il presbiterio

Contenuto

Il Presbiterio dopo l'incendio del 1916

Giuseppe Ceci, (profondo studioso delle arti figurative dell'Italia Meridionale a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento) nella sua relazione su "L’incendio della Cattedrale di Andria", inviata alla "Rassegna Tecnica Pugliese", e redatta il 20 aprile 1916, appena tre giorni dopo tale incendio, introducendo l'articolo scrive:

"Nella notte tra il 17 e il 18 aprile un violento incendio divampò nel presbiterio e nel coro della cattedrale di Andria.
Appiccatosi il fuoco, per cause che saranno accertate dall’inchiesta giudiziaria, ai panneggi dell’apparato per l’esposizione del Santissimo sull’altar maggiore, l’incendio si propagò al soffitto e alla tettoia, ma per l’opera delle autorità e di cittadini volenterosi, favorita dal vento di ponente che respingeva le fiamme verso il coro, queste si arrestarono al grande arco che divide il presbiterio dalla nave trasversa.
... ... ... L’incendio ha in parte distrutto, in parte danneggiato tutte quelle opere che si trovavano nel presbiterio e nel coro. Ne intraprendo l’enumerazione, rimandando alla perizia tecnica, che dovrà compilarsi dopo accurati assaggi, lo stabilire quali danni ha sofferto la costruzione. Sono totalmente distrutte le seguenti opere:
Soffitto del presbiterio ... Quadri su tela del coro ... Coro ... Libri corali ... Trono e coretto episcopale ... Altar maggiore ... Mensola all’angolo orientale del presbiterio ... Balaustra del presbiterio ... Pilastri esterni della cappella di S. Riccardo ... Quadri della cappella di S. Riccardo
[due buchi]".

