La formazione della città murata

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Andria

Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento


La formazione della città murata

Ing. Riccardo Ruotolo


L’interrogativo che gli storici locali si sono sempre posto in merito alle mura di Andria è duplice: quando la città fu murata? Il circuito murario è rimasto sempre lo stesso? Per il primo quesito esiste una risposta valida, invece per il secondo è difficile trovare documenti inequivocabili che possano dare una risposta ben precisa, per cui, per esso, si possono fare solo delle ipotesi, a volte sostenute dall’urbanistica intesa soltanto come disegno degli isolati e delle strade della città.

Riguardo il primo interrogativo ci viene incontro la storia, come raccontata dal poeta e storico Guglielmo Apuliensis (15) che nella sua opera scritta alla fine del secolo XI - libro II , pag. 1, n. 103, riferendosi a Pietro 1° il normanno al quale, a seguito degli accordi intervenuti nel Congresso normanno di Melfi, fu assegnata la Contea di Trani, così si esprime:

Edidit hic Andrum, fabricavit et inde Coretum.
Bruxilias, Barulum maris aedificavit in oris.

Questo racconto di Guglielmo il pugliese, di cui si parlerà più diffusamente successivamente, fu ripreso dal Prevosto don Giovanni Pastore nel suo manoscritto redatto nell’ultimo decennio del Settecento.

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Prima di approfondire l’argomento proposto dal titolo di questo capitolo, poiché si è parlato di Pietro I il normanno, ritengo utile spendere qualche parola su chi erano i Normanni che dal Nord vennero fin nell’Italia meridionale a conquistare terre, atteso che nel prosieguo si parlerà di diversi guerrieri e conti di questo popolo che sono nella storia della Puglia, e di Andria, Barletta e Trani in particolare, per tutto l’Undicesimo secolo.

Nella prima metà del secolo Undicesimo l’Impero bizantino, anche chiamato Impero Romano d’Oriente, cominciò a trovarsi in grande difficoltà perché doveva fronteggiare a Nord le rivolte dei principi di Germania, a Sud le rivolte dei turchi sunniti e degli arabi dell’Asia minore e del Medio-Oriente, ad Ovest le mire del papato di Roma che voleva riprendere i suoi antichi territori. In questo scenario di difficoltà dell’Impero si inserirono i Normanni.

I Normanni erano originari della Scandinavia e della Danimarca, popolo Vichingo di navigatori e guerrieri che alla fine del primo millennio si stanziò in una regione a Nord della Francia che, da allora, si chiamò Normandia. Gli aristocratici di questo popolo si vantavano di essere discendenti del Dio vichingo Odino.

Guglielmo il conquistatore, duca di Normandia, fu il capostipite della dinastia normanna che conquistò l’Inghilterra nella seconda metà dell’Undicesimo secolo, mentre l’aristocratica famiglia normanna degli Altavilla, nello stesso periodo, considerate le difficoltà dell’Impero d’Oriente, conquistò l’Italia meridionale strappandola ai bizantini.

Tancredi, capostipite degli Altavilla, ebbe due mogli: Muriella e Fresenda. Dalla prima moglie ebbe quattro figli: Guglielmo detto Braccio di Ferro che fu il primo conte di Puglia (1042-1046), Dragone che fu il secondo conte di Puglia (1046-1051), Umfredo terzo conte di Puglia (1051-1057) e poi Goffredo; dalla seconda moglie Fresenda ebbe tre figli: Roberto detto il Guiscardo, che fu il quarto conte di Puglia (1057-1059) e primo duca di Puglia dal 1059 al 1085, Guglielmo e Ruggero I che fu il primo conte di Sicilia.

Nell’anno 1042 i conquistatori normanni si riunirono in congresso a Melfi, che fu la prima contea normanna nell’Italia meridionale, e stabilirono come spartirsi l’intero meridione d’Italia, in parte già conquistato ma in massima parte ancora da strappare ai bizantini. Si stabilì di assegnare a Pietro la città di Trani e il suo entroterra, anche se ancora in mano ai bizantini. Pietro era figlio di Amico, il capostipite di una famiglia aristocratica normanna imparentata con gli Altavilla, e fu conte di Trani dal 1043 al 1062; a lui, nella contea di Trani, succedettero i suoi figli, prima Goffredo e poi Pietro II.

Per le città di Barletta, Andria, Corato e Bisceglie, i due versi di Guglielmo il Pugliese si riferiscono alle loro fortificazioni che, pertanto, sono storicamente attestate. La causa che produsse tale intervento strutturale fu la necessità di poter conquistare la città di Trani a tutti i costi, avendo alle spalle strutture idonee a fornire uomini e ad essere nello stesso tempo protette.

Evidentemente fu facile per il conte Pietro I cingere di mura i villaggi più cospicui dell’entroterra di Trani perché gli stessi non erano occupati e difesi dai Saraceni come invece lo era Trani perché questa città era l’unico porto pugliese importante sull’Adriatico a Nord di Bari.

Pietro, diventato conte di Trani, subito assediò la città, ma il tentativo di strapparla ai Saraceni fallì; quindi, si accampò nell’entroterra ed attuò il piano strutturale innanzi menzionato le cui fasi essenziali furono:

- cingere di mura i quattro cospicui villaggi di Barletta, Andria, Corato e Bisceglie creando una cintura difensiva nell’entroterra di Trani;

- realizzare circuiti murari abbastanza grandi laddove il territorio presentava una esuberanza di loci, vichi e casali;

- far affluire nel circuito murario più grande, quello che cingeva Andria, il maggior numero di persone provenienti dagli insediamenti della campagna (Andria, come si è già riferito e si preciserà in seguito, aveva nel suo territorio molti insediamenti rurali), offrendo loro la massima protezione dalle scorribande dei ladroni e dei soldati.

Questo piano avrebbe permesso al conte Pietro I sia di poter contare su un esercito composto da molti uomini disponibili al combattimento per i favori di protezione ricevuti sia di accerchiare Trani da tutto l’arco dell’entroterra lasciando ai Bizantini solo la via di fuga del mare che poteva essere facilmente controllata. Così Andria fu cinta con un circuito murario abbastanza esteso che, nell’arco di poco più di mezzo secolo, si riempì di abitazioni per il considerevole afflusso delle popolazioni dai numerosi villaggi del suo esteso territorio.

La conquista normanna della Puglia fu un’operazione né semplice né veloce, ma durò parecchi decenni e certamente la realizzazione del ramificato sistema strutturale-insediativo territoriale fortificato messo in atto dal Conte Pietro I contribuì a strappare ai bizantini il territorio Nord barese.

Per un approfondimento di quanto prima detto, si possono consultare i saggi degli storici Raffaele Jorio “Ermanno di Canne contro Roberto il Guiscardo” in atti del Convegno internazionale di studi (Potenza – Melfi – Venosa, ottobre 1985) e Cosimo Damiano Fonseca “Studi su Canne e su Barletta” in quaderni di Baruli, 2011.

