il portale del monastero

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porta del monastero
[portale del monastero - elab. su part. delle foto di Aurelio Malgherini di Andria]

porta del monastero
[portale del monastero: statua di S. Benedetto - foto di Sabino Di Tommaso - 2011]

tela di San Benedetto che era nel Convento
[tela di S. Benedetto - foto di Sabino Di Tommaso - 2008]

Monastero delle Benedettine
in largo Duomo

Il portale

Del portale del monastero scriveva il Borsella:

"E se il luogo concorre a render pregevoli le case, le ville, i palagi, le regie, le Chiese, può ben gloriarsi questa Casa Religiosa di avere un tempio isolato col Monistero in un punto eminente e nobile, accanto la Cattedrale, e poco lungi dal palazzo Ducale.

Nel frontespizio del portone, tutto di pietra eccellentemente fregiato, che introduce nel Monistero, spicca oh quanto cara la statuetta di San Benedetto, lo stemma del vescovo Angelo Florio, che mette fuori una vacca con un fiore e quello della Università. Nel primo è scritto: «Angelus Florius Episcopus Andriensis» nel secondo «Andria non minus fidelis quam benigna».

I lavori descritti con gli altri che adornano il portone, vennero fatti dal ridetto Nicolantonio Brudaglio, a dritta di questi fregi è messo l'impresa di S. Benedetto, e a sinistra quello della città."

     [il testo è tratto da Andria Sacra, di G.Borsella, Tip.Rossignoli, Andria, 1918, pp.236-237]

La descrizione architettonica è stralciata dalaa citata relazione del 1909 stesa dall'ispettore della Sovrintendenza ai monumenti Angelo Pantaleo:

"Oltre alla parte superiore, ove ricorre l’ordine di finestre già dette è notevole la porta d’ingresso al parlatorio del monastero, che ha proporzioni sobrie ed imponenti, i cui portali architettonici ed ornamentali sono disposti con perita ripartizione e l’architrave è aumentato da maggiore ornamentazione per motivo d’una cartella con lapide dai caratteri assai sciupati, con due stemmi lateralmente: vescovile uno, essendo mitrato, e l’altro del Comune di Andria, tagliato alla maniera della rinascita toscana ed avente il leone rampante che abbraccia una palma. Quest’arma ritrovasi, ugualmente foggiata, all’angolo Nord – Levante del monastero.
È notevole anche la porta in legno, rivestita di lamina di ferro, tempestata di chiodi, con la buca della toppa in ferro foggiata a cuore, le sbarre in ferro battuto a foggia di un giglio a formare il prolungamento dei gangheri della porta istessa. Decorazione questa assai caratteristica, che mostra all’evidenza come in quei tempi curavano il dettaglio per avere l’opera in ogni sua parte stilizzata."

Si riporta anche quanto scrive Giuseppe Ceci nel 1935 perché precisa che nel Settecento inoltrato, quando fu completato questo nuovo monastero (intorno al 1774), sul portale furono trasferite alcune sculture esistenti sul vecchio del Cinquecento (data di effettivo impianto del vecchio: 1582).

"L'ornamento del portone è in pietra, formato da pilastri fiancheggiati da volute che circondano anche la nicchia sovrastante che contiene una statuetta di S. Benedetto sobriamente scolpita. Tutto è attribuito a Nicola Antonio Brudaglio, vissuto intorno alla metà del sec. XVIII, capostipite di una famiglia di scultori andriesi. A sinistra, sull'architrave è incastrato lo stemma del vescovo Angelo Florio – una vacca con un fiore -, e a destra quello del Comune – un leone rampante su di una giovane quercia – col motto Andria non minus fidelis quam benigna, qui riportati dalle antiche fabbriche del monastero."

    [da Un Monastero di Benedettine in Andria, di G. Ceci, A.Cressati Ed.,Bari,1935,pag.14]

Statua e tela di S. Benedetto

Come sul portale d'ingresso così nel convento la figura di San Benedetto, fondatore della congregazione che qui operava e professava la sua vocazione, emergeva tra le altre icone di santi.