 l'angelo capialtere di sinistra salvatosi nell'incendio l'altare di Jacopo Colombo, dopo l'incendio del 1916 l'angelo capialtere destro salvatosi nell'incendio
[l'altare maggiore di Jacopo Colombo, andato distrutto nell'incendio]
Per una descrizione delle opere esistenti prima dell'incendio, riportiamo la descrizione del Borsella, che ne parla nel 1845 (oltre settanta anni prima dell'incendio):
Su tutti i divisati altari eminentemente primeggia il Maggiore, a causa delle teste di tre grandiosi Cherubini, che soli costarono ducati mille, collocati con ali spiegate nei due corni, e nel mezzo di esso, le di cui penne possonsi senza difficoltà numerare nella loro spessezza, tanto bene scolpir le seppe l'industre scalpello. I loro volti gravi e maestosi, abbelliti di ricciuti capelli senza dubbio eccitano maraviglia. Dai fianchi del Cherubino di mezzo svolgonsi due vaghi festoni di marmo bianco, che s'intreccian tra loro, dai quali sorton fuori spiche di grano, frutta, e grappoli d'uva, simboli dell' incruento sacrificio.
In tutto il resto adorno dei più fini marmi, che formano li più graziosi rabeschi a varii colori. È ammirabile il paliotto di prezioso basalto, con rabeschi variopinti artificiosamente contorti, che terminano con fiori, e frutta. Opera dell'immortale scalpello del Cavaliere Napoletano Iacopo Colombo.”
[Si notino nella foto sui laterali del paliotto i due stemmi con l'aquila, emblema di Andrea Ariano, vescovo dal 1697 al 1706]
“(Per ciò che si attiene alla vita del Colombo [1663-1730], accenneremo, che nella sua origine era intagliatore, e per la stretta amicizia che si ebbe con Francesco Solimene, Pittore rinomato, animossi a prendere lezione di disegno, onde riuscì egregio scultore. Nicola Antonio Brudaglio, nostro concittadino stando in Napoli fu discepolo del Colombo, onde divenne chiaro statuario, e i di lui lavori vennero ricercati dalla Repubblica di Venezia ed altre opere trovansi in Rimini. ...)”
veduta parziale del presbiterio dopo l'incendio del 1916
[veduta panoramica del presbiterio dopo l'incendio del 1916- (elaborazione elettronica)]
“Sorge questo magnifico altare su ampio presbitero marmoreo, montato a quattro spaziosi gradini. Vien recinto il presbitero da estesa balaustra, con pilastrini di scelto marmo, intarsiati di rosso, tramezzato da uscio a due valve lavorato di solide lastre scorniciate di ottone vagamente traforate con nastri dello stesso modello. Sicché l'occhio ne rimane ben pago e sodisfatto.
elementi d'ottone dei cancelli dell'antica balaustra del presbiterio
[elementi della balautra presbiteriale: colonnine e cancelletto]
Questa balaustrata fu fatta a spese del Vescovo Giambattista Bolognese, come attestano gli stemmi gentilizii apposti a destra, e a sinistra dell'entrata, poggiante sopra tre gradini di breccia.” [1]
“ A fianco sopra quattro gradini del medesimo marmo paesano, si alza splendido il trono Episcopale, dorato profusamente ad oro pretto, fissato sotto dell'Ampio Coretto del Vescovo a modo di Baldacchino, fregiato egualmente di oro, con due Serafini seduti ai lati, egregiamente architettato con eleganti rabeschi in cima, e fiori, terminante con fiocchi. Si osserva nel mezzo una grande impresa, che consiste in braccio fra le di cui dita si stringe un anello. Sotto lo stesso risplende il divino Amore. Vien fiancheggiato da due pilastri forniti di basi e capitelli, sopra de' quali seggono due grandi Cherubini con ali aperte. La sedia del Vescovo a grande spalliera, e a bracciuoli sta nel mezzo, artificiosamente lavorata, avendo in cima concava lucida chiocciola, e la testa di vago Angioletto e altri fregi che lateralmente l'adornano, consistenti in festoni sparsi di rose, con grappoli di uva. Quest'opera stupenda di bella Architettura venne eseguita da Tommaso Porziotta, nostro concittadino a spese del vescovo Domenico Anelli Andriese, che da Acerra in Principato citra ottenne da Benedetto XIV di f. m. la traslocazione in questa sede, avendone preso possesso in Luglio del 1743. ... ”
“ ... Rimpetto all'enunciato trono è fissato ampio abaco di marmo, in cornu epistolae, a guisa di altare, con ispalliera e gradini superiori, ornato lateralmente da due teste di Cherubini alati; la di cui mensa è svariatamente rabescata a marmi di varii colori, nella guisa stessa dell'altare maggiore. È sostenuta la mensa da tre cornicioni di marmo bellamente scorniciati, e scanalati. Sull'apice è sita la impresa del Capitolo di marmo statuario.
... ”
l'abside ai primi del Novecento