Il conte Pietro conosceva bene il potere e l’abilità che molti condottieri normanni avevano e, forse, temeva che proprio dall’interno della famiglia degli Altavilla potessero venire i dispiaceri e le usurpazioni, per cui, avere oltre a Trani un’altra città fortificata con la disponibilità di molti uomini, poteva rappresentare una strategia valida per la sopravvivenza sua e della sua famiglia.

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In riferimento a quanto hanno riportato gli storici locali, prima del Prevosto Pastore si dovrà considerare l’opera di un altro illustre andriese: Ferdinando Fellecchia (16), Medico di rinomanza, e Poeta (come lo definisce il Canonico Riccardo D’Urso (17) nella sua Storia della città di Andria”- pag. 196), che nell’anno 1685 diede alle stampe una sua opera in versi che parla della storia di S. Riccardo, da lui scritta dopo che sorpreso da un morbo letalissimo ne fu immediatamente libero mercè un voto fatto al nostro Protettore S. Riccardo, come riporta il D’Urso. Pertanto, dopo Guglielmo Apulensis, è il Fellecchia a raccontare delle mura della nostra città.

Se consideriamo che quanto narrato dal Fellecchia è stato scritto oltre un secolo prima della storia del Prevosto Pastore, possiamo senza dubbio affermare che il secondo, conoscendo l’opera del primo, abbia semplicemente ampliato e approfondito la storia della formazione della città murata.

L’opera del Fellecchia è del tipo Poema sacro e il suo titolo è “La vita del gloriosissimo S. Riccardo primo Vescovo, e Padrone d’Andria”; essa è suddivisa in canti scritti in esametri.

Nella terza strofa del sesto canto il suddetto autore, a proposito del sito di Andria, così si esprime:

In piano, e ameno sito erge il suo letto;
E in forma oval giace la sua figura;
S’estende a un miglio sol la sua misura.

La forma e l’estensione della cinta muraria descritte dal Fellecchia sono quelle riportate poi dal Pastore.

A proposito delle mura, così continua:

D’intorno s’alza un muro forte eretto,
Fortificato ancor cò l’antemura;
Che segni son de la città pur veri,
Che di guerre soffrì gli assalti fieri.

In questi versi c’è la conferma di quanto disegnato nella Locazione d’Andria dal compassatore Michele (18), e cioè che la città oltre alle mura aveva l’antemura come rinforzo di difesa: questa era costituita da un fossato e da un’altra cinta muraria, meno alta, avente aperture in corrispondenza delle Porte delle grandi mura, il tutto come raffigurato nella Locazione d’Andria di cui si parlerà alla fine di questo lavoro.


Raffigurazione della città di Andria nella tavola della “Locatione d’Andria” dell’Atlante Michele

Per quanto riguarda il numero delle porte e la loro ubicazione, il Fellecchia nella quarta strofa dello stesso sesto canto scrive:

Numer perfetto ancor contien di Porte,
Ch’una guarda vers’Austro, e vien chiamata
Del Castello, perché munita, e forte
Vicina ad un Castel fu fabricata.
Già ludibrio del Tempo, e de la sorte
Fatta la Rocca appena in piè restata;
Ivi ad onta del Vecchio ingordo, e infame
Si trita il grano sol per l’altrui fame.

In questi versi, in modo chiaro, il Fellecchia afferma che la città aveva un numero perfetto di Porte: cioè tre (Porta Castello, Porta la Barra e Posta Sant’Andrea) e che il Castello era stato costruito accanto alla Porta chiamata appunto del Castello, Castello o rocca di cui, alla sua quell’epoca, restava in piedi solo il basamento.

Interessante la stilettata che il Fellecchia invia al Carafa (19), Duca di Andria, chiamandolo Vecchio ingordo e infame perché all’inizio del Seicento Antonio Carafa, Conte di Ruvo e Duca di Andria dal 1590 al 1621, procedette alla soppressione dei mulini privati e trasformò sia l’antico torrione ancora in piedi del Castello sia le fabbriche alla sua sinistra in mulini del Duca a cui tutti i cittadini dovevano rivolgersi per comprare la farina pagando la gabella. Il Conte-Duca Antonio Carafa fece questa operazione per tutte le sue terre, Ruvo ed Andria in prima fila, e su questo sopruso si scagliò anche nel secolo successivo lo storico e alto Magistrato del Governo Borbonico Giovanni Jatta (20) che nella sua opera apostrofa il Carafa di abuso e gravezza.

L’atto notarile di soppressione dei molini privati e dell’accentramento delle operazioni di macinare il grano e produrre farina nelle mani del Conte-Duca Carafa fu redatto il 15 settembre 1615 in Bisceglie.

Lo storico saggista e architetto Vincenzo Zito (21) ha interpretato gli aggettivi Vecchio, ingordo e infame del poema del Fellecchia come epiteti riferiti al tempo; credo che non sia così perché il verso è preceduto da un punto e virgola che lo stacca dal concetto espresso precedentemente sul tempo definito ludibrio. Una trattazione completa ed esaustiva dell’argomento è riportata da Sabino Di Tommaso (22) nel suo pregevole sito web “Andriarte”.

Tornando ai due esametri di Guglielmo Apulensis, e precisamente alle parole Aedidit hic Andrum, lo storico Michele Agresti, dà fede alla notizia riportata dal Pastore che a sua volta, come prima detto, la prende da Guglielmo il Pugliese, e dice che Aedidit o Edidit non vuol dire fondare, né edificare, ma svelare, ordinare, dare alla luce, cioè l’edicere suona, illustrare, adornare, fortificare una città; l’opinione di tutti gli storici locali che si sono poi succeduti, considera giusta questa interpretazione della parola Aedidit.

Andria possiede un territorio molto vasto, il doppio di quello di Corato e il triplo di quelli di Barletta, Bisceglie, Trani, e i Borghi, Vichi, Casali e Villaggi in esso esistenti erano numerosissimi rispetto a quelli delle altre tre città limitrofe: per questa ragione, il circuito murario di Andria dovette essere molto più esteso di quelli delle altre suddette città per poter dare accoglienza alle genti che vivevano in campagna.

Certamente, oltre al Villaggio più grande chiamato Andre, il circuito murario inglobò i borghi e casali denominati Casalino, Sant’Andrea, Katacama (nella zona del 1° vicolo S. Chiara), San Ciriaco, San Simeone (i cui abitanti si erano trasferiti dalla campagna a ridosso delle Murge basse di Montegrosso nella zona di via De Excelsis – Ponte Giulio) e la zona delle Grotte di Sant’Andrea idonea ad essere abitata.

Il D’Urso a pagina 47 della sua opera così scrive a proposito dell’Aedidit e della costruzione delle mura da parte del Conte Pietro: Fece costruire una barricata inespugnabile di mura, ed ante-mura di solida pietra: contenendo a date distanze dieci torrioni.