Al centro della nicchia del portale, su un grande piedistallo con sottostante voluta ricurva, vi è la statua di San Benedetto. Il Santo viene qui raffigurato mentre regge con la mano sinistra il libro della sua ”Regola” ; nella mano destra una coppa (da cui fugge una vipera) [1] e il pastorale. Ai suoi piedi la mitria vescovile simbolo della sua autorità di Abate mentre a destra manca il corvo col pane nel becco [2], presente nella collocazione originaria (foto sotto).
Il libro della Regola è aperto all’incipit: «Ausculta, o fili, præcepta magistri & inclina aurē cordis tui: & admonitionē pii patris libēter excipe & efficaciter cõple.» (Ascolta, o figlio, gli insegnamenti del maestro e apri l’orecchio del tuo cuore; accogli volentieri i consigli ispirati dal suo amore paterno e mettili in pratica con impegno).

Anche una tela (forse quella riprodotta a sinistra ed appartenuta nel Novecento alla famiglia Spagnoletti) presente all'interno del monastero raffigurava San Benedetto con il pastorale nella destra e la regola aperta nella sinistra con il motto latino «AUDITE  FILI  PRECETA  DEI»; ai suoi piedi la mitra e il corvo con il pane nel becco.

Attualmente (2015) detta tela è allocata nella chiesa del Carmine,  sulla parete destra del presbiterio.

Nella demolizione della chiesa e del monastero molte sculture di pregio furono salvate dalla distruzione, dall'accaparramento o dalla vendita; tra queste l'intero portale del monastero. Grazie alla assidua vigilanza della Soprintendenza, ma soprattutto alle insistenze del vescovo mons. Rostagno e della Commissione d'Arte Sacra di Andria (nota del 31/05/1938), il portale fu salvato e affisso a destra del portico della cattedrale.
Le foto degli stemmi e della statua di S. Benedetto qui riprodotte sono state riprese nella loro sede attuale.

monastero: frontespizio della porta


Gli stemmi del portale

Lo stemma a sinistra sul portale è, come s'è detto, l'emblema del vescovo Angelo Florio (1477-1495), qui posto perché il monastero potè essere edificato grazie anche ad un consistente suo legato, lasciato per l'ospedale di S. Riccardo e invece poi utilizzato per costruire questo monastero.

Il D'Urso nella sua "Storia della Città di Andria ..." ci spiega perché insieme al fiore nello stemma (foto ingrandita sotto a sinistra) è scolpita una mucca al pascolo.

"A lui [al vescovo Martino de Soto Maior] successe nell’istesso anno [1477] in questo Vescovado D. Angelo Floro nostro Concittadino, e Prete di questa Cattedrale, detto Monsignor Vaccarella. Prese questo agnome da una Vaccarella, che fu causa del suo esaltamento. Egli un giorno trovandosi a caso in un suo podere limitrofo alla via appia, ne’ tenimenti della Tavernola; di là passò un Cardinale, che ritornava da Taranto. Il nostro Floro alla vista di un Porporato gli si offerse incontro, e dopo gli atti di rispetto lo pregò, se volesse compiacersi di prendere un ristoro nella sua rurale Capanna. Quel Cardinale, perchè ne sentiva un forte bisogno, vi acconsentì volentieri. Là altro non eravi che una piccola Vacca. Questa venne all’istante apparecchiata, e quel Sacro Personaggio, nonché il suo Comitato, rimasero appieno soddisfatti di quel pasto. Dai discorsi poi tenuti dal nostro Floro in quella occasione avvertì il Cardinale essere quel nostro Prete uomo di vaste cognizioni; quindi volendo essergli grato per quel grazioso complimento, se ne segnò il nome, e partì. Non giunse in Roma che successe la morte del Vescovo di Andria Martino di Soto Major. Creduta questa dal Cardinale la occasione opportuna per dimostrarne la sua riconoscenza; gli ottenne da Papa Sisto IV. la investitura di questo Vescovado. Or ecco il perchè questo nostro Vescovo presenta nel suo Stemma, oltre un fiore, impresa della famiglia, una Vaccarella, la quale fu occasione di tale esaltamento pel suo Padrone."

[testi tratti da R. D'Urso in "Storia della Città di Andria", tip.Varana, Napoli,1842,
- lib. VI, cap. III, pag.113]

Il suddetto stemma è a forma di scudo nella cui base è inciso "ANGELUS DEFLORIO / EP[ISCOP]ŨS ANDRIEN / SIS"; centrale spicca una mucca mentre bruca dell'erba ed immediatamente sopra un ramoscello con tre fiori; sopra lo scudo è scolpita una mitra vescovile, le cui due fibule, ornate di quattro croci patenti, pendono lateralmente ad esso.


