[panoramica del presbiterio in due foto del 4/2008 e del 2009, quando vi era
esposto un antico crocifisso - foto Michele Monterisi e Sabino Di
Tommaso]
Si è preferito inserire come immagine d'insieme una foto non recente (del 4/2008) perché mostra, insieme agli arredi attualmente ivi collocati, anche un bellissimo crocifisso cinquecentesco, la foto del quale è stata scattata nel 2009 dall'appassionato d'arte e storia cittadina Michele Monterisi. Questo crocifisso, proveniente dalla chiesa di S. Bartolomeo, attualmente (2015) è esposto nella 2a cappella di destra della Cattedrale.
Per la descrizione di come era un tempo il presbiterio ed il suo altare maggiore si riportano due brani dai testi già citati: il primo del Merra e il secondo dell'Agresti; si tenga presente che all'inizio dell'Ottocento il presbiterio inglobava i due fornici adiacenti ad esso e la sacrestia era posta dietro l'altare maggiore (il quale non era addossato al muro).
Scrive il Merra: "7.
Maggiore altare. In sulle prime questo altare fatto di pietra, fu negli ultimi tempi vagamente lavorato a musaico di finissimi marmi colorati, con due teste di serafini artisticamente scolpiti in marmo di Carrara, e messe agli angoli del secondo registro. Sembra fosse stata una imitazione del bellissimo altare maggiore della Cattedrale. Una croce di palmi sei, dodici candellieri, dodici vasi da fiori, carte di gloria e due grandi cornocopj, tutti d’ottone posti a destra ed a sinistra di questo altare, l’ornavano bellamente. Il sacro ciborio aveva una portellina, con chiave e pisside di argento; sul muro, dietro l’altare, eravi un quadro, rappresentante in mezzo busto la Vergine del Monte Carmelo, la quale stringe amorosamente tra le materne braccia un vezzosissimo bambino, che dolcemente la carezza; mentre due angeli le sostengono in alto sul capo la corona, e dodici serafini le stanno amorosamente estatici d’intorno a mirarla. Lo chiudeva una ricca cornice, arabescata e dorata, con un terso cristallo davanti. Una candida tendina, ricamata in seta, lo copriva. Ai fianchi aveva due piccole cornocopie d’ottone, con due candele per ciascuna, e con due lampadini, al di sotto pendenti. Vuolsi che questo bellissimo quadro fosse splendido dono della famiglia Carafa; ed è precisamente quello, che ora si venera nella Cappella del Carmine [la seconda a sinistra entrando].
Dietro del maggiore altare aprivasi il Coro [nel 1822 dato alla chiesa dei Cappuccini], in cui di giorno i Frati del Monte Carmelo recitavano le lodi divine. In esso vi erano sei Direttorj di canto Gregoriano, in pergamena, artisticamente miniati, nelle iniziali maiuscole, e massime in quelle delle feste principali di Nostro Signore, e della Santa Vergine. Alcuni di questi libri si conservano ancora; ma sventuratamente le preziose iniziali furono tagliate dalle vandaliche mani di certi Seminaristi Foggiani, venuti in questo Seminario, dopo il 1848!"
[da "La Chiesa e il Convento di S. Maria del Carmine" in Monografie Andriesi, di E. Merra, tip. Pontificia Mareggiani, Bologna, 1906, Vol. II, pagg. 488-491]
Scrive l'Agresti:
"... vasto presbiterio, cui si accede per un lungo gradino. ...
La Signora Agata Insabato, vedova del fu Notar Sebastiano Gioscia, fece, a sue spese, innalzare sul Presbiterio (in cornu epistolae) un’altare intitolato a Maria Addolorata, non che costruire una statua sculta in legno. ...
Dietro l’altare maggiore esisteva il Coro, che fu poi nel 1822 donato, uno cogli armadii della sacrestia, al Convento dei Cappuccini, per concessione di Re Ferdinando, previo consenso del Vescovo Lombardi, quando furono ripristinati in Andria i Cappuccini, dopo la soppressione del 1809. La sacrestia fu adibita a Cappella privata del Seminario, ed il vano del Coro a sacrestia della Chiesa. ...
Sul Presbiterio, in cornu evangelii, si ammira un’altra grande tela, rappresentante il Carmelita S. Alberto con un giglio nella destra ed un libro nella sinistra mano, mentre un Angelo sostiene un nastro spiegato, sul quale è scritto: Os justi meditabitur sapientiam.
