Prendendo spunto e suggerimento dai due lavori prodotti dall’arch. Vincenzo Zito su “ L’Antica ‘Porta del Castello’ di Andria” e “ Il Castello normanno-svevo di Andria”, dalla pubblicazione di Antonio di Gioia “Andria il castello e le mura”, nonché dalla ricerca dell'ing. Riccardo Ruotolo “La formazione della città murata”, nella sua pubblicazione “ANDRIA – Escursione nella città dall’anno Mille al Milleseicento - La forma della città - Le tombe delle Imperatrici Sveve” (testi tutti che si consiglia di leggere per approfondire l'argomento e apprezzare interpretazioni diverse della storia dei luoghi) si elabora la presente pagina sintetica, quasi un rapido excursus, sulle Mura e l'attigua Rocca della nostra Città,
Una prima probabile indicazione dell’esistenza delle mura intorno al nucleo abitato di Andria, databili quasi certamente non prima del 1042, e comunque non oltre il 1073, la si rinvene nelle “Gesta Roberti Wiscardi” di Guillermi Apuliensis dove, descrivendo le gesta del conte normanno Pietro del 1046, nel libro II (v.30) scrive “Edidit hic Andrum …”, indicazione che diventa certezza nel libro terzo (v. 397-399) dove, narrando avvenimenti del febbraio del 1073, scrive:
“Petrus, ut hunc audit castrum circumdare castris,
Non audens armis contendere, mœnibus Andri
Excipitur tutus. …”
Non si hanno raffigurazioni delle mura di Andria di questo periodo storico iniziale.
Dei documenti del Duecento che richiamano il Castello di Andria si citano in
questa pagina due tra i più antichi;
- uno svevo: un
mandato inviato da Federico II da Orte il 16 marzo 1240 (13a indizione)
al governatore Alessandro figlio di Enrico
[1];
- l'altro angioino:
uno statuto per i castelli del Regno
emesso da Carlo I d'Angiò il 28 novembre 1269 (13a indizione)
[2],
nel quale si assegnano ai castelli i custodi, le guarnigioni, i cappellani e i relativi stipendi.
In quello svevo, (steso da Pier delle Vigne, protonotario e logoteta dell'Imperatore)
è scritto:
Mandatum ad Alexandrum filium Henrici … de expensis factis in castris Bari, Trani et Andriae …
"Fredericus, etc., Alexandro filii Henrici, etc.
Plures licteras fidelitatis tue plura capitula continentes benigne recepimus, et ecce tibi ad singula respondemus: …
De hys que fecisti in castris nostris Bari et Trani … et quod fecisti fieri in castro Andrie
ubi F. filius noster moratur, placet nobis quod ad curie nostre commodum facere curavisti. …"
In questo documento il governatore Alessandro è ringraziato per quanto amministrativamente aveva fatto durante
la residenza del figlio di Federico II nel Castello-rocca di Andria; non figurano tuttavia descrizioni
del nostro castello in quanto non necessarie allo scopo.
Nello statuto angioino, emesso per l'assegnazione dei Castellani e quant'altro servisse ai Castelli del Regno
per la custodia e manutenzione degli stessi, è scritto:
"Karolus etc. Ursoni Rufulo et petro Carrello Secretis principatus, terre laboris et aprutii etc.
Cum nuper sit in Curia nostra statutum ас etiam ordinatum ut in quolibet Castrorum nostrorum
Iurisdictionis vestre certus sit et esse debeat decetero numerus sorvientium quibus stipendia eis
per curiam nostram statuta per quatuor terminos Anni sicut acciderat providimus et statuimus exhiberi. fidelitati vestre etc. …
Mandamus … Item in terra Bari. ... In Castro ANDRIE unus Contergius tantumdem. …"
In questo documento per il Castello di Andria si notifica che è assegnato soltanto un vice-castellano
per custodia, cura e manutenzione, senza alcuna guarnigione di soldati.
Una successiva indicazione con alcuni dettagli si rileva dal
“Chronicon de rebus in Apulia gestis (1333-1350)”
di Domenico da Gravina. Nella narrazione delle varie battaglie avvenute in Puglia
tra le città fedeli alla Regina Giovanna I e quelle parteggianti per gli Ungari
di Luigi I il Grande, il notaio – cronista (parte attiva delle vicende)
racconta la presa e la distruzione di Andria avvenute nel febbraio-marzo 1350
da parte degli Ungari. Gli episodi narrati si svolgono sotto le mura di Andria
presso la Porta del Castello, dalla quale infine gli Ungari penetrano aiutati internamente
dai militi di Filippo Schutz, detto Malospirito, luogotenente teutonico della Città.