Nel 2012 l'ing. Riccardo Ruotolo ha pubblicato una accurata ricerca su “Lo stemma di Andria”. In merito allo stemma dell'Università di Andria sul portale del convento delle Benedettine (foto ingrandita in basso a destra) scrive:

«L'epoca di realizzazione di questo stemma è quasi certamente la fine del XV sec. quando furono realizzati i due ospizi della SS. Trinità e di San Riccardo con la generosità dei cittadini e con le rendite del Vescovo Mons. Florio; si spiega anche, così, il motto presente al di sotto dello stemma: "ANDRIA NON MINUS FIDELIS QUAM BENIGNA" che sta a significare sia la fedeltà nel senso religioso degli andriesi (mntre il termine FIDELIS inciso sulla Porta di S. Andrea ha il significato di sudditanza, di sottomissione all'Imperatore Federico II, come precisa il Prof. Vincenzo Schiavone), sia la loro generosità.
Anche questo stemma ha lo scudo sagomato a testa di cavallo o, come afferma il Podestà
[Pasquale Cafaro nella delibera del 23 agosto 1929] "a forma di targa fiorentina", con nove punte, interamente occupato da un leone rampante con coda biforcuta, con tra gli artigli un virgulto di quercia sul lato sinistro e con la lingua fuori dalla bocca. Molto probabilmente era sormontato da una corona ducale, ora non più esistente, essendo lo stemma scheggiato nella parte superiore

[tratto da “Lo stemma di Andria” di R. Ruotolo, Quaderni del Consiglio Comunale di Andria, Tip. Publicom, Andria, 2012, pag.22]

stemma di Angelo Florio      stemma della città di Andria
[stemmi: di Angelo Florio a sinistra, dell'Università di Andria a destra - foto di Sabino Di Tommaso - 2014]

A debole supporto letterario per datare detto stemma della Città a fine Quattrocento o inizio Cinquecento c'è un verso di un poemetto manoscritto di autore ignoto, inerente la Disfida di Barletta e ad essa contemporaneo, appartenente alla Biblioteca Nazionale di Firenze, catalogato con cod.Cl. VII, n. 1075: "Anonimo, Guerra seguita nel Regno di Napoli tra Francesi e Spagnoli in ottava rima".
L'autore, quando racconta del gruppo degli Italiani che da Andria si dirigono al campo scrive:
« ... uscenno fora
da la patria mia Andria benegna
». [3]

Con tali parole sembra che l'autore del poema citi (o si rifaccia a) l'epiteto scritto sullo stemma della Città di Andria.

A mio avviso, tuttavia, questi due stemmi quasi certamente non furono scolpiti per i due ospedali della SS. Trinità e di S. Riccardo, bensì per il primo monastero delle Benedettine realizzato al posto di quei due ospedali.
Tanto si evince dal fatto che il legato di “ducati mille lasciati dal Vescovo Monsignor Florio per risarcire e dilatare un lato dello Spedale di S. Riccardo” non fu più utilizzato a quel fine; fu invece nel 1563 destinato, insieme a “qualche altro amminicolo, e prestazione della Città” nella “Clausura per le figlie di S. Benedetto”. “…Questa Università altresì somministrò alcune somme, e così si mise mano all’opera. … Tutti i Cittadini concorsero con qualche contribuzione a quest’opera di cristiana pietà; e stabilite alcune rendite annuali, se ne venne al compimento. Ma per terminarsi interamente la fabbrica col Campanile passò qualche anno. Quindi elle noi troviamo essere entrate la prima volta le Vergini nel Chiostro nel 1582. nella Vigilia del S. Natale.
[Il corsivo è estratto dal D’Urso (op. cit., pag 133), che, per queste notizie, è supportato da alcuni documenti (la bolla di Pio IV del 1563 e una transazione tra Università, Monte di pietà ... Monastero Benedettine del 1746) e trova concordi gli altri storici].

Quanto sopra porta quindi a supporre che questi due stemmi siano stati realizzati nella seconda metà del Cinquecento (e non nel Quattrocento) per il Monastero delle Benedettine, onde conservare memoria che tale opera pia era stata costruita coi fondi del vescovo Angelo Florio, dell’Università di Andria e dei generosi cittadini.


