“Aveldium Flumen - Fiume ignorato da tutti gli antichi geografi, e del quale abbiamo solamente conoscenza nella tavola del Peutingero. In essa l’Aveldio, è disegnato tra Bardulum, e Turenum. Niuno per lo passato si ha presa la pena di rintracciare l’antico corso di questo fiume, che oggi certamente non più esiste in questa parte di Puglia, eccettuato il solo Aufidus al di là di Barletta. Noi siamo tenuti al sig. Forges di questa interessante scoverta. Egli solo interrogò la natura in questi luoghi per ritrovare l’antico suo letto. Infatti presso il monastero appartenente una volta alla badia Casinese di Andria [monastero di S. Maria dei Miracoli] vi ha un torrente, che scorre per un antico alveo di fiume. Le sue acque dopo tortuosi giri si gettano nell’Adriatico, e propriamente nelle paludi esistenti tra Barletta, e Trani. Il sig. Forges non dubitò di affermare, che in questo letto una volta abbia corso un fiume, e tantopiù fissò la sua congettura, perché nel costruirsi la via regia di Puglia, essendosi formato un ponte su questo torrente, si trovò nella sua profondità sabbia fluviale mista a ciottoli rotondi.
Oggi certamente non più esiste l’Aveldio, ma le scosse de’ tremuoti, replica il sig. Forges, e varie altre fisiche cagioni ne deviarono probabilmente le acque, e fecero rimanere a secco il suo letto. Potè ancora avvenire, che le sue acque fossero state divise in due ruscelli, che oggi corrono per vie sotterranee, e poi escono in mare col nome di Arasciano, e di Boccadoro. Finalmente egli comprova questa diminuzione di acque coll’esempio di altri fiumi, e specialmente del Cerbalo [Cervaro], e dell’Aufido [Ofanto] da qui non molto distanti, che gli antichi descrissero come navigabili, ed oggi non par possibile, che possano sostenere i navigli.” (1)
I primi tempi del piccolo borgo che poi sarà la città di Andria sono strettamente legati a quel ruscello, che aveva nome "Aveldium".
“Le terre di Andria non pare che siano state sempre aride, come le vediamo oggidì. Fu tempo e non antichissimo, quando dovettero essere irrigate da correnti fluviali. Ne fanno fede gli alvei e la ghiaia speciali de' fiumi, trovati nelle scavazioni e in uno strato non molto profondo dell'attuale superficie.
Queste vestigie trovano riscontro in indicazioni erudite assai evidenti. Nell'antica tavola di Corado Peutinger fra Bardulis (Barletta) e Turenum (Trani) si vede segnato un fiume Aveldio ( fl. Aveldium). Il Forges fu il primo a scoprirne la foce nel sito delle Paludi di Barletta, il cui tufo lacustre era stato osservato e disaminato dal Giovene. Il Forges da quelle Paludi risalendo per delineare il corso del fiume guidato dal movimento topografico della campagna e delle tracce fluviali, venne a riuscire nella valle che si sprofonda ad occidente della Colonia Agricola provinciale, valle denominata di Santa Margherita fino alla metà del secolo XVI e della Madonna d'Andria d'allora in poi.
Così fino alle Murge fu determinato il cammino di questo fiume disparito, che pur talvolta riappare dopo larghi acquazzoni autunnali torbido e arcigno sotto la forma di alluvione, riprendendo con impeto irresistibile l'antico suo letto.
Ma, oltre all'Aveldio, le campagne di Andria dovettero essere irrigate da ruscelli tributarii di questo fiume. Il Corcia parla de' ruscelli Arasciano e Boccadoro, credendoli disviati dal loro corso antico. ...
... Vi dov'è dunque essere da quest'altro lato della campagna di Andria un ruscello, che disparito lasciò in eredità l'antico suo letto alle alluvioni. Queste, sepoltolo sotto un fitto strato del terreno, che sottraggono specialmente alle Murge, vi corrono sopra con impeto disastroso. Seguendo il corso attuale delle alluvioni, penso, che questo ruscello per la via che va sotto alla collina Monte Faraone o Guaragnone, scendea ad oriente di Santa Maria Vetere e di là fin sotto a Sant'Angelo al lago, dove le alluvioni si diffondono come in un lago.
Di là si protraea a mezzogiorno della città sotto alle mura, il cui suolo laterale oggi è di non poco rialzato o artificialmente o per diminuito volume delle alluvioni. Indi torcea ad occidente fino alla valle di San Lorenzo, e di là, correndo sempre ad occidente, torcendosi e ritorcendosi ancora, andava a riversarsi nell'Aveldio.”