Il cronista, Domenico da Gravina scrive:
Osservazioni sui luoghi degli avvenimenti narrati dal cronista:
Anche nel Trecento non si posseggono raffigurazioni delle mura di Andria.
Una ulteriore indicazione perviene dal “ De bello neapolitano” del Pontano quando questi descrive l’assedio di Andria, allora governata dal Duca Francesco II del Balzo, da parte di Giovanni Orsini principe di Taranto, nell’estate del 1460; le mura, elemento principale di difesa-assedio, sono diverse volte nominate nel testo, ma non descritte se non
Scrive infatti il Pontano:
Si hanno in questa fase storica alcune immagini: tre bassorilievi delle mura di metà Quattrocento in una cappella della Cattedrale e due raffigurazioni pittoriche, datate l’una alla fine del Quattrocento e anch'essa un tempo in Cattedrale, l’altra dei primi del Cinquecento presente un tempo in S. Maria Vetere. Queste immagini sono viste e approfondite nella 2a parte.
Nel 1685, Ferdinando Fellecchia, medico e poeta andriese, scrive un poema sulla “ Vita del gloriosissimo S. Riccardo …”; nella 3a e 4a stanza del 6º canto così descrive Andria:
“In piano, e ameno sito erge il suo letto;
E in forma oval giace la sua figura;
E del luogo, ove spande ella il ricetto,
S’estende a un miglio sol la sua misura.
D’intorno s’alza un muro forte eretto,
Fortificato ancor cõ l’antemura;
Che segni son de la Città pur veri,
Che di guerre soffrì gli assalti fieri.
Numer perfetto ancor contien di Porte,
Ch’una guarda vers’Austro, e vien chiamata
Del Castello, perche munita, e forte
Vicina ad un Castel fu fabricata.
Già ludibrio del Tempo, e de la sorte
Fatta la Rocca appena in più restata;
Ivi ad onta del Vecchio ingordo, e infame
Si trita il grano sol per l'altrui fame.”
Sul finire del Seicento, quindi, il Fellecchia descrive Andria, circondata di mura e antemurali per un miglio, e pone la Rocca-Castello nei pressi della porta rivolta [con un errore d’orientamento] ad Austro (sud). Che le parole Rocca e Castello posto a difesa della “vicina” porta, identifichino le stesso edificio è anche rivelato dalla logica del discorso; il “già ludibrio”, posto all’inizio del secondo periodo è (a mio avviso) un evidente “trait d’union”, un preciso collegamento e correlazione dei due periodi, in cui “Rocca” è strettamente correlata, quasi apposizione, a “Castello”, e non potrebbe quindi essere considerata come una entità diversa.
Della fine del Seicento è possibile studiare (nella 2a parte) la veduta di Cassiano de Silva, pubblicata nel 1703.
Della metà del Settecento è una delibera dell'Università di Andria nella quale si decide
della vendita di suoli sopra le mura e nelle fossate "per trarne il denaro occorrente
tra l’altro a ristaurare l’ospedale dei pellegrini"
e per "costruirsi qualche commodo di abitazione".
Il documento del 1754 è riportato
da Giuseppe Ceci nel suo studio su "
Le Istituzioni di beneficenza della città di Andria".
Nel documento si legge:
"Die XIV. mensis Novembris 1754 Andrie — Congregato Consilio huius magnifice Universitatis
civitatis Andrie ... Dal signor D.r Vitangelo Iacobbi odierno Generale Sindaco si propone alle Signorie
Loro come si trova il numero delle anime accresciuto niente meno che il terzo di quello
era anni addietro e da qualche tempo ed attualmente si abita con angustia in questa città
sicché moltissimi di questi cittadini van cercando dove costruirsi qualche commodo
di abitazione e nello stesso tempo questo nostro Ospedale per chiamarsi terminato
mediocremente necessitano ... Ed a questo nostro orologio manca tutto, essendo affatto reso inservibile
... si è pensato vendere a particolari cittadini quelli fondi inutili, anzi sporchi e d’incommodo
al pubblico, che si trovano sopra le muraglie rimpetto la porta Carrese del Venerabile
Convento di S. Francesco dei minori conventuali, tirando sino alla casa della
Venerabile Confraternita della Morte dentro la Chiesa di S. Sebastiano abitata
dagli eredi Alessio dello Muscio sopra le Muraglie abbasso al luogo detto di Fravino
e sopra le altre muraglie e parte del fossato che attacca al Giardeno de Fratelli de Giglio,
e del ritratto di detti fondi compirsi li suddetti ospedale ed orologio ...