Anche il prof. Pasquale Barbangelo (23) nella sua interessante opera storica “Andria nel Medioevo, da Locus romano-longobardo a Contea normanna”, accoglie in pieno questa interpretazione del termine Aedidit di Guglielmo Apulensis e afferma che con l’edificazione delle mura da parte di Pietro il normanno: Andre da «villa» divenne castrum/civitas e si accrebbe della popolazione dei «loci» viciniori, così la città si mise al riparo dalle scorribande e saccheggi perpetrati da soldati e ladroni.

Pietro quindi, per consolidare il territorio di spettanza della città di Trani ma al di fuori di essa, territorio in cui si era insediato per attendere il momento della conquista di Trani, pensò di fortificare i villaggi intorno e vicini a Trani in modo da poter contare, nel bisogno, su una grande quantità di uomini. Però gli abitanti dei Casali, Borghi, e Vichi erano essenzialmente contadini e non certo addestrati ai combattimenti, pertanto, ritengo che il disegno della città murata di Andria voluta da Pietro avesse anche altre prospettive.

Riprendendo il racconto del Pastore, si legge: Postosi Pietro in possesso della Contea di Trani, … … li surse in capo il disegno di render la sua Contea distinta, e cospicua più che ognaltra de’ rimanenti Conti; quindi pose mano ad ampliare l’estensione de’ quattro principali Villaggi, e renderli in forma, e grandezza di città grandi. Il primo disegno cominciò a praticarlo nel Villaggio di Andria. Circondò questo luogo di mura, e d’antemurali nell’estensione d’un miglio in fora circolare; racchiuse in esse abitazioni, che lo formavano colla Torre (era ed è il primo ordine dell’attuale campanile della Chiesa Cattedrale), e coll’antico Tempio che l’era accanto (o era una Chiesetta vicino al campanile se la parola accanto significa vicino, oppure, era l’attuale Cripta della Cattedrale nella sua primitiva estensione, più piccola dell’attuale). Dispose le strade per ricettarvi li popoli raunati da quei borghi, vichi, e piccioli casali, che ivan sparsi nello spazio del territorio intorno. Aprì quattro porte d’intorno a queste nuove mura per l’ingresso in città (Porta del Castello, Porta S. Andrea, Porta la Barra, Porta Santa). E fabricò un Castello nella parte più alta del colle, attaccato alle predette mura per custodia ed abitazione dei suoi militari (era il bastione di Porta Castello, molto più grande degli altri realizzati lungo il percorso delle mura, la cui superficie, ricavata dalla Pianta Topografica di Mons. Ferrante di cui si dirà in appresso, era di circa 1250 mq.). Terminata in tal forma l’ampiezza di Andria, cominciò parimenti a popolarsi dal concorso delle Genti, che lasciando in abbandono li Borghi, e Vichi, tutti a collocarsi, e ricettarsi vennero in essa: ed ognuno fabricossi la propria abitazione, ordinata, e disposta nelle disegnate strade, che Rue l’appellarono (siamo nel periodo Normanno e questo popolo proveniva dalla Francia), edificando in capo, o nel mezzo di esse alcuni piccoli Tempi, dedicati a quelli Santi di cui portavano il nome li predetti Borghi e Casali.

Come già detto, il disegno del Conte Pietro si configura quindi come un progetto di ristrutturazione urbanistica e fortificazione lungimirante: cingere di mura il villaggio più grande (quello chiamato Andre), inglobando sia i casali e borghi circostanti dal Casalino a quello di S. Andrea, e contenere al suo interno ampi spazi vuoti per permettere alle popolazioni dei molti Villaggi, Borghi e Vichi presenti nel territorio di trovare all’interno della cinta muraria spazi sufficienti a costruire le loro case, al sicuro dai predoni e dalle scorribande dei soldati. Allo stesso tempo Conte Pietro mirava a garantirsi una sufficiente popolazione a lui riconoscente e fedele, nella prospettiva sia di potersi abilmente difendere in caso di attacco dai nemici che, tra l’altro, non mancavano nello stesso popolo Normanno sia di poter conquistare la città di Trani.

Questo, a mio parere, fu il disegno urbanistico adottato da Pietro I per il grande Villaggio di Andria. Pietro I, detto Pietrone e/o Petrone per la sua costituzione robusta, era consapevole dell’importanza che aveva Trani sulla costa adriatica e, di conseguenza, dell’appetito dei conquistatori normanni più potenti che potevano strappargli la sua supremazia sulla città di Trani. Egli fu acerrimo ribelle nei confronti di Roberto il Guiscardo (24) a cui, però, dovette sottomettersi dopo essere stato da questi sconfitto presso Andria nel 1057.

Pietrone morì il 1063. Gli successe prima il figlio Goffredo, e dopo il figlio Pietro II detto Pietrino (per distinguerlo dal padre) che favorì molto il trasferimento degli abitanti del territorio nella città murata di Andre, considerato gli ampi spazi disponibili al suo interno.

A Trani i Normanni si stanziarono definitivamente con Roberto il Guiscardo soltanto nel 1073, dopo aver vinto ogni resistenza saracena, e avere già esautorato il conte Pietro II; così, l’ultima resistenza della famiglia dei de Amico fu debellata e il conte Pietro II fece di Andria la sua dimora stabile.

Narra il Prevosto Pastore a proposito della murazione di Andria:
molto spazio conteneva non ancora ingombrato di edifizj e popolazione: molti anni in appresso v’abbisognarono per renderla ripiena, e compita, talchè Petrone suo Conte non godè del piacere, che nutriva nel suo cuore; questo perché morì prima che gli spazi vuoti fossero tutti occupati.

Ricordando quanto riportato nella Lettera ad limina del Vescovo di Andria Mons. Andrea Ariano, nell’anno 1700 la città di Andria contava 6.500 abitanti circa; a fronte di questo esiguo numero di persone, di cui 4.500 erano praticanti cattolici, c’erano 160 ecclesiastici regolari, 100 ecclesiastici secolari, le Chiese e le Cappelle entro e fuori le mura erano 45, delle quali nove erano i conventi.

Quindi, siamo in presenza di un’enorme sproporzione tra il numero degli abitanti della città e il numero delle Chiese e Cappelle entro e fuori le mura. Questo dato avvalora quanto ha riferito per primo il Prevosto Pastore sull’esistenza fin dai tempi dell’anno mille di numerosi Villaggi, Borghi e Casali esistenti nel territorio di Andria.