Sul muro della sacrestia [che stava dietro l'altare] si vede un’altro grandioso quadro, rappresentante S. Carlo Borromeo e S. Riccardo, genuflessi a piè della Vergine, che i serafini vengono ad incoronare. [in nota: Questa tela fu fatta dipingere dal Vescovo Cosenza, quando la Chiesa del Carmine passò al Seminario, che fu posto sotto la protezione di S. Carlo e di S. Riccardo.] Un simulacro della Vergine del Carmine, scolpito in legno, è pur degno d’ammirazione in questa Chiesa [in nota: Esso fu scolpito nel 1770 dal valoroso artefice napolitano Giacomo Colombo.] [1]."
[da "7. La Chiesa del Carmine" in " Il Capitolo Cattedrale di Andria ..", di M. Agresti, tip. F. Rossignoli, Andria, 1912, Vol.II, pagg. 111-114]
Di seguito si riportano 3 foto della prima metà del Novecento che mostrano parte di quanto descrive l'Agresti nel testo qui sopra citato.
[Il quadro della Vergine tra S.Carlo e S.Riccardo prima del restauro e la statua lignea,
ambedue da schede della Soprintendenza - navata e presbiterio nel 1939 (foto Malgherini)]
Le tre foto della prima metà del Novecento, in particolare quella panoramica, mostrano il presbiterio e parte della navata
così come descritti dal Merra e dall'Agresti.
Infatti nell'immagine panoramica (foto a destra, ripresa dallo studio Malgherini) si vedono, dietro l'altare marmoreo,
due quadri: uno grande e raffigurante
la Vergine tra S. Carlo Borromeo e S. Riccardo, affisso in alto sulla parete del coro, ambiente che allora fungeva da sacrestia;
sulla stessa parete, immediatamente sotto e come dossale d'altare, è affisso
il quadro più piccolo della Vergine del Carmelo, quello considerato dono dei Carafa
e attualmente nel dossale marmoreo dell'altare proveniente dalla Chiesa
della Trinità in piazza Duomo.
Dalla descrizione degli storici si rileva che il presbiterio era molto ampio e, come abbiamo detto, includeva i due fornici adiacenti. Vi si accedeva per un lungo gradino sul quale nessuno storico afferma che vi fosse una balaustra; nella panoramica su riprodotta appare una balaustra in ferro molto lavorata, una simile ornava l'adiacente altare di sinistra. È da tener presente che in Cattedrale la balaustra marmorea fu eretta non prima del 1822 da mons. Bolognese e forse così probabilmente avvenne per diverse altre chiese del tempo (ipotesi da verificare). Poiché la chiesa e il convento del Carmine furono devastati dai Francesi nel 1799, alcune parti terminate intorno al 1850, e inoltre dal 1806 furono utilizzati dallo Stato come ospedale militare e restituiti al culto solo nel 1839, probabilmente non vi furono neppure il tempo e i fondi per erigere sul presbiterio una balaustra.
[arredi sacri del presbiterio e statua della Vergine del Carmine - foto Sabino Di
Tommaso e Giuseppe D'Ambrosio 2015]
Nella ricorrenza festiva del 16 luglio viene portato in processione il simulacro della Vergine del Carmine (foto sopra a destra), che presenta le seguenti dimensioni (A. x L. x P.): Vergine, cm 170 x 66 x 52; Bambino cm 55 x 35 x 20 (dimensioni e immagini BN, manichino con e senza abbigliamento, rilevate da una scheda tecnica della Soprintendenza di fine Novecento che la data XVII-XVIII sec. e la dice firmata da Giacomo Colombo). Sarebbe opportuno verificare se questa statua è quella lignea di cui parlano gli storici del primo Novecento o la precedente. Più sopra è riportato il testo dell'Agresti; qui si cita il Merra (da pag. 494):
"Da un Inventario, che va dal 1742 sino al 1806, trascrivo l’elenco dei seguenti arredi sacri, che aveva questa Sacrestia. ... Finalmente la statua della Madonna del Carmine, la quale fu lavorata in Napoli, nel 1770, dal celebre scultore Giacomo Colombo [1], nel di cui studio trovavansi in allora ad apprendere scultura i fratelli Vito e Riccardo Brudaglio, Andriesi. Questi segretamente consigliarono il P. Maestro dei Carmelitani a scegliere delle due statue, che vi erano nello studio, la migliore, che è l’attuale: e costò ducati 47, compreso il trasporto in Andria. Pare che prima di questa statua ve ne fosse un’altra, perchè nell’Inventario del 1745 si legge questa nota: «Tutto il vestito ed altro, che serve per la statua di Nostra Signora del Carmine e del Bambino, si conserva in casa della nostra devota Signora, Donna Ciciarosa Curtopassi»".