Qual proposta intesa da tutti i signori congregati è stato conchiuso a viva voce dai medesimi,
che si concedano e vendano alli concorrenti oblatori li descritti fondi ..."
Questo documento esplicita l'alto degrado in cui versavano le mura e le relative fossate della Città nel Settecento e sottende il loro graduale smantellamento o inglobamento nelle nuove costruzioni che su di esse andavano realizzandosi.
Un riferimento preciso delle mura è scritto dal magistrato Riccardo Colavecchia nel libro
“Delle Città d’Italia e sue isole adjacenti compendiose notizie sacre, e profane”
dell’Orlandi del 1772:
“È certissimo però, che [Andria] ... finalmente circa l’anno 1100.
cadesse sotto il dominio di Dragone, o (come altri vogliono Pietro Conte di Trani)
Principe Normanno, e che da quel tempo cominciasse ad essere nominata nelle Storie,
col titolo di Città, avendola il detto Principe cinta di mura in quella guisa,
che al presente si vede, e di un alto antemurale distante venti passi Geometrici,
che le gira attorno attorno a guisa di fossato, come si rileva non solo
da alcuni Manuscritti, ma molto più da pubblici autentici Istrumenti scritti
alla maniera di que’ tempi, e segnatamente da uno di essi stipulato sotto il dì
primo Settembre 1104., in cui si assegna puranche il numero degli Abitanti
dentro le mura, fino a venti mila Persone.”
In questa descrizione si parla di mura e di antemurali, specificando che questi ultimi sono poco più che l’acclivio esterno determinato dal (la recinzione del) fossato che quelle circonda; mura e antemurali esistenti ai tempi (1772) dell'autore "in quella guisa che al preesente si vede ... antemurale che le gira". Il Colavecchia poi richiama indirettamente la “Bolla del vescovo Desidio”, che gli studiosi unanimemente dichiarano falsa, pur avendo a sfondo un evento storico reale quale l’accoglimento dei Trimodiensi in Città (e probabilmente di altri abitanti fuori mura), evento quest’ultimo che potrebbe essere avvenuto non solo intorno al 1100, ma anche in altre occasioni di grave pericolo come, ad esempio, all’arrivo e devastazione degli Ungheri nel 1350 [3].
Nello stesso secolo del Colavecchia scrive lo storico andriese Giovanni Pastore; egli nel foglio 1r del suo manoscritto “Origine, erezione e Stato della Colleggiata Parocchial Chiesa di S. Nicola della Città di Andria …”, terminato intorno al 1787, afferma:
“Postosi Pietro in possesso della Contea di Trani, … li surse in capo il disegno di render la sua contea distinta … Il primo disegno cominciò a pratticarlo nel Villaggio di Andria. Circondò questo luogo di mura, e d’antemurali nell’estensione d’un miglio in forma circolare; racchiuse in esse abitazioni, che lo formavano colla Torre, e coll’antico Tempio, che l’era a canto. Dispose le strade per ricettarvi li popoli raunati da quei borghi, vichi, e piccioli casali, che ivan sparsi nello spazio del territorio intorno. Aprì quattro Porte d’intorno a queste nuove mura per l’ingresso in città. E fabricò un Castello nella parte più alta del colle [4], attaccato alle predette mura per custodia ed abitaz.e de’ suoi militari. …”
Il Pastore fornisce le seguenti indicazioni sulle mura:
Considerando che le mura edificate nella parte più alta corrispondono al tratto a nord-est della Città, il Castello sorgeva pertanto accanto alla porta con tale orientamento e per questa vicinanza detta del Castello.
Del Settecento, oltra alla pianta della città attribuita a Carlo Murena, si conservano almeno due raffigurazioni pittoriche delle mura, una su una tela presente in S. Agostino, l'altra in un affresco dipinto nel chiostro di S. Maria Vetere. Tali immagini le osserveremo nella 2a parte di questo succinto studio.