Le Cappelle sparse nelle Contrade, fin sotto Castel del Monte, erano per la maggior parte abbandonate già al tempo del Pastore. Così ne parla, in un’altra Visita ad limina” del 22 marzo 1651, Mons. Ascanio Cassiano Vescovo di Andria dal 1642 al 1657:
Nella Puglia Peucezia, detta Terra di Bari, sorge la città di Andria, sotto il valido dominio del Duca Carlo Carafa; essa è suffraganea di Trani, non a la diocesi … … La Chiesa Cattedrale è ben equipaggiata: ha l’organo, la sacrestia fornita delle suppellettili necessarie ed il corpo di San Riccardo … . Esistono due Chiese Collegiate, una, dedicata a San Nicola … … … … l’altra, dedicata all’Annunciazione … … Esistono in città dieci altre piccole Chiese, alcune delle quali sono Oratori e Confraternite di laici … … fuori della città esistono altre quindici piccole Chiese, alcune delle quali sono quasi diroccate e carenti di tutte le suppellettili, non per colpa dei possessori, ma per i ladri … .

Le notizie fornite dal Prevosto Pastore nella sua opera manoscritta, alla luce di quanto su esposto, sono degne di attendibilità.

Roberto il Guiscardo che, ambizioso qual era, si era fatto proclamare Duca di Puglia, conquistò la città di Bari nel 1071, poi Otranto e Canosa, per cui l’intiera Puglia normanica addiviene. Subito dopo il condottiero normanno decise di andare in Sicilia in aiuto di suo fratello Ruggero II (25) che voleva sbarazzarsi dei Saraceni, per cui ordinò a tutti i Conti di Puglia di fornirgli truppe da far affluire in Sicilia, però, dice il Pastore tutti li Conti di Puglia si diedero ad onore il condursi, ed esser’ a parte, solo Pietrino Conte di Trani fu restio, e con manifesta negativa non volle collegarsi, spacciandosi indipendente da Roberto.

Cominciò così ad avverarsi il disegno premonitore di Petrone: il momento in cui la Città di Trani fosse stata occupata da altri condottieri normanni, la città di Andria poteva essere un buon rifugio e ripiego. E così avvenne.

Roberto il Guiscardo tornò vincitore dalla Sicilia e tutti i Conti di Puglia andarono ad ossequiarlo, tranne Pietrino, per cui nel 1073, quando il Guiscardo volle ritirarsi in Trani qual città marittima, e renderla capitale al pari di Bari, Brindisi, Otranto e Taranto, circondò la città, la conquistò definitivamente e dichiarò Pietrino decaduto dal possesso della Contea. Però, considerata la parentela che lo legava a Petrone, tolse a Pietrino solo la città di Trani lasciandogli le città di Barletta, Bisceglie, Corato ed Andria. Quest’ultima città nel frattempo era diventata abbastanza grande per il gran numero di abitanti che si erano in essa trasferiti dai villaggi del territorio, per cui, il Conte Pietrino fece la nostra città capitale della sua Contea e pose in essa la sua residenza.

La lungimiranza del Conte Petrone nel murare un territorio piuttosto grande intorno al villaggio Andre, fatta propria anche da Pietrino, ora trovava attuazione e, poiché all’interno della città vi erano ancora molti spazi vuoti, la politica di Pietrino fu quella di favorire ancor di più l’ingresso in città della maggior parte degli abitanti dei Vichi, Borghi e Casali sparsi per tutta la campagna, offrendo loro la sicurezza dell’abitare e la possibilità di recarsi a coltivare i campi di giorno, scongiurando le scorribande dei ladroni durante la notte.

Che la città di Andria avesse un’estensione abbastanza notevole è attestato anche dal geografo al-Edrisi (26) che in un passo della sua opera della metà del dodicesimo secolo intitolata il “Libro di Re Ruggero”, conosciuta anche come “Geografia di Edrisi”, afferma che Corato è una città bella e popolata, nobile e deliziosa, Trani è detta città di media grandezza, Barletta è appena menzionata, invece Andria è definita città grande e popolata.

Dopo Pietro II, furono Conti di Andria Riccardo I, Goffredo II, Riccardo II e Ruggero. Fu all’epoca di Riccardo II, nell’anno 1104, che la Collegiata dei Preti del Villaggio di Trimoggia si trasferì nella città murata di Andria occupando gli spazi intorno alla Chiesetta di San Nicolò, giusta la bolla (anche se di dubbia autenticità come afferma lo studioso Sabino di Tommaso) del Vescovo Desidio.

Queste notizie riportate dal Prevosto Pastore sono state sempre ritenute veritiere dagli storici andriesi.

Gli ampi spazi della zona che poi si chiamerà “largo Grotte”, certamente dovevano essere contenuti nella murazione fatta da Pietrone, quindi, il circuito murario doveva estendersi da Porta del Castello fino a Porta detta di Sant’Andrea.

Conclude il Pastore la sua storia su Andria murata dicendo che, con tutti i trasferimenti avvenuti nella seconda metà del secolo undicesimo, Andria cominciò a far’ altra comparsa, ed acquistò un nome rispettabile in Puglia, si che pareva emular la grandezza di Trani.

Con il trasferimento dei Trimodiensi nella città murata, il villaggio di Trimoggia a poco a poco andò distrutto; non così la Chiesa di Santa Maria di Trimoggia che restò sotto la dipendenza dei suoi Preti trasferitisi nella città murata.

Per tutto quanto su esposto, ritengo che l’originario circuito delle mura della città di Andria fosse quello stesso che ritroviamo alla fine del Seicento, e che avesse anche l’antemura come descritto dal Fellecchia e poi disegnato in una mappa del compassatore Michele di cui si relazionerà alla fine di questo lavoro. Invero, non è pensabile che in soli 58 anni (dal 1046 al 1104 anno del trasferimento dei Trimodiensi) la città abbia ingrandito il suo primitivo circuito murario; non è da poco ricostruire mura e bastioni in pochi decenni, né è condivisibile che siano stati eseguiti ingrandimenti del circuito murario più volte fino a tutto il Seicento, come affermano alcuni studiosi.

Su base catastale dell’attuale centro storico della città ho riportato il circuito murario della città di Andria come doveva essere al tempo del Fellecchia e come fu rilevato e disegnato a metà del Settecento quando un Vescovo coraggioso (27) suddivise la città in due Parrocchie vincendo contro la forza d’urto dello strapotere del Capitolo della Chiesa Cattedrale.

Tenendo conto che subito dopo l’anno 1799 le mura furono abbattute e che i terreni ad esse adiacenti, furono frazionati e concessi ai cittadini che ne avessero fatto richiesta, e tenendo conto che la maggior parte delle particelle catastali relative alle fossate hanno mantenuto nel tempo la loro forma e l’estensione, ed infine, tenendo conto della posizione in cui ancora oggi si trovano a vista alcuni tratti di muraglia dell’antico circuito, è stato possibile disegnare il tracciato del circuito murario che ritengo la città avesse certamente a partire dal Quattrocento (Figura -1-) e, con molta probabilità, questo era anche il circuito murario fin dall’origine: cioè nel secolo XI.


Fig. -1- Il più probabile circuito murario di Andria nell’Undicesimo secolo, su supporto catastale. I tratti segnati in verde di Via Porta Nuova
e di Via Orsini, ubicati al piano interrato, sono stati da me visitati negli anni Settanta in occasione di perizie.

