di Leone XIII. Essa è opera grafica dell’architetto Edoardo Collamarini
e scultorea, fusa in bronzo, del valente artigiano Aldo Bettini, da Sasso Marconi nel bolognese.
La fusione fu diffusa in vari tipi di lega; in alluminio - in bronzo -
in argento+alluminio+stagno - in similoro (84% di rame, 9% di zinco e 7% di stagno).
La volta a botte è realizzata in camorcanna, com'era d'uso nel Settecento,
e terminata nel 1741, come fu registrato nella chiave dell'arco di accesso al presbiterio.
Tra le lunette in corrispondenza dei finestroni si aprono
cinque riquadri polilobati che nel Novecento contenevano affrescati simboli riferibili
alla Madonna, in particolare alla Vergine del Rosario e ai Domenicani;
quello presso il presbiterio portava in calce due frasi (illeggibili nella foto in mio possesso).
Forse originariamente in queste cornici erano incastonati dei dipinti
sulla falsa riga della volta di San Francesco
e di Sant'Agostino, realizzate nel corso dello stesso Settecento.
Infine, sulla base della foto attuale restaurata e ripulita dai danni del tempo, con l'aiuto di immagini precedenti, si propone una simulazione della volta della navata con i simboli affrescati nelle cinque cornici polilobate centrali presenti nel Novecento.
[simulazione della volta della navata nel Novecento - elaborazione elettronica-assemblaggio di varie foto Sabino Di Tommaso]