Si riporta infine dalla “ Storia della Città di Andria” del 1842, quanto scrive Riccardo D’Urso, ultimo tra gli storici locali più importanti ad aver avuto la possibilità di vedere tutte le porte della città ancora in piedi unitamente a parte delle adiacenti mura:
“[dal lib. III, cap.II] … il Conte Pietro [Normanno] occupò tutte le sue premure nella fortificazione
di essa [Andria]. Ridusse il piede della città in forma ovale, racchiudendovi il Casalino,
il quale ancora va riconosciuto sotto questa indicazione. Fece costruire una barricata
inespugnabile di mura, ed ante-mura di solida pietra: contenendo a date distanze dieci torrioni,
ed altrettanti gironi: del che presentemente appaiono appena alcune reliquie; mentre la città
si è da tutt’i punti molto dilatata. Andria così fortificata portò allora nel suo dintorno
la periferia di un miglio; mentre oggi oltrepassa le tre miglia. …
[dal Lib.V, cap.II] Quel Castello qui fabbricato da Pietro Normanno,
([in nota] ora di proprietà de’ Signori Canonici Porro, vicino alla porta del Castello),
venne da lui [Bertrando del Balzo] maggiormente munito, e fortificato; ed al fianco
che guarda il mezzogiorno vi aggiunse i quartieri, dove i suoi soldati erano alloggiati.
([in nota] Di questi Quartieri ora rimane intatto il solo Portone, che sporge
nel piccolo parco del Signor Canonico D. Michele Marchio. Tutto il rimanente delle fabbriche
venne dalla casa Carafa ridotto ad uso di Mulini, oggi di nostra pertinenza.)
Vi creò il Castellano, il Comandante Generale della Truppa, gli Alfieri, i Sergenti,
Caporali, e quant’occorreva per un corpo di milizia.”
Il D’Urso, nonostante scriva riferendo in gran parte quanto i precedenti storici avevano già pubblicato, fornisce tuttavia notizie inerenti il periodo storico in cui vive, come, ad esempio, l’insistere del Castello nel lotto allora proprietà dei Porro, a mezzogiorno entrando dalla attigua porta, tra i locali adibiti dai Carafa a mulini e di proprietà della sua famiglia.
Si riscrive nuovamente l'indice d'inizio pagina per effettuare eventuali altre scelte di approfondimento.
NOTE
[1] J. L. A. Huillard-Bréholles, "Historia diplomatica Friderici Secundi ...", tip. Henricus Plon, Parisiis, 1859, Tomus V, Pars II, pagg. 848-849.
[2] Giuseppe Del Giudice, "Codice diplomatico del Regno di Carlo I e II D'Angiò", st. R. Università, Napoli, 1863, vol. I, app. II, pagg.LXXV-LXXXI.
[3] Si tenga presente che, come afferma il prevosto Pastore nel suo manoscritto sulla Collegiata di S. Nicola, la prima controversia documentata tra la Collegiata di S. Nicola e il Clero della Cattedrale è del 1384 (data in cui furono esibiti i documenti considerati apocrifi dell’una e dell’altra parte) successiva al saccheggio degli Ungheri; il che fa supporre che tali contraffatti documenti possano essere stati elaborati in conseguenza di quella prima lite a supporto delle istanze di ciascun contendente.
[4]
Poiché Andria è situata ai margini del territorio subcollinare dello zoccolo premurgiano,
da qualsiasi parte anticamente si perveniva al nostro borgo, bisognava affrontare una salita;
erano (e sono) relativamente ripidi gli acclivi sulle vie provenienti da Barletta e da Trani;
per chi poi giungeva da Canosa o, anche, da Corato, doveva prima scendere nella lama
che da Sud-Ovest abbraccia la città e poi salire gli acclivi che da quest'ultima
terminavano davanti al centro amministrativo e religioso, in piazza La Corte,
attraverso Porta S. Andrea, Porta La Barra o, risalendo alla "Chiavara" (Via A. De Gasperi),
per Porta del Castello.
Questa morfologia del territorio e le strade in esso realizzate, diedero ai viandanti
e ai cittadini la sensazione di salire su un colle per raggiungere piazza La Corte,
e (come giustamente ha fatto notare Vincenzo Zito nel suo scritto "Andria antica e la collina che non c'è"
nel suo diario "Andria, appunti storici di resistenza",
pubblicato in alcuni post sul sito Facebook “Andria antica e dintorni”)
molti storici locali, come il prevosto Pastore nel Settecento, hanno riportato tale sensazione nei loro testi utilizzando impropriamente
il termine "colle" per indicare il luogo dove Andria è ubicata.