Nella soprastante foto di sinistra sono riprodotti alcuni arredi marmorei oggi collocati
nel presbiterio; l'altare richiesto dal Concilio Ecumenico Vaticano II, il poderoso leggio, tre scranni
e due mensole (foto sotto) poste sulla parete absidale, ai lati dell'altare maggiore.
Quasi tutti sono stati realizzati riutilizzando i pezzi del precedente altare maggiore in commesso di marmi policromi,
probabilmente demolito quando la Chiesa fu trasformato in Ospedale militare.
Scrive infatti il Merra a
pag. 497 del II volume citato:
"Nel 1806, il Convento fu mutato in Ospedale militare; ma essendo cresciuto il numero degli ammalati, e non bastando i dormitorii, il 12 aprile 1809, il gran Giudice, Ministro della Giustizia e Culto, Giuseppe Zurlo, ingiungeva da Napoli al Vescovo di Andria, Mons. D. Salvatore Maria Lombardi, come avendo S. M. con decreto del 3 corrente aprile, posto a disposizione del Ministro della Guerra la Chiesa dei Carmelitani, dovesse togliere da detta Chiesa quanto ci fosse di sacro, a norma dell’altro decreto del 27 marzo, prossimo passato. Ai 22 dell’istesso mese il Vescovo rispondeva da Napoli al Ministro, che essendosi subito tolto quanto vi era di sacro in questa Chiesa, era stata già consegnata alla disposizione del Ministro della Guerra, e che interinamente aveva fatto dare ai Carmelitani la Chiesa di Maria Mater Gratiae per ufficiare."
Le due mensole addossate alla parete absidale (foto sopra) appaiono chiaramente parti di una balaustra. Poiché il presbiterio fino ai primi del Novecento, stando al racconto degli storici, non aveva balaustra marmorea, né si accenna a balaustre marmoree presenti davanti agli altari laterali, è da supporre che tali opere marmoree provengano da altre demolizioni non note, smantellate (come è avvenuto in diverse chiese negli anni Sessanta del Novecento) per le modifiche richieste dal suddetto Concilio Ecumenico.
Nella vetrata posta sulla parete absidale (foto sopra a destra) è proposta
la visione del profeta Elia, al quale i Carmelitani fanno risalire la loro origine:
la Vergine, come una nube, s'innalzava da terra e salendo verso il Monte Carmelo
riversava su Israele una pioggia copiosa che lo liberava dalla siccità.
Le dodici stelle sono poi un evidente riferimento al capitolo 12, versetto 1
dell’Apocalisse di San Giovanni, che così recita:
“Καί σημειον μέγα ωϕθη εν τω ουρανω, γυνή περιβεβλημένη τόν ήλιον, καί η σελήνη υποκάτω των ποδων αυτης καί επί της κεϕαλης αυτης στέϕανος αστέρων δώδεκα. - Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle.”
Il simbolo poi dei Carmelitani reca intorno una fettuccia con la citazione “Zelo zelatus sum pro Domino, Deo exercituum”, tratta dal cap. 10 versetto 10 del 1° libro dei Re, dove è scritto:
“[Elia] cumque venisset illuc, mansit in spelunca. Et ecce sermo Domini ad eum dixitque illi: «Quid hic agis, Elia?». At ille respondit: «Zelo zelatus sum pro Domino, Deo exercituum, quia dereliquerunt pactum tuum filii Israel, ...» - [Elia] ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». Egli rispose: «Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza ...» ”.
Fu poi S. Alberto Avogadro dei conti di Sabbioneta, nel Duecento, a comporre la prima regola dei Carmelitani, tanto da essere ritenuto fondatore del loro Ordine. Una tela che lo raffigurava era affissa, come abbiamo detto citando il Merra, nella 1a cappella a destra entrando in chiesa.
NOTE
[1] Se questa statua della Madonna del Carmine è stata realizzata nel 1770 (come affermano il Merra e l'Agresti e i documenti da cui attingono l'informazione), certamente non è stata scolpita da Jacopo Colombo, morto nel 1730, a meno che non giacesse invenduta per quarant'anni nella sua bottega (evento improbabile per la sua fama!) e in quell'anno venduta dai discendenti.