Collocazione:
secondo pilastro a destra della
navata centrale,
nell'intradosso dell'arco di comunicazione con l'abside della navata
destra, adiacente a papa Urbano V.
Descrizione:
l'affresco è in discrete condizioni.
Il Santo è affrescato nel solito riquadro a cornice geometrica, ha, come
Sant'Antonio Abate (affrescato a fronte)
una gruccia, sulla quale poggia la sinistra, mentre tra ambedue le mani
trattiene una corona.
Il Santo, anacoreta degli inizi del 4° secolo, ha capelli lunghi e barba fluente tanto cresciuti
che unitamente al perizoma di foglie lo ricoprono completamente
[1].
Collocazione:
La Santa è affrescata sul plinto del secondo pilastro destro della
navata centrale, nell'intradosso dell'arco di comunicazione con l'abside della navata
destra, adiacente a S. Lorenzo martire
e a una Madonna della tenerezza.
Si trova sul semipilastro destro dell'arco trionfale (accanto a San Nicola di Mira e a fronte di Sant'Onofrio)
Sant'Antonio Abate visse (dal 251 al 356) nel deserto della Tebaide con numerosi discepoli; in Egitto fondò varie comunità anacoretiche ed è ritenuto uno dei fondatori del monachesimo, specialmente orientale. Egli è rappresentato con un campano, che nell'affresco porta nella mano sinistra, mentre nella destra ha una gruccia. La sua storia è iconograficamente raccontata nella chiesa del San Sepolcro a Barletta.
Sul semipilastro sinistro dello stesso arco trionfale è invece affrescato San Leonardo. (trattato in un'altra pagina, per esigenze grafiche e di spazio narrativo, soprattutto non essendo stato un eremita orientale, ma occidentale dei tempi di Clodoveo, VI secolo.)
NOTE _
Quodam die, dum ego Paphnutius solus tacitusque sederem, cogitavi in corde meo quod deserto peterem …
Quarto autem die peracto, alimenta quæ mecum sumpsi defecerunt, meaque membra nullo victu refocillata vires perdiderunt. …
Igitur dum fessus requiescerem, et quam ægre profectus essem cogitarem,
virum procul aspectu terribilem vidi,
in modum bestiæ pilis undique circumseptum; cui tanta scilicet capillorum prolixitas erat,
ut corpus illius ipsorum diffusione tegeretur. [col.212] Pro vestimento quoque foliis herbisque utebatur,
quibus subteriora renum tantummodo cingebat. …
Et vir Dei … dixit mihi: «…Ego, licet immeritus, vocor Onuphrius. Et ecce non minus sunt quam septuaginta anni, quod in hoc deserto laboriose vixi. …»
…
Dum autem ego Paphnutius a viro sanctissimo Onuphrio, rationis hujus loquelam audirem … vir sanctus respondit:
«… Sanctus enim angelus quotidie panem mihi offerebat, et acquam pro mensura ministrabat, ut corpus meum confortaretur,
ne deficeret, et jugiter in laude Dei perseveret. Arbores palmarum ibidem constitutæ erant,
quæ duodecies in anno dactylorum fructus germinabant. Quos per singulos dies colligens, pro pane edebam,
mixtos herbarum foliis, et erant in ore meo tanquam favus mellis. …»
Cumque hoc a beato viro Onuphrio intentius auscultarem, mirans in sermonibus et actibus ac laboribus illius, dixi: «Pater benigne, die Dominico vel Sabbato communionem percipiebas ab aliquo?» At ille respondens, ait: «Omni die Dominico vel Sabbato angelum Domini paratum invenio, sacrosanctum corpus et sanguinem Domini nostri Jesu Christi secum deferentem: de cujus manu mihi pretiosissima donantur munera, vitæque meæ salus perpetua.
Nota [n. 26 di Heribert Rosweyde (1569-1629) nell’edizione del Migne]:
… Manuscriptus Leodiensis Sancti Jacobi, ultimo capite, habet de leonibus sepulcrum unguibus suis Onuphrio effodientibus, …
Un giorno, mentre io, Pafnuzio, me ne stavo seduto solo e silenzioso, decisi di recarmi nel deserto …
Dopo il quarto giorno [di cammino] finirono le provviste che mi avevo portato e le mie membra, non più nutrite, perdettero vigore. …
Allora, mentre stremato riposavo, e pensavo alla gravità della mia salute, vidi lontano un uomo di aspetto spaventoso,
tutto ricoperto di peli come una bestia; aveva i capelli talmente lunghi che con la loro estensione celavano il suo corpo.
Come vestito usava anche foglie e steli coi quali cingeva solamente la parte sottostante i reni. …
Indi quell’uomo di Dio … mi disse: «… Io, seppur immeritatamente, sono chiamato Onofrio [= Colui che è sempre felice]. Attualmente sono non meno di settant’anni che ho vissuto attivamente nel deserto. …»
…
Intanto mentre io Pafnuzio seguitavo ad ascoltare i ragionamenti del santissimo Onofrio … il sant’uomo disse:
« … Dunque un angelo santo ogni giorno mi porgeva il pane e mi forniva una quantità di acqua, così che il mio corpo si rinvigorisse,
non deperisse e ininterrottamente proseguisse a lodare Dio. Ivi c’erano alberi di palme, i quali fruttificavano datteri dodici volte l’anno;
raccogliendoli ogni giorno, li mangiavo come pane insieme a foglie d’erba e nella mia bocca era come assaporare miele. …»
Dopo aver molto attentamente ascoltato quanto sopra dal beato uomo Onofrio, ammirato dei suoi discorsi, operosità e fatiche, dissi: «Affabile padre, ricevevi da qualcuno la comunione la Domenica o il Sabato?». A ciò egli rispose: «Ogni Domenica o Sabato trovo pronto un angelo del Signore, che porta con sé il corpo ed il sangue di Nostro Signore Gesù Cristo: dalle sue mani mi sono offerti quei preziosissimi doni, perpetua salvezza della mia vita. …»
Nota [n. 26 di Heribert Rosweyde (1569-1629) nell’edizione del Migne]:
… Il manoscritto leodiense [di Liedi] di San Giacomo, nell’ultimo capitolo,
racconta di leoni che con le loro unghie abbiano scavato il sepolcro di Onofrio.