Innanzitutto premettiamo che esiste una chiara differenza di intenti tra le varie rappresentazioni e descrizioni del mondo e dei suoi luoghi, intenti a volte anche espressamente enunciati in premessa dai loro autori. Tali mirati obiettivi e i conseguenti testi (limitando l’ambito di ricerca agli antichi documenti qui citati e di seguito richiamati) spingono a dedurre che il locus (oppidum per Plinio) Rudiæ o Rudas non era certamente sul percorso della via Traiana (e forse neppure della via Minucia, in quanto neppure Orazio annota tale località).
Una breve e sommaria riflessione a sostegno dell’ipotesi.
In merito all’indicazione degli intenti rileviamo che l’Anonimo ravennate, introducendo la sua “Cosmographia”, dichiara espressamente di voler “indicare le città, i fiumi, i quattro principali golfi del mare intorno alle terre”; scrive infatti: “Nos denique volumus Christo nobis auxiliante plurimas civitates vel flumina tam circa litus quatuor principales colfos (principalia colfora) maris designare, id est …” [I,17 – p. 37]; conseguentemente tra le “plurimas civitates” indica anche Budas→Rudas.
Per quel che concerne poi l’ “Itinerarium Burdigalense sive Hierosolymitanum”, e l’ “Itinerarium Antonini” emerge che in essi sono annotati in modo ben evidente le “mansio”, le “mutatio” e le “civitas”, ma Rudas non è segnata perché, appunto, non era un locus presente sulla strada percorsa, essendo forse solo ad essa prossima e comunque non toccata.
Si può pertanto dedurre e ipotizzare che Rudas non era sulla via Traiana, pur se non molto lontana da essa stando alle distanze geodetiche (indicate col sistema tolemaico) che la Tabula Peutingeriana da essa annota, sia con Rubos (XII) che con Butunto (XXIII).
Inoltre (a mio avviso) Rudas non potrebbe essere localizzata su Monte Faraone o Santa Barbara né nei loro pressi, in quanto non si sono trovati resti archeologici che possano far ipotizzare l’esistenza di un vicus romano, ma solo numerose tombe e frammenti di loro arredi risalenti a non più tardi del VI sec. a. C. e nulla, comunque, di epoca romana.
Rudas sembrerebbe non localizzabile neppure in località Tupputi e Quadrone, sia perché praticamente sarebbe sul percorso della Traiana e nei pressi della mutatio “Ad Quintumdecimum” (e ivi non indicata negli “itinerari”), sia soprattutto perché anche in tali luoghi non è stato rilevato alcun insieme archeologico di tipo murario ascrivibile ad un insediamento di epoca romana.
Per contro, a circa tre chilometri dalla Traiana sulle sponde del “Aveldium flumen” e dei suoi affluenti
è improbabile che già non ci fosse quel numeroso insediamento parzialmente in grotta con prevalenti occupazioni agricole e artigiane (figuli, carpentieri, …)
documentato ivi esistente in epoca altomedievale, nonché presente su un incrocio “diverticulum”
snodo rilevante dalla Traiana per Cannæ, Barduli, Turenum e l’importante via litoranea.
È vero che alla base delle attuali costruzioni quasi mai appaiono evidenti i resti di un insediamento di epoca romana,
ma diversi sono i reperti di tale epoca rinvenuti e sparsi per Andria (come, ad esempio, colonne angolari e vari capitelli
prelevati da strutture di epoca romana e riutilizzati in epoca successiva, …).
Sarebbe quindi da non scartare l’ipotesi (già espressa anche da altri studiosi) che Rudas o Rudiæ (forse nome plurale latino di un locus quale insieme residenziale sparso) potrebbe non essere altro che il toponimo degli insediamenti, prevalentemente e parzialmente in grotta, esistenti là dove l’Aveldio più ricco era di acque e costellato di cavità e protezioni naturali (si consideri che a partire dal suo letto a valle di Sant’Angelo [chiesa un tempo detta “al lago”] fino a valle di San Lorenzo, l’Aveldio formava una vasta golena e, nella depressione sotto San Nicola, un pantano: tanta “ricchezza d’acqua” per un territorio “siticoso” era notevole sprone a detto insediamento abitativo e manifatturiero!), là dove poi nell’alto medioevo emerse e si affermò Andre.
Di Andria, nei primi documenti medioevali chiamata
Andriæ, Andre o Andri, sulla Tabula Peutingeriana non c'è traccia,
e neppure negli altri itinerari conosciuti e presi in considerazione in questa ricerca.
Essa è citata per la prima volta nel 911 e di ciò diffusamente ne parliamo
nella pagina seguente
.
“Un tratto di questa via, tornato alla luce il 1919 presso Brindisi, così è descritto dallo storico locale [Pasquale] Camassa: «La via è larga quindici piedi romani, cioè metri 4,20 circa; è lastricata a grosse e informi pietre sbozzate semplicemente nella parte superiore, incastrate maestrevolmente le une nelle altre senza cemento e irregolarmente apparigliate come nelle costruzioni ciclopiche, ed è rasentata da cigli o paracarri».”