“ Non meno stupore desta il coro di nobilissima noce a due ordini con sessantuno stalli stando in mezzo la sedia, o tribuna del Vescovo, sporta dal muro e dalla linea dei fedeli facendo la figura d'un baldacchino. In esso la materia vien di gran lunga vinta dal lavoro per le sue molteplici capricciose fantasie di fini intagli che il rabbellano. Questo monumento cotanto illustre fece costruire Ascanio Cassiano, venerabile vescovo di questa Città nel XVII secolo con troppe sue migliaia, a piè di cui leggesi, «Magister Infante Scipio a Balineo (Bagnuoli) in principato ultra faciebat» e nell'opposto lato l'epoca del 1650. ... La cresta di questo Coro, a forma di parallelogramma, eretta sopra spaziosa cornice, presenta figure di scimmie, sostenenti lo stemma del Vescovo; che mette in campo tre colline, con rosa e stella in cima. E cosí sussiegue mano mano fra due teste di fiori eretti sopra i piedistalli riquadri a tal cresta, alta palmi due e mezzo circa, abbellita di dentellate cornici, soggiace una gran fascia staccata dal muro, della stessa dimensione della cresta, nella quale alternativamente si vede sculta la suddetta impresa del vescovo, e la testa alata di un angioletto per tutta la estensione. Sussieguono gli stalli ognuno dei quali ha un parallellogramma liscio alle spalle con colonnette striate ai fianchi, fornite di piedistalli e capitelli Corintii e di bracciuoli. I parallellogrammi hanno le loro cornici. Sopra la base di ogni bracciuolo elevasi doppia cornice ricurva con in punta la testa d'un putto, ed in testa dei parallellogrammi uno scudo contornato da elaborate cornici. Nella gran fascia che ricinge questo prim'ordine di sedili, sorgono Genii, che suonano strumenti da corda e da fiato, leoni, draghi capricciosi, teste di orribili serpi e di quanto in quanto il riferito stemma del Vescovo, e cappelli prelatizii, struzzi con lunghe canne, teste di fiori, trofei, fiori conserti a piramide, pesci, uccelli, aquile grifagne, lupi, centauri e sotto taluni teste di aspri serpenti. Inoltre dei puttini intenti a sradicar la lingua ad Orsi, con altri cavalcati stranamente sul collo lungo lungo di qualche Drago. Altra fascia estendesi alle spalle della seconda fila di sedili ventisei, lavorata conforme alla prima, con figure di grifoni, puttini a cavalcione di leoni, rinoceronti trattenuti per corno; Ercoli clavigeri, uno dei quali strangola un leone, stelle, fiori, uccelli, fangiulli lattanti, ippocentaurii, con alti cappelli vescovili, e puttini che suonano tibie, cetre, non senza qualche maschera tragica. Si osservi che avanti la tribuna del Vescovo vi è il suo leggio e genuflessorio.
Susseguono altri scanni anche di noce, fatti costruire da Monsignor Cosenza, forniti di spalliere, a comodo dei Diaconi e Suddiaconi e seminaristi, per cui è fissato un quarto ordine di scanni semplici anche di noce. Non è quindi a stupirsi se rendesi tanto ragguardevole questo coro, che finisce con due grandi spalliere fissate a destra, e sinistra, che danno adito agli Stalli, in cui è incisa la testa di orribile drago, con bocca spalancata, che sorge dallo sbuccio di un giglio rabescato. Quanto alle due entrate veggonsi impresse nel muro le imprese del capitolo e dirimpetto quella di Monsignor Franceschini, che mette in veduta tre colli con altrettante stelle codute, e corona in cima; in memoria di aver fatto edificare il vano del ridetto coro dietro l'altare maggiore. Alla sedia del Vescovo sovrasta non solo lo stemma del ridetto Cassiano a di cui spese
odeum constructum fuit, come leggesi nelle antiche carte; ma il ritratto pure di Monsignor Ferrante, a motivo di aver fatti ornare di stucchi, lunette la volta ed i muri del coro e di marmorio lastrico il presbiterio ...
L’arco della sublime volta di questo coro, nel cui apice è scritto a caratteri cubitali in uno scudo sostenuto da due Serafini:
Si vis cum Maria ad coelum ascendere descende, poggia su due altre colonne, nei di cui zoccoli di marmo splende un Cappello, con bandiera nei merli, impresa di Monsignor Palica che occupò questa sede per anni 17 avendone preso possesso nel I. Maggio 1773 ... ”
“ ... Dipinti. Il coro ne ha tre grandiosi. In uno mirasi Davide che coll’arpa precede l’arca del Signore. Questa cerchiasi dal popolo affollato, trammisto di cori plaudenti e di Ebree ebri festanti con timpani e sistri e i figli di Abinadab Oza, ed Ahio. Si vede miseramente giacere a terra l'infelice Oza morto vicino alla ruota del carro per avere stesa la mano sull’Arca. Nel quadro opposto Aronne rivestito delle Infule, e del efod, sagrificare un ariete sopra grande altare suffuso d’incenso, ed Israello che venerabondo gli si affolla intorno. E nel terzo è affisso nel mezzo della cupola la stessa Israelitica gente devota e prostrata avanti il Vitello d’Oro; ed Aronne insignito pontificalmente, obbligato ad offrirgli olocausto ad una turba di vecchi, di fanciulli, di donne con lattanti, sbucanti, da diversi lontani padiglioni concorrere ad adorare l’aureo idolo. Poco lungi il Serpente di bronzo, posto sublime nel deserto, come amuleto contro i micidiali morsi degli angui che affliggeva Israele, per avere parlato con poco rispetto e contro il Signor, e contro Mosè. Onde a liberarne lo fa d’uopo che Dio imposto avesse al suo fido condottiere. «Fac serpentem venenum et pone eum pro signo. Qui percussus aspexerit eum vivet» Num. 218. Ed in fondo in fondo il Sinai, di fumo e di fiamme convolto, con sopra Mosè avente dall’Icora le tavole della legge. La naturalezza delle persone lo splendido decoro degl’ornamenti le attitudini più che congrue, la proprietà dei vestiti, la freschezza delle tinte, i chiaroscuri, la perfezione insomma tutta loro di questi tre quadri senza parlare dei punti di prospettiva è tanta. ... Sono essi opera pregevolissima di Nicola Porta.”

[tratto da "Andria sacra", di Giacinto Borsella, tip. F. Rossignoli, Andria, 1918, pagg. 55-58].

L'immagine a sinistra  (con un fotomontaggio di due antiche riprese) mostra il quadro sulla parete sinistra (in cornu evangelii), che rappresentava Davide con l'arpa davanti all'Arca Santa, e (con molta fantasia) quello della volta, nel quale era raffigurato il vitello d'oro adorato dagli ebrei; fuori dall'angolazione di ripresa di questa immagine c'era il quadro affisso a destra (in cornu epistolae): Aronne che sacrifica un ariete. Sulla parete di fondo si vede nella foto l'ovale che conteneva la tela col ritratto di Mons. Ferrante, perché alla sua morte col denaro proveniente dal suo "spoglio" il Capitolo Cattedrale fece realizzare questi dal pittore Nicola Porta [2].


Pregevoli erano gli antifonari risalenti al XV secolo, andati distrutti nel suddetto rogo del 1916.
Giuseppe Ceci nella su citata relazione riporta la descrizione che di tali libri corali ne fa il prof. Francesco Carabellese, (ne "I manoscritti delle Biblioteche di Bitonto, Terlizzi, Trani, Andria, Barletta, Canosa, Bisceglie, Ruvo", ed. Bordandini, Forlì, 1896):

lettera P dell'antifonario di Monte Morcino(PG), riportata come esempio
[lettera P dell'antifonario di Monte Morcino(PG), riportata qui come splendido esempio]
«I. Antifonario graduale.
Membranaceo in fol. di carte 220, modernamente numerate, mutilo in principio ed in fine forse di più carte, in scrittura gotica calligrafica, con lettere iniziali di varia grandezza, miniate o semplicemente colorate in rosso o azzurro con qualche carta interpolata come la carta 8.
È assai poco conservato per l’umido, specie d’aceto, di cui pare abbia subito un bagno a tempo della peste, onde l’aceto combinandosi con gli elementi metallici dell’inchiostro o dei colori ha prodotto qua e là corruzione della scrittura.
Appartiene al secolo XV. Il P [iniziale del graduale Puer natus est] a carte 38 è in grande su fondo azzurro; nel corpo è riprodotta in oro e colori la Natività, la Vergine con S. Giuseppe che adorano il Bambino, in fondo all’alcova due animali e bella prospettiva.
Il fregio esterno splendidissimo della stessa iniziale si estende a rettangolo per i quattro margini della pagina con quadretti che li interrompono di quando in quando, rappresentanti animali (cervo, pavone), angeli e figure umane, con ornamentazioni d’animali e vegetali (foglie e fiori su per gli steli) in mezzo a cui sono profuse bacchine auree. Ma si trova in stato di conservazione deplorevole.
A carta 40 nell'E [iniziale dell'introito Ecce advenit dominator Dominus] è rappresentata l’Epifania, miniatura assai bella e ricca di figure con molto oro ed i soliti fregi splendidissimi per tutto il margine; assai belli i visi della Vergine e di S. Giuseppe, e bello lo sfondo del Presepe: è miniatura molto rovinata e restaurata in modo peggiore.
II. Antifonario graduale (sèguito dell’altro).
Membranaceo in foglio di carte 124, non numerate, mutilo in fine, del resto simile al precedente.
Appartiene anch’esso alla seconda metà del secolo XV o alla prima metà del seguente: malissimo conservato.
A carta 3 l’iniziale è stata grossolanamente aggiunta da mano posteriore; dell’antica lettera si scorge un frammento soltanto, come della miniatura si vede solo la parte inferiore, cioè i Giudei caduti atterriti sulla tomba di Cristo sollevato in aria, di cui si vedono le gambe; qualche frammento ci è rimasto del ricco fregio marginale di solida fattura e stile del rinascimento. A c. 30, come a c. 46 ed altrove la lettera con la miniatura è stata asportata via; rimane però quasi intatto fregio marginale ricchissimo e bellissimo con quadretti intercalati nelle ornamentazioni di foglie, fiori, animali (bove, mostro alato) ed angeli.
III. Altro antifonario.
Membranaceo del secolo XV, mutilo in principio ed in fine, di carte 150 circa, numerate modernamente, in folio, con rilegatura posteriore, con carte di guardia, restaurato ed un po’ meglio conservato degli altri due. Qualche carta è interpolata. Le iniziali sono semplicemente colorate in azzurro e in rosso con fregi a colori.
»

Nell'immagine a destra è riprodotta la lettera "P", iniziale del graduale "Puer natus est"; la lettera contiene una miniatura e proviene da un libro corale, un tempo in dotazione al Convento di Santa Maria a Monte Morcino (PG). L'immagine è stata ripresa da "I corali di Monte Morcino a Monte Oliveto Maggiore", pubblicato da www.mirabileweb.it.
Evidentemente vuol essere solo un esempio, in quanto già dalla sola descrizione che abbiamo della lettera "P" che era dipinta nell'antifonario della nostra Cattedrale si rilevano delle differenze:
- nella miniatura dell'antifonario di Monte Morcino dietro la Sacra Famiglia sono dipinti tre angeli e, appena visibili, il bue e l'asino nella mangiatoia a destra; nella miniatura del corale della nostra Cattedrale, invece, dietro i tre personaggi sacri c'erano solo i due animali.
- nella miniatura dell'antifonario di Monte Morcino la "P" prosegue con uno stelo floreale, mentre nella miniatura dell'antifonario della nostra Cattedrale c'erano "animali (cervo, pavone), angeli e figure umane, con ornamentazioni d’animali e vegetali (foglie e fiori su per gli steli) in mezzo a cui sono profuse bacchine auree".

lettera E dell'introito alla messa dell'Epifania, da un manoscritto del se.XV
[lettera E di un manoscritto lombardo del sec.XV, riportato qui come esempio]

A sinistra si riproduce un esempio di miniatura della lettera "E" dello stesso secolo (XV) di quella che era dipinta nell'antifonario della nostra Cattedrale; essa proviene da un manoscritto lombardo riprodotto da "Free Library of Philadelphia Lewis E M". Anche per questa miniatura, simile nei personaggi rappresentati alla nostra, appaiono comunque molte differenze nei fregi che, qui limitati sulla sinistra, nella nostra, invece, coronavano tutto il margine intorno al testo.

leggi il seguito nell'altra pagina

NOTE

[1] L'Agresti elencando i Fondi destinati alle spese del Culto in Cattedrale (fondi che formavano la Fabriceria) annota:
Mons. Giov. Battista Bolognese nel 1827 donava al Capitolo un capitale di ducati 5oo, che vantava ed ipotecava sopra i beni del Sig. Vincenzo Vespa fu Diego, offrendo l’annua rendita netta di ducati 36. Da questa rendita disponeva, che si prelevassero ducati 6 annui per la polizia settimanale della balaustra (Perché questa somma, ora, non viene più erogata allo scopo, voluto dal donatore?), che chiude il presbiterio, [fatta costruire dal medesimo Vescovo], e ducati 3o per la celebrazione di messe N. 5o in altari privilegiati, oltre ad una messa solenne nel dì anniversario di sua morte.

[tratto da " Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.I, cap. XVIII, pag. 434].

[2] L'Agresti parlando di mons. Ferrante scrive:
"Nello spoglio delle carte, fatto dopo la sua morte, fu rinvenuto un lungo carteggio, dal quale rilevavasi la prossima sua promozione al Cardinalato, per la quale fu rinvenuto, nel suo scrigno, un buon gruzzolo di quattrini, chiuso in una grossa busta, sulla quale era scritto di suo pugno: denaro da spedirsi per la Porpora. Vigendo allora la legge, che le Chiese Cattedrali ereditavano tutto il denaro, che trovavasi nello spoglio dei Vescovi defunti, il Capitolo, benché tanto da Lui travagliato, pure, a testimoniargli la sua devozione, spese tutto quel denaro a beneficio del Duomo, facendolo adornare di stucchi. Con quel medesimo denaro fece decorare il Coro di tre pregevoli quadri, situando, in cima allo stallo del Vescovo, il ritratto ad olio di Mons. Ferrante, che tuttora si ammira. ..."

[tratto da " Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi", di Michele Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, vol.I, cap. XIV, pagg. 332-333].