Una curiosità. Si noti che nel cartiglio dello stemma dell'Università di Andria è scolpito un bassorilievo raffigurante forse una cornucopia (o un'anfora o un corno), solo a destra della scritta "BENIGNA" e non anche simmetricamente a sinistra: sarà il solito abbellimento di chiusura del testo; è improbabile che sia l'emblema-firma dello scultore.


NOTE

[1] Questo miracolo di San Benedetto (480c-547) è raccontato da San Gregorio Magno (540-604) al suo discepolo Pietro, nei "Dialogorum" (scritti nel 594) narrandogli "La Vita e i Miracoli del Venerabile Benedetto".
Ecco il testo originale latino trascritto dall'abate Angelo della Noce (fu il 136° abate di Montecassino, come riporta il Muratori, se non si considerano i mandati ripetuti, altrimenti è il 146° [1657- 1661 e 1665-1669]) assieme alla "Chronica sacri Monasterii Casinensis". Al testo latino affianco una mia traduzione.
[testo originale latino] [traduzione]

IN LIBER SECUNDUS
DIALOGORUM” MAGNI GREGORII PAPÆ

VITA, ET MIRACULA
VENERABILIS BENEDICTI

[ab Angelo de Nuce neapolitanus (1604-1691),
abbas Casini centesimus trigesimus sextus,
notis illustrata (1668)]

CAPUT III.
De vase vitreo crucis signo rupto.

[GREGORIUS]…
[1] Præconio itaque eximiæ conversationis celebre nomen ejus habebatur. .
[2] Non longè autem monasterium fuit, cujus Congregationis Pater defunctus est, [3] omnisque illa congregatio ad eumdem venerabilem Benedictum venit, [4] & magnis precibus ut eis præesse deberet, petiit. Qui diu negando distulit, suis, illorumque Fratrum moribus se convenire non posse prædixit, sed victus quandoque precibus assensum dedit;
cùmque in eodem monasterio regularis vitæ custodiam teneret, nullique ut priùs, per actus illicitos in dexteram lævamque partem deflectere à conversationis itinere liceret: [5] suscepti fratres insane sævientes semetipsos priùs accusare coeperunt, quia hunc sibi præesse poposcerant: [6] quorum scilicet tortitudo in norma ejus rectitudinis offendebat.
Cùmque sibi sub eo conspicerent, illicita non licere, & se dolerent assueta relinquere, durumque esset, quod in mente veteri cogebantur nova meditari, sicut pravis moribus semper gravis est vita bonorum, tractare de ejus aliquid morte conati sunt:
qui inito consilio [7] venenum vino miscuerunt, & [8] cùm vas vitreum, in quo ille pestifer potus habebatur, [9] recumbenti Patri, ex more Monasterii, ad benedicendum fuisset oblatum, Benedictus, extensa manu, signum Crucis edidit, & vas quod longius tenebatur, eodem signo rupit, sicque confractum est, acsi in illo vase mortis [10] pro cruce lapidem dedisset.
Intellexit protinus vir Dei, quia potum mortis habuerat, quod portare non potuit signum vitæ: atque illico surrexit, & [11] vultu placido, mente tranquìlla convocatos Fratres allocutus est, dicens: [12] Misereatur vestri, fratres, omnipotens Deus, quare in me ista facere voluistis? Nunquid non priùs dixi vobis, quia meis, ac vestris moribus non conveniret? [13] Ite, & juxta mores vestros vobis Patrem quærite, quia me posthac habere minimè potestis.
Tunc ad locum dilectæ solitudinis rediit, & solus in superni spectatoris oculis [14] habitavit secum.
… … …

Dal Libro Secondo
dei “DIALOGHI” di PAPA GREGORIO MAGNO

VITA E MIRACOLI
Del Venerabile BENEDETTO

[annotata (nel 1668)
da Angelo della Noce napoletano (1604-1691),
centotrentaseiesimo abate di Montecassino,]

Capitolo III.
Il vaso di vetro infranto dal segno di croce.

[GREGORIO] …
Il suo nome [Benedetto] divenne famoso per l’eccezionale condotta.
Non molto lontano dallo speco [nel quale viveva, presso Subiaco] c’era un Monastero, dove era morto l’abate. Tutti i monaci si recarono dal venerabile Benedetto e lo supplicarono insistentemente perché assumesse il loro governo. Benedetto a lungo rifiutò, affermando che i loro costumi non si sarebbero potuti conformare con i suoi, ma alla fine, vinto, acconsentì alle preghiere.
Allorché in quel monastero egli impose l’osservanza di una vita regolare, e a nessuno, come prima, permise di deviare in alcun modo dallo stile comportamentale con atti illeciti, i confratelli, stolti, cominciarono a accusarsi vicendevolmente dell'eleziome del priore, perché avevano preteso che li presiedesse; insomma, la loro disonestà contrastava con la regola della sua coerenza.
Quando si accorsero che sotto di esso le cose illecite non erano permesse, e di dolevano di lasciare le loro abitudini, essendo loro difficile perché costretti a rivedere il vecchio modo di pensare, siccome ai cattivi costumi è sempre insopportabile la vita dei buoni, cercarono un espediente per dargli la morte.
I frati riuniti in consiglio, mescolarono il veleno con il vino, e quando il vaso di vetro che conteneva quella bevanda mortale fu offerto al Padre inchinato per la benedizione, secondo l’usanza del Monastero, Benedetto con la mano tesa fece un segno di croce, e tale segno ruppe il vaso, che era tenuto distante: si ruppe allo stesso modo che se su quel vaso di morte avesse scagliato una pietra invece che un segno di croce.
Comprese subito l’uomo di Dio che quel vaso conteneva una bevanda di morte, perché non poté resistere al segno della vita; subito quindi si alzò, e con un volto calmo, con una mente tranquilla, si rivolse ai fratelli riuniti, dicendo: “Che Dio Onnipotente abbia pietà di voi, fratelli, perché mai avete voluto farmi queste cose? Non ve l’avevo detto prima, che il mio stile di vita non si addiceva al vostro? Andate e cercate un Priore secondo le vostre maniere, perché d’ora in poi non potete più avere me.”
Tornò quindi nel luogo della sua amata solitudine, e dimorò solo con sé stesso sotto gli occhi dello Spettatore celeste.
… … …

Note del testo latino   [Si avverte che i numeri di nota precedono quanto intendono annotare]
[1] Jam enim discipulos habere coeperat, qui de samcta eius conversatione testimonium dare potuerant; jam miraculis corruscabat.
[2] Ad vicum Varronis (vulgò Vicovaro) in sinistra Anienis ripa inter Sublacum, & Tibur, illud fuisse traditio est, illiusque vestigia adhuc supersunt. Nam sub titulo Ss. Cormae, & Damiani posteà appellatum, …
[3] Vides hîc unius Monasterii Monachos Congregationem appellari, …
[4] Alii Codices ut eis pater esse deberet, petiit.
[5] Et infrà, quos semel suscepit.
[6] Rectum enim est index sui & obliqui, & opposita propè posita, magis apparent. …
[7] Venenum medium nomen esse, & medicamentum, vel bonum, vel malum eo significari putavit Cajius ad leg. 12. Tabul. & Martinius. … Venenum itaque ferè in malam partem sumiturm ut medicamentum in boman. …
[8] Vitrum humor est induratus ex arena, calce, & nitro, vi ignis ante liquatis, sed non qualibet arena. … In vitro bibere olim Monachis usitatum, postea in testaceis cuppis, ut in opusculo de ordine Monasticæ conversationis.
[9] Duplicem benedictionem hinc notandam monet Hæftenus. Alteram generalem, antequàm recumberent, alteram specialem ad panem, & ad primum potum ex opusculo laudato. Quod autem ait, Ex more Monasterii, non illius tantùm accipiendum, sed ex more in Monasteriis recepto, ut observare est in aliis auctoribus.
[10] Et verè lapidem dedit, cùm Cruce Christi, qui lapis est, signavit.
[11] Proprium est heroici pectoris nullis affectibus commoveri.
[12] Unus poculum mortis propinaverat; & omnibus misererur: commune enim delictum agnoverat.
[13] Non imperando, nec consulendo: sed arguendo, quasì diceret, si perversis vestris moribus vobis vivere libet: Similis vestri quærendus est vobis Pater: me enim vestri dissimillimum post hæc habere minimè potestis, incentivum amoris similitudo: fomes odii dissimilitudo, contra quod docebat Empedocles. Vide Arist.[oteles] 8. Ethic.[a]..
[14] Bonis utilis est solitudo …

[Il testo latino è tratto da “ Rerum Italicarum Scriptores”, tomus IV, Ludovicus Antonius Muratorius, Mediolani, ex Typographia Societatis Palatinæ in Regia Curia, MDCCXXIII, p. 192-193]

[2] Anche questo miracolo di San Benedetto è raccontato da San Gregorio Magno al suo discepolo Pietro, nei "Dialogorum" narrandogli "La Vita e i Miracoli del Venerabile Benedetto".
Ecco il testo originale latino ed una mia traduzione.
[testo originale latino] [traduzione]

IN LIBER SECUNDUS
DIALOGORUM” MAGNI GREGORII PAPÆ

VITA, ET MIRACULA
VENERABILIS BENEDICTI

[ab Angelo de Nuce neapolitanus (1604-1691),
abbas Casini centesimus trigesimus sextus,
notis illustrata (1668)]

CAPUT VIII.
De infesto per venenum pane per Corvum longiùs projecto.

[GREGORIUS]…
Cum jam loca eadem in amorem Domini Jesu Christi, longe lateque fervescerent, ac sæcularem vitam multi relinquerent, & sub leni Redemptoris jugo cervicem cordis edomarent: sicut mos pravorum est invidere aliis virtutis bonum, quod ipsi habere non appetunt, [1] vicinæ Ecclesiæ Presbyter, Florentius nomine, hujus nostri Subdiaconi Florentii avus, [2] antiqui hostis malitia percussus, [3] Sancti viri studiis coepit æmulari, ejus quoque conversationi derogare: quosque etiam posset, ab illius visitatione compescere.
Cumque jam se conspiceret ejus provectibus obviare non posse, & conversationis illius opinionem crescere, atque multos ad statum vitæ melioris, ipso quoque opinionis ejus præconio indesinenter vocari, invidiæ facibus, magis, magisque succensus, deterior fiebat: quia conversationis illius habere appetebat laudem, sed habere laudabilem vitam nolebat, qui ejusdem [4] invidiæ tenebris cæcatus ad hoc usque perductus est, ut servo Omnipotentis Domini [5] infectum veneno panem [6] quasi pro benedictione transmitteret.
Quem vir Dei cum gratiarum actione suscepit: sed eum, quæ pestis lateret in pane, non latuit.
Ad horam vero refectionis illius ex vicina silva [7] corvus venire consueverat, & panem de manu ejus accipere, qui cum more solito venisset, panem, quem Presbyter transmiserat, vir Dei ante corvum projecit, eique præcepit, dicens: In nomine Jesu Christi [8] tolle hunc panem, & tali eum in loco projice, ubi a nullo homine possit inveniri.
Tunc corvus aperto ore, expansis alis circa eumdem panem coepit discurrere, atque cracitare, ac si aperte diceret, & obedire se velle, & tamen jussa implere non posse. Cui vir Dei iterum, atque iterum præcipiebat, dicens: Leva, leva securus, atque ibi eum projice, ubi inveniri non possit. Qui diu demoratus, quandoque corvus momordit, levavit, et recessit. Post trium vero horarum spatium abjecto pane rediit, et de manu hominis Dei annonam, quam consueverat, accepit.
Venerabilis autem Pater contra vitam suam inardescere sacerdotis animum videns, [9] illi magis quam sibi doluit.
Sed prædictus Florentius, quia Magistri corpus necare non potuit, se ad exstinguendas Discipulorum animas accendit: …
… … …

Dal Libro Secondo
dei “DIALOGHI” di PAPA GREGORIO MAGNO

VITA E MIRACOLI
Del Venerabile BENEDETTO

[annotata (nel 1668)
da Angelo della Noce napoletano (1604-1691),
centotrentaseiesimo abate di Montecassino,]

Capitolo VIII.
Il pane avvelenato portato via dal corvo.

[GREGORIO]…
Allorché quegli stessi luoghi erano già ampiamente infiammati dall’amore del Signore Gesù Cristo, e molti lasciavano la vita secolare e sotto il dolce giogo del Redentore sottoponevano i desideri del cuore, così come è costume dei malvagi invidiare negli altri il bene della virtù, che essi stessi non desiderano avere, il sacerdote della chiesa vicina, chiamato Florenzio, nonno del nostro suddiacono Florenzio, istigato dalla malizia del vecchio nemico, cominciò a emulare le opere del sant’uomo e a derogare anche dalla sua condotta: elementi che poteva anche controllare con la sua visita.
Quando poi [Florenzio] si accorse che non poteva competere coi suoi progressi, che cresceva l’opinione della sua condotta, che molti erano chiamati a uno stato di vita migliore, e che [Benedetto] era anche continuamente chiamato a manifestare la sua opinione, divenne sempre più infiammato dall’invidia; poiché desiderava essere lodato per tale condotta, ma non intendeva mantenere una vita lodevole, accecato dalle tenebre della stessa invidia, decise di inviare un pane avvelenato al servo di Dio Onnipotente, a mo’ di simbolo di benedizione.
L’uomo di Dio lo accolse ringraziando, ma scoprì il pericolo che si nascondeva nel pane.
All’ora del suo pasto un corvo veniva dalla vicina foresta e prendeva il pane dalla sua mano; venuto come al solito, l’uomo di Dio gettò davanti al corvo il pane avuto dal sacerdote e gli comandò dicendo: “In nome di Gesù Cristo prendi questo pane e gettalo in un luogo nel quale non possa essere trovato da alcuno.”
Allora il corvo, aperta la bocca e spiegate le ali, cominciò a correre attorno allo stesso pane e a gracchiare, come per dire chiaramente che intendeva obbedire, ma non poteva eseguire i suoi ordini. Allora l’uomo di Dio gli comandò insistentemente, dicendo: “Prendilo, prendilo tranquillo e gettalo lì dove non possa essere trovato.” Il corvo dopo aver a lungo indugiato lo prese nel becco, si alzò in volo e andò via. Gettato il pane, tornò dopo tre ore, e ricevette dalla mano dell’uomo di Dio il cibo che era solito prendere.
Il venerabile Padre, tuttavia, vedendo l’animo del sacerdote inasprirsi contro la sua vita, era addolorato più per lui che per sé stesso.
Per contro il predetto Florenzio, non potendo uccidere il corpo del Maestro, tramò per spegnere le anime dei discepoli: …
… … …

Note del testo latino   [Si avverte che i numeri di nota precedono quanto intendono annotare]
[1] … Parocum credamus Florentium, non utique ruralis Ecclesiæ. Loca enim illa per ea tempora penè deserta erant, ut ex contextu liquet: ergo populi Sublacensis Parochus: …
[2] Lauretus , & Haeftenus legunt, percussus,
[3] Æmulatur propriè, qui alterum imitari, illique aequalis esse conatur, … Florentius verò, teste Gregorio, Benedicti laudem quidem appetebat, sed habere laudabilem vitam nolebat. Invidus igitur potiùs, quam æmulator erat. Sed non raro pro eodem usurpantur.
[4] Cæcitas mentis invidia: caligo tamen à splendore reflexa: à pulchritudine nata deformitas strabonem facit. …
[5] Omnium vitiorum pessimum invidia: peperit enim mortem: omnium malorum pessimum. Invidia diaboli mors intravit in orbem terrarum. …
[6] Pro munusculo charitatis; pro eleemosyna, Græcè eulogia. …
[7] Unus fortè fuit ex tribus, qui dein altorem suum Casinum secuti sunt viæ comites. …
[8] Irrident Hæretici, & in fabulis numerant hujusmodi narrationes. Ipsi equiùs irridendi, ac deplorandi, ut qui non sciunt donum Dei, & quàm mirabilis Dominus in sanctis suis. …
[9] Zacharias Græcè. Pro illo magis, quàm pro se ipso Deum precabatur.

[Il testo latino è tratto da “ Rerum Italicarum Scriptores”, tomus IV, Ludovicus Antonius Muratorius, Mediolani, ex Typographia Societatis Palatinæ in Regia Curia, MDCCXXIII, p. 196-203]

[3] Sanesi G. — "La Disfida di Barletta in un poema inedito contemporaneo", in "Archivio Storico per le Province Napoletane" pubblicato a cura della Società di Storia Patria, anno XVII, Fasc. I, pp. 143-185.