In questa ricostruzione i tratti di mura ancora oggi visibili sono segnati con segmenti di colore verde e sono individuate sia le posizioni delle antiche porte della città sia in azzurro l’andamento del Gran Canale Ciappetta Camaggio, testimonianza dell’antico Flumen Aveldium che scorreva nel nostro territorio. Il circuito murario, colorato in rosso, corre lungo le linee di confine dei terreni che costituivano le fossate della città murata.

Poiché sul catastale in scala è possibile effettuare delle misure, è risultato che il perimetro del circuito murario, come ricostruito, è lungo all’incirca tra i 1.750 e i 1.800 metri lineari, mentre la superficie in esso racchiusa è compresa tra i 193.000 e i 196.000 metri quadrati che corrispondono all’incirca tra i 19 ed i 20 ettari.

Quando il nostro territorio faceva parte del Regno delle due Sicilie, la più grossa unità di misura della lunghezza era il miglio che valeva circa 1.845 metri e, ricordando quanto affermano il Fellecchia nel Seicento ed il Prevosto Pastore alla fine del Settecento a proposito della murazione di Andria da parte del Conte Pietro I: Circondò questo luogo di mura, e d’antemurali nell’estensione d’un miglio in fora circolare, con le dovute approssimazioni con cui ho disegnato l’andamento del vecchio circuito murario, si può constatare l’attendibilità delle affermazioni riportate dai due studiosi.

Il ricercatore Vincenzo Zito nel suo lavoro “L’antica Porta del Castello di Andria”, a proposito dell’estensione del circuito murario di Andria realizzato da Pietro I dopo il congresso di Melfi e della superficie da esso racchiusa, afferma che: sembra ragionevole affermare che l’Andria fondata dai normanni non occupava l’intero sito dell’attuale centro storico. Per convincersi di tale affermazione basti osservare che l’attuale centro storico interessa una superficie di circa 20 ettari, certamente eccessiva se si considera che Trani medievale, ad esempio, non ne occupa che nove.

Osservazione certamente ragionevole, però, è anche ragionevole considerare che Trani era stata cinta di mura molto prima di Andria e che Trani ha posseduto sempre un territorio molto più piccolo rispetto a quello di Andria in cui erano presenti decine i Villaggi, Borghi, Vichi e Casali: nel territorio di Trani non esisteva questa diffusa condizione abitativa.

Come si è detto innanzi, questa peculiarità del territorio di Andria certamente fu tenuta in conto dal Conte Pietro quando cinse di mura il Villaggio Andre, come pure fu tenuto in conto il grande potenziale di sostegno di uomini, rifugiatisi entro le mura, che il Conte poteva avere in caso di necessità bellica.

Queste considerazioni supportano la mia convinzione che il primitivo cir- cuito murario della nostra città, realizzato dal Conte Pietro I, è quello stesso che è rappresentato nel disegno della Figura -1-.

Si può anche fare, a tale proposito, un’altra osservazione: visto il desiderio delle popolazioni di trasferirsi nella città murata, se non ci fossero stati spazi sufficienti all’interno delle mura, perché ingrandire il perimetro murario proprio nel punto meno opportuno e sfavorevole del territorio qual era quello ad Ovest dell’antica Chiesetta di San Nicola? Perché non allargare la cinta muraria a Nord-Est della Cattedrale dove il terreno era pianeggiante, l’aria più salubre ed era più semplice costruire nuovi alloggi? Ritengo che si possa rispondere a questo interrogativo affermando che il circuito murario originario doveva già comprendere le zone di largo Fellecchia e Largo Grotte sia per la presenza in esse di numerose grotte in cui poter abitare, e che probabilmente diversi abitanti avevano già occupato prima della murazione, sia per la vicinanza all’acqua fornita da quello che restava dell’antico flumen Aveldium che scorreva a non più di 100 metri di distanza.

In definitiva, poiché il circuito murario primitivo comprendeva il Castello ubicato accanto alla Porta detta del Castello, il Casalino, il Katacama, il Borgo di San Ciriaco, la zona della Chiesa Cattedrale, e quasi certamente le zone di Largo Grotte e Largo Fellecchia, si ha che le estensioni Nord-Sud e Sud-Ovest della città medievale primitiva erano quelle che ancora oggi fanno parte dei limiti del nostro centro storico.

Si può fare un’ultima considerazione: certamente la zona delle Fornaci, che si sviluppa sul versante Ovest della città murata, doveva essere già abitata nell’anno mille perché è una zona carsica, provvista di molte grotte, è una zona soleggiata, ventilata e vicino all’acqua dell’antico fiume. La presenza delle mura e la vicinanza di una Porta di accesso, quella detta di Sant’Andrea, favorivano tranquillità e sicurezza agli abitanti del rione Fornaci perché, in caso di pericolo, potevano subito rifugiarsi entro le mura.

Queste considerazioni mi convincono che l’estensione delle mura del secolo XI erano le stesse esistenti ancora nel 1799 e che esse avevano inizialmente tre porte (come si relazionerà di seguito), diventate quattro nel Settecento per la costruzione di Porta Nuova, come lo stesso Prevosto Pastore riporta. Sono anche convinto dell’esattezza della sua frase: Circondò questo luogo di mura, e d’antemurali nell’estensione d’un miglio in fora circolare, affermazione non condivisa dal ricercatore V. Zito che ritiene la notizia una supposizione del Pastore in quanto non ci sono pervenute prove sull’esistenza delle antemura. Di convinzione diversa, come abbiamo già detto, sono sia il Fellecchia, il quale afferma che nel Seicento la città di Andria era munita di antemura, sia il Colavecchia (28) nella rua descrizione della città riportata nell’opera di Cesare Orlandi (29)Delle Città d’Italia …” ma, soprattutto, queste antemura sono state riportate dal Michele, compassatore della Dogana della mena delle pecore di Foggia, che alla fine del Seicento disegnò la mappa chiamata “Locazione d’Andria”.

Dell’andamento del circuito murario riportato nella Figura -1-, il punto su cui ci possono essere delle perplessità è proprio la forma del bastione accanto alla Porta del Castello perché la raffigurazione che di esso abbiamo è del settecento e sappiamo che tali strutture erano soggette nel tempo a rifacimenti secondo le mutate esigenze.

A tal proposito un lavoro abbastanza esaustivo è stato fatto dall’architetto Vincenzo Zito nel suo saggio “Il Castello Normanno-Svevo di Andria. Una questione controversa” pubblicato a sua cura e spese nell’aprile del 2012. V. Zito, dopo aver analizzato le fonti letterarie, quelle documentarie e quelle materiali visitando accuratamente i luoghi, conclude affermando che al tempo dei Normanni fu costruito solo un torrione quadrangolare entro le mura, addossato ad esse, con un probabile ingresso diretto dall’esterno delle mura per renderlo indipendente. Successivamente questa configurazione iniziale fu ampliata in epoca federiciana mediante la costruzione di una torre esterna alle mura ma addossata ad esse e collegata con la prima torre normanna; infine, nell’ultima fase sarebbe stata realizzata una costruzione che avrebbe inglobato la torre sveva e questa costruzione avrebbe avuto la forma che è riportata nella pianta di Mons. F. Ferrante del 1759-1761.

È un’ipotesi plausibile, ben suffragata da validi ragionamenti e, con riferimento alla morte dell’Imperatrice Jolanda di Brienne (30) avvenuta in Andria nel 1228 subito dopo aver partorito il figlio Corrado, si può senz’altro ipotizzare che il parto avvenne nel Castello svevo di Andria che, in quell’occasione, servì da dimora imperiale e, in quanto tale, non poteva essere una semplice torre ma un vero e proprio castello con la doppia funzione di residenza e di caserma.

Si riportano alcune immagini di tratti delle antiche mura della città oggi ancora visibili.

Figura -2- : Tratto della muraglia in Via A. De Gasperi (lato sinistro del bastione di Porta Castello), rimaneggiato nell’Ottocento, prima del restauro del gennaio 1991 ad opera del Lions Club “Castel del Monte” di Andria di cui sono stato il progettista.

Figura -3- : Annuncio del restauro da parte dei Lions Club, pubblicato sulla Gazzetta del Mezzogiorno a firma del compianto filosofo e scrittore andriese Michele Palumbo.

Figura -4- Tratto della muraglia in Via A. De Gasperi (lato destro del bastione di porta Castello), rimaneggiato nell’Ottocento, prima del restauro dell’anno 2010.

Figura -5- Tratto della muraglia in Via Attimonelli, rimaneggiato nell’Ottocento.

Figura -6- Tratto della muraglia in Via Michele Attimonelli in cui si distinguono i vari interventi di sostituzione dei conci di pietra e di tufo.

Figura -7- Tratto della muraglia sotto il muro di sostegno di via Belvedere.

Figura -8- Tracce della muraglia su Pendio S. Lorenzo, nel giardino delle suore Betlemiti.

 
Fig. -2 e 3- Lato sinistro del bastione di Porta castello prima del restauro effettuato nel gennaio 1991 a cura del Lions Club di Andria.
- Articolo della Gazzetta del Mezzogiorno a cura del prof. Michele Palumbo sul restauro del lato sinistro del bastione di Porta Castello ad opera del Lions Club “Castel del Monte”


Fig. -4- Lato destro del bastione di Porta castello prima del restauro.


Fig. -5- Via Attimonelli. Porzione delle antiche mura della città rimaneggiate nell’Ottocento.


Fig. -6- Porzione delle antiche mura in via Attimonelli: sono evidenti gli interventi di sostituzione del paramento murario operati nell’Ottocento
per rafforzare la resistenza al ribaltamento per la spinta del terrapieno su cui insiste la sede stradale di Via Mura San Francesco..


Fig. -7- Resti della scarpata delle mura nel cortile di casa Iannuzzi, sotto via Belvedere.


Fig. -8- Tracce del muraglione nel giardino delle Suore Betlemiti su Pendio S. Lorenzo.


NOTE    _

(15) Guglielmo Apuliensis
Guillermus Apulensis (Guglielmo di Puglia) fu un cronista attivo tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo. La Puglia longobarda era in una situazione storica abbastanza confusa dal punto di vista governativo: la Capitanata era soggetta al Principato longobardo di Benevento, la Terra di Bari era disputata tra Longobardi e Bizantini, la Terra d’Otranto, invece, era soggetta ai Bizantini. Non è noto se il cronista fosse un pugliese o un normanno che visse in Puglia al seguito dei condottieri normanni ed è chiamato così dagli storici italiani. Fu il cronista che raccontò la conquista normanna della Puglia e, soprattutto, le gesta di Roberto detto il Guiscardo, con la sua opera “Gesta Roberti Wiscardi” composta da 5 libri scritti in esametri, probabilmente alla fine del secolo XI.

(16) Ferdinando Fellecchia fu medico e poeta andriese, vissuto “tra la metà del seicento e il primo quarto del Settecento” come riporta Sabino Di Tommaso nel suo interessantissimo sito “Andriarte”. Colpito da grave malattia, guarì grazie alla sua grande devozione verso San Riccardo, protettore della città di Andria. Per ringraziamento scrisse un poema in versi endecasillabi, raggruppati in ottave, intitolato “La via del gloriosissimo S. Riccardo primo vescovo, e padrone d’Andria”. Significative ed importanti sono le notizie, in esso contenute, riguardanti la nascita della città murata di Andria, le mura e le Porte. Riferisce il Di Tommaso che fu anche il medico personale della famiglia Carafa, Duchi di Andria.

(17) Riccardo D’Urso (Andria 1800-1845), canonico e cantore della Cattedrale di Andria, ha scritto un’importante opera intitolata “Storia della Città di Andria dalla sua origine sino al corrente anno 1841”, pubblicata in Napoli il 1842 dalla Tipografia Varana. Dopo la storia manoscritta del Prevosto Pastore, quella del D’Urso è la prima storia completa della città di Andria e da essa hanno attinto tutti gli storici che si sono susseguiti.

(18) Michele, il compassatore
Antonio e Nunzio (di) Michele erano due Compassatori che lavoravano per la “Dogana della mena delle pecore di Foggia”. Realizzarono alla fine del XVII secolo le mappe delle “Locazioni principali-ordinarie della Puglia”, disegnate su cartoncino e poi assemblate in un atlante, individuato come “Atlante Michele delle locazioni della Dogana della mena delle pecore di Foggia”. Ogni mappa, chiamata foglio, ha le dimensioni di cm 70 x cm 50. La Locazione d’Andria è firmata Antonio Michele.

(19) Carafa
Il Ducato di Andria fu governato dalla famiglia dei Carafa dal 1552 al 1806. Il primo Duca di Andria della famiglia Carafa fu Fabrizio che, per la sua fedeltà all’Imperatore Carlo V Re di Napoli, ebbe l’opportunità di acquistare il Ducato di Andria per 100.000 ducati. I Carafa che si alternarono al governo del Ducato sono stati ben 14, l’ultimo fu Francesco che tenne il Ducato dal 1804 al 1806. Ad Andria si ricorda frequentemente Ettore Carafa, che non fu Duca di Andria ma era figlio di Riccardo Carafa penultimo Duca della nostra città; il ricordo è legato alla sua militanza nelle file dei Giacobini e alla presa di Andria da parte dei francesi nel 1799.
I Duchi Carafa non hanno avuto sempre riconoscenze dal popolo andriese perché, tranne alcuni quali Fabrizio II (1563-1590) ed Ettore II (1707-1764), erano considerati feudatari a cui bisognava pagare tasse e gabelle. Il 2 agosto 1806 Giuseppe Napoleone emanò la legge che aboliva la feudalità per cui, a far capo da quella data, termina la genealogia dei Carafa duchi di Andria.

(20) Jatta Giovanni
Giovanni Jatta di Ruvo (1767-1844) fu magistrato, archeologo ed anche storico. Svolse importanti incarichi presso la Corte d’appello di Napoli di cui fu anche procuratore generale. Per le sue idee giacobine fu licenziato, partecipò ai moti rivoluzionari del 1799 e fu condannato all’esilio. La sua opera più significativa di archeologia e storia è intitolata “Cenno storico sull’antichissima città di Ruvo nella Peucezia” – Napoli 1844.

(21) Zito Vincenzo
Vincenzo Zito, architetto, è stato ricercatore presso l’Istituto per le tecnologie della costruzione (ITC), organo del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR). Di famiglia originaria di Conversano, stabilitosi in Andria, si è occupato di ricerca nei diversi campi dell’edilizia, particolarmente nel recupero e nel restauro architettonico, ma è conosciuto soprattutto per le sue ricerche storiche che riguardano la città di Andria, approfondendo diverse tematiche. Si ricordano in particolare i seguenti saggi: “Il Santuario della Madonna dei Miracoli in Andria” del 1996, il suo notevole contributo nella pubblicazione “La Lama di Santa Margherita e il Santuario della Madonna dei Miracoli” del 1999, “L’antica Porta del Castello di Andria” del 2004, “Il complesso conventuale di S. Maria dei Miracoli e le sue trasformazioni” del 2008, “La guerra dei 200 anni” del 2010 sui beni culturali di Andria distrutti dagli andriesi tra Ottocento e Novecento. Ed inoltre “Il Castello Normanno-Svevo di Andria” del 2012, “L’antica Porta del Castello di Andria” del 2014, “Il Santuario della Madonna dei Miracoli d’Andria – Analisi storico-architettonica (XVI-XIX sec.)” del 2016, ed il saggio “I ruderi di una chiesetta altomedievale tra le località Calcagnano e Quadrone” del 2020.

(22) Di Tommaso Sabino
Sabino di Tommaso, insegnante, è l’autore del sito web ANDRIARTE che, fino ad ora, ha pubblicato tutto ciò che gli studiosi hanno scritto e ricercato sulla storia della città di Andria. Le particolarità del suo sito sono: la mancanza assoluta di pubblicità, la presenza di documenti che giustificano la storia raccontata, la completezza e la fondatezza delle informazioni. È ammirevole la sua capacità di traduzione di qualsiasi testo latino, anche medievale. Abilissimo nella traslitterazione di scritture appena decifrabili, ha pubblicato l’intero manoscritto della prima storia della città di Andria, scritta dal Prevosto Pastore; in questa pubblicazione il Di Tommaso mette a confronto pagina per pagina sia il manoscritto sia la sua traduzione in italiano. Il suo sito è la più completa biblioteca di volumi e documenti della storia della città di Andria e del suo territorio.
Il Di Tommaso svolge una concreta azione di sviluppo e valorizzazione della storia della città di Andria e del suo patrimonio artistico. Navigando nel suo sito ci si immerge nello studio del patrimonio culturale della nostra città, munito di un cospicuo patrimonio documentale, con interpretazioni autentiche, con moltissime immagini e con la passione di chi crede nel grande valore della storia e tiene sempre viva la memoria del passato su cui abbiamo costruito la nostra identità.

(23) Barbangelo Pasquale
Il prof. Pasquale Barbangelo (Minervino Murge 1924 – Trani 2014), è vissuto quasi sempre in Andria dove ha insegnato Lettere presso il Liceo Scientifico Statale “Riccardo Nuzzi”. Impegnato in studi dialettologici, compilò sia un “Vocabolario del dialetto minervinese” sia la “Grammatica descrittiva del minervinese”. Da quando si trasferì in Andria si dedicò allo studio della città e pubblicò la sua prima opera storica “L’Università di Andria tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo”, Tipografia Guglielmi – Andria, 1978. Nell’ottobre del 1985, sempre dalla Tipografia Guglielmi fu stampata la sua opera storica più importante: “Andria nel Medioevo, da Locus romano-longobardo a Contea normanna”, cui molti studiosi e storici che si sono succeduti si sono ispirati. Questa opera fu presentata dal prof. Pasquale Corsi, a quell’epoca docente di Storia Bizantina nella Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Bari. Altro suo lavoro storico è “L’incendio di Andria : il dramma di un popolo «Fidelis« : 1799”.

(24) Roberto il Guiscardo
Roberto d’Altavilla, detto il Guiscardo (1015-1085), era il sesto figlio di Tancredi d’Altavilla.
Giunse nel 1047 nell’Italia meridionale e subito mise in evidenza il suo coraggio, la determinazione nell’intraprendere le battaglie e la sua intenzione di strappare ai bizantini ed agli arabi l’Italia meridionale, compreso la Sicilia: in gran parte conquistò quello che si era proposto di ottenere. Dopo gli accordi di Melfi del 1259 il Papa Niccolò II investì ufficialmente il Guiscardo del titolo Duca di Puglia, Calabria e Sicilia; in Sicilia il Guiscardo rimase fino al 1071. Suo fratello Ruggero continuò in Sicilia la battaglia contro i Saraceni e, prima della fine del secolo, riuscì nell’impresa. Il Guiscardo morì nel 1085 per una violenta febbre.
Interessante, anche se interessata a raccontarla in questo modo, è la definizione che del Guiscardo ci ha fornito Anna Comnena (1083-1153), figlia primogenita dell’Imperatore di Bisanzio Alessio I, nella sua opera l’Alessiade in cui, descrivendo il carattere del Cavaliere normanno racconta: “ Questo Roberto era di stirpe normanna, di bassi natali, cupido di potere, d’ingegno astutissimo e coraggioso nell’azione: aspirava soprattutto alla ricchezza e alla potenza dei grandi, e mostrava un’invincibile fermezza nel tener dietro a’ suoi concepimenti, allorché ostinavasi di mandarli a buon fine. La sua statura era notevole, tale da superare anche i più alti fra gli individui; aveva una carnagione accesa, tendente al rosso, i capelli di un biondo chiaro, le spalle larghe, gli occhi chiari ma sprizzanti fuoco. La conformazione del suo corpo era elegantemente proporzionata. In quanto alla voce, si racconta che il grido di quest’uomo avesse messo in fuga intere moltitudini. Così dotato dalla fortuna, dal fisico e dal carattere, egli era affatto alieno dall’assoggettarsi a chiunque, o dal prestare servile omaggio”.
C’è da precisare che Anna Comnena era nata nel 1083, due anni prima della morte del Guiscardo, quindi, potrebbe averlo descritto in quel modo per dare più lustro al generale bizantino che aveva inflitto una sonora sconfitta ai normanni guidati dal Guiscardo.
Lo storico Guglielmo Apulensis, nella sua cronaca compilata alla fine del secolo XI e scritta in esametri, parla diffusamente di Roberto detto il Guiscardo.

(25) Re Ruggero II
Ruggero si dedicò anche al riordino del governo del reame, a promuovere le industrie, a coltivare le arti e gli studi e, primo fra essi, era la geografia, tanto che volle a corte il migliore cartografo del momento, l’arabo Edrisi, a cui commissionò la descrizione dettagliata del suo regno, a cominciare dalle terre settentrionali dell’Africa che aveva occupato.
L’opera geo-cartografica illustrativa di tutte le città del Regno del Re Ruggero II e delle distanze tra di esse, limitatamente alla parte continentale d’Italia, è a noi pervenuta sotto il titolo “Libro del Re Ruggero” e/o “La geografia di Edrisi”, datato 1154. L’intero testo del libro è stato pubblicato in Italiano, con accanto la versione araba, da C. Schiapparelli e M. Amari tra gli “Atti della Reale Accademia dei Lincei” nel 1883 coi Tipi del Salviucci – Roma.
I codici di cui si servirono i due accademici per la pubblicazione del Libro furono: quello della Biblioteca Nazionale di Parigi n. 895, che è il migliore dei manoscritti edrisiani in cui sono contenute 69 carte geografiche, ed il codice della Biblioteca Bodleiana di Oxford n. 3837-42.

(26) al-Idrisi o Edrisi
Muhammad al-Idrisi (Marocco 1099 circa – Sicilia 1164 circa)) è un geografo arabo conosciuto in occidente perché realizzò, per conto di Re Ruggero II di Sicilia (1095-1154), sia un planisfero del mondo allora conosciuto, sia un grande atlante cartografico utilizzando tutto il sapere geografico allora noto e quanto da lui redatto nei viaggi effettuati. Questa miniera di notizie geografiche è nota con il nome di Kitab Rugiar che in italiano è chiamato “Libro di Ruggero”, ultimato nell’anno 1154. La sua fama derivava anche dalla sua presunta discendenza dalla nobile famiglia degli Hammudidi che a sua volta sosteneva di discendere dagli Edrisi, la prima dinastia mussulmana che governò il Marocco, e gli Edrisi sostenevano di discendere direttamente dal profeta Maometto.

(27) Vescovo coraggioso
Francesco Ferrante fu Vescovo di Andria dal 1757 al 1773. È ricordato come “uomo dottissimo, di carattere fermo e serio, tempra adamantina, seppe lottare, senza venir meno ai dovuti riguardi ed a quella carità, che lega il Padre ai figli, i figli al Padre”. Così lo descrive il Canonico Michele Agresti che, però, non gli perdonò la divisione della città di Andria in due Parrocchie, togliendo potere al Capitolo Cattedrale di cui il Canonico Agresti faceva parte. Proprio nell’opera dell’Agresti “Il Capitolo Cattedrale di Andria ed i suoi tempi”, a pagina 14 del primo volume, è riportata per la prima volta la pianta topografica fatta redigere 150 anni prima dal Vescovo Ferrante nel 1760 in occasione della divisione della città di Andria in due Parrocchie. Dopo il 1911 questa Pianta Topografica è entrata nell’oblio. L’incisione originale è stata da me rintracciata nell’anno 1982 nella casa di un possidente di via Federico II di Svevia e pubblicata nel formato 50x70 nel 1983 con la collaborazione dei miei alunni della classe V B del Liceo Scientifico “R. Nuzzi” di Andria, con la traslitterazione dei percorsi di cui la pianta riportava le distanze.

(28) Colavecchia Riccardo
Riccardo Colavecchia era un magistrato andriese del Settecento, amico e corrispondente dello scrittore e storico Cesare Orlandi. L’Orlandi, nel comporre la sua opera “Delle Città d’Italia e sue isole adiacenti…”, si servì di relazioni a lui inviate dai suoi amici e corrispondenti sparsi in tutt’Italia. Il Colavecchia inviò all’Orlandi una relazione sulla città di Andria in cui espose, anche se in forma abbreviata, tutti gli aspetti più salienti riguardanti la città: la sua origine, la sua estensione, le quattro porte, il suo stemma, i fatti memorabili che avevano fatto la sua storia, gli ecclesiastici, il commercio, le famiglie nobili e i loro stemmi, ecc.. Inoltre, inviò all’Orlandi anche una incisione che raffigurava la città di Andria in quell’epoca (1760- 1770), incisione piuttosto imprecisa, ricavata da quella che aveva fatto redigere il Vescovo della città Mons. Francesco Ferrante intorno al 1760 quando decise di procedere alla divisione della città in due parrocchie.

(29) Orlandi Cesare
Cesare Orlandi (Città della Pieve 1734 – Perugia 1779) fu un erudito che si interessò di storia e di poesia, scrisse molti saggi, anche di natura ecclesiastica e commemorativi di ricorrenze civili. La sua opera più famosa si intitola “Delle città d’Italia e sue isole adiacenti..” che rappresentò per quell’epoca un grande “strumento editoriale” per far conoscere agli italiani le più importanti città del territorio italico.
Questo lavoro in cinque volumi o tomi come allora erano chiamati, fu stampato dal 1770 al 1778 e contiene le descrizioni e la storia delle città in ordine alfabetico, con anche piante topografiche e stemmi sia cittadini che di famiglie nobili. Il quinto tomo si ferma alla lettera C, perché sopraggiunse la morte dello scrittore nel 1779. Nel redigere l’opera l’Orlandi di servì di collaboratori che gli inviarono dettagliate relazioni delle città e disegni delle stesse. Della città di Andria si parla nel tomo II, edito a Perugia nel 1772, e la relazione e l’incisione della città furono a lui inviate dal magistrato andriese Riccardo Colavecchia di cui alla nota precedente.

(30) Jolanda di Brienne
Jolanda, anche chiamata Isabella, era figlia di Giovanni di Brienne (oggi è un piccolo Comune francese nelle vicinanze del fiume La Seille e della cittadina di Cuisery nella regione della Champagne-Ardenne), che apparteneva ad una nobile famiglia, e di Maria di Monferrato che era figlia di Isabella Regina di Gerusalemme. Alla morte di Isabella, Maria di Monferrato divenne Regina di Gerusalemme ed alla sua prematura morte avvenuta nel 1212 gli successe Giovanni ma solo come reggente di sua figlia Jolanda, appena nata. Nel 1225, quando Jolanda aveva solo tredici anni fu promessa sposa all’Imperatore Federico II di Svevia; fu un matrimonio politico perché Federico aveva promesso di fare una Crociata in terra Santa e voleva preventivamente tessere una rete di amicizie, non esclusa quella con il mussulmano Sultano d’Egitto al-Kamil, per cercare di prendere Gerusalemme senza colpo ferire. Nel 1228, Iolanda partorì in Andria il figlio cui fu dato il nome di Corrado ma, per i postumi del parto, morì: aveva soltanto